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Sanità pubblica lenta e rinvio a cure domiciliari: un modello dannoso
di
Renato De Vecchis *
I NAS si interessano delle cose di cui dovremmo interessarci noi nelle ASL. I tempi di attesa sono biblici e gli anziani muoiono senza diagnosi e senza cure in attesa che le visite programmate siano onorate. Si tratta di calendari assurdi e di attese eccessive. Facciamo un esempio.
Una anziana donna paraplegica per crolli vertebrali multipli di origine osteoporotica soffre di diabete di tipo II divenuto insulinoprivo con lo scorrere degli anni. Il grave diabete e l'insufficienza circolatoria venosa degli arti inferiori hanno propiziato la formazione di ulcere venose sulla area pretibiale della gamba dx e su quella surale (polpaccio) della gamba sn. In più l'anziana donna soffre di vuoti di memoria che si rivelano poi in capo a svariati mesi prodromici di declino cognitivo senile (demenza senile, probabilmente riconducibile a malattia di Alzheimer).
Quello che non quadra è il frequente stato di torpore che interessa la paziente: una sonnolenza anomala, che insospettisce il curante. Viene interpellato un neurologo perché l'obnubilamento del sensorio progredisce e si aggrava. Il medico curante in un primo momento sospetta una condizione di pre-narcolessia, poi un iniziale coma epatico. Ma gli indici ematochimici di funzione epatica, come pure la ammoniemia, sono normali.
Il neurologo, prenotato per una visita domiciliare, si fa attendere. Esiste una perturbazione del quadro proteico elettroforetico con bassa percentuale di albumina ed aumento anomalo delle alfa due globuline ma il reperto appare aspecifico. Potrebbe indicare una infezione recente o una infezione in atto.
La determinazione delle immunoglobuline potrebbe essere prescritta ma viene posposta perché sono latitanti i segni di infezione: manca la febbre, non vi e' tachicardia, le ulcere cutanee sono trattate ogni due giorni con pomate cicatrizzanti e antibiotiche. In più e' stata avviata profilassi di possibile contaminazione batterica delle piaghe con Zariviz im praticato una volta al di' per una settimana.
Per la diagnosi differenziale del coma (perché la sonnolenza appare al curante come il primo step di una condizione comatosa) sarebbe cruciale e dirimente il parere del neurologo. Costui si presenta alfine, a distanza di 13 gg dalla prenotazione. Senonché si presenta in anticipo di una mezz'ora sull'orario di appuntamento, svolge - a dire della badante - un esame obiettivo neurologico frettoloso e approssimativo, esclude il coma ma conferma la malattia di Alzheimer e riconduce ad essa lo stato di torpore. Poi raccomanda controllo dello emocromo e della sodiemia. Il sodio basso produce ottundimento psichico, mentre l'anemia determina anche essa turbe del sensorio.
Il neurologo se ne va con la prescrizione della memantina. Ma sodiemia ed emoglobina si rivelano poi normali, le pillole di memantina la paziente nemmeno le ingurgita perché è subentrata una importante difficoltà alla deglutizione. A questo punto il curante inquadra il torpore come possibile epifenomeno di un ematoma subdurale cronico e chiede il ricovero per eseguire TAC del cranio in regime di urgenza.
Col ricovero si scopre che è assente l'ematoma subdurale cranico cronico (chiedo scusa del bisticcio di parole), supposto responsabile dell'incipiente coma. Invece è presente una sepsi senza febbre, testimoniata dall'innalzamento eclatante della procalcitonina e da una lieve leucocitosi neutrofila (presente già 15 giorni prima). Dunque al coma ha concorso in misura decisiva lo stato settico misconosciuto.
Se il neurologo avesse disposto il ricovero quando ancora il torpore era al suo esordio eseguendo la visita domiciliare 10 giorni prima, la paziente avrebbe potuto essere salvata.
Infatti dopo la dimissione "volontaria" della paziente, giudicata irrecuperabile, le cure domiciliari egualmente attuate come tentativo di salvataggio in extremis ottengono la regressione della iperglicemia e iperosmolarità ma non la correzione del coma che, dopo una effimera regressione, si ripresenta purtroppo, nel quadro finale di uno shock settico.
La paziente decede col conforto della estrema unzione ma senza avere ricevuto il conforto di una diagnosi tempestiva e accurata e di una terapia conseguentemente appropriata.
I disguidi e le manchevolezze dell'assistenza specialistica ambulatoriale, che non appare in grado di sostituire e nemmeno di supportare la funzione ospedaliera, portano alla tomba ogni giorno qualche centinaio di pazienti in Italia, nel senso che la disorganizzazione e l'approssimazione sono responsabili di molti decessi evitabili.
Di ciò porta responsabilità primariamente il governo che svuota gli ospedali di personale e alimenta per motivi di risparmio una campagna a favore delle cure domiciliari e territoriali che si scontra con obiettive carenze di personale e difficoltà logistiche e tecniche insormontabili.
Il paziente anziano muore in casa abbandonato dallo Stato, ancorché circondato dalle amorevoli cure dei familiari e aiutato a mitigare il dolore e il disagio dall'assistenza, per forza di cose limitata e insufficiente, del medico di base.
* Medico ospedaliero, Componente del Comitato Tecnico-Giuridico dell'Osservatorio
 
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