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11 dicembre 2024
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L'11 dicembre e l'11 settembre
di Rinaldo Battaglia *

L’11 dicembre 1994 una piccola bomba esplose sul volo 434 delle Philippine Airlines, uccidendo un manager giapponese. Quell’uomo, scelto a caso, venne ucciso come un esperimento, come un ‘esempio’ pratico o, meglio, come la ‘prova’ di un progetto ben più importante.

Verrà definito come ‘il progetto Bojinka” e per 6 anni e 9 mesi esatti verrà, da chi di dovere, sottovalutato o non compreso. Passerà del tempo ma 6 anni e 9 mesi dopo, l’11 settembre 2001, molti si ricorderanno di quel volo e di quella bomba.

E molti si domanderanno perché chi aveva predisposto ed organizzato l’esplosione sul volo 434 – un certo Ramzi Yousef - non era stato adeguatamente studiato, analizzato ed interrogato da almeno 6 anni abbondanti, visto che già dal 6 febbraio 1995 era stato arrestato a Islamabad dalla DDS (l’americana Diplomatic Security Service) e trasferito negli USA, inizialmente nel carcere di estrema sicurezza ADX Florence nel Colorado, con sul collo una condanna di 240anni (sì quasi 2 secoli e mezzo) di galera. Inizialmente, perché oggi molti giurano che sia detenuto nel campo di prigionia di Guantánamo (se ancora vivo). O forse no.

Ma cos’era quindi ‘il progetto Bojinka”?

Gli esperti lo hanno definito come “una cospirazione terroristica” dell'organizzazione filippina ‘Abu Sayyaf’, il principale gruppo di paramilitari separatisti islamici che da 30 anni erano padroni assoluti di alcune isole in guerra contro lo Stato delle Filippine, cattolico e filoamericano.

Fu scoperto il 6 gennaio 1995 per una casualità, quando in un residence sempre nelle Filippine, nella capitale Manila, improvvisamente scoppiò un incendio causato da alcuni strani operatori mentre preparavano un miscuglio di materiale esplosivo. La polizia arrestò così anche un certo Abdul Hakim Murad, fino allora considerato una figura secondaria nel terrorismo locale e rivelatosi invece un anello basilare nella catena di Abu Sayyaf e che in breve portò al nome di Ramzi Yusuf. La polizia trovò materiale alquanto compromettente e, usando maniere non sempre ‘ordinarie’ – la tortura fisica faceva parte del ‘modus operandi’ - si fece spiegare il piano d’azione del ‘progetto Bojinka” direttamente dalla bocca di Abdul Hakim Murad.

Era programmato, già nel corso dell’anno 1995, un catastrofico attentato aereo che prevedeva di far esplodere, contemporaneamente, sull'Oceano Pacifico ben 11 Jumbo Jet delle primarie compagnie aeree United Airlines, Delta Airlines e Northwest Airlines. Si stimavano non meno di 4.000 passeggeri uccisi.

Non solo: nell’imminente visita apostolica di Papa Giovanni Paolo II nelle Filippine, Nuova Guinea e Sri Lanka (avvenuta dal giorno 11 al 21 gennaio ’95) e in quella successiva a Manila del Presidente USA Bill Clinton (avverrà solo il 24 e 25 novembre 1996, forse perché rimandata?) entrambi sarebbero stati uccisi da alcuni kamikaze islamici.

Terzo attentato previsto sempre nel corso dell’anno 1995: con un piccolo aereo, ovviamente caricato di esplosivi, si sarebbe colpito e distrutto a Langley, in Virginia, niente po’ di meno che il quartier generale della CIA. Tutto il ‘progetto Bojinka” era figlio di Ramzi Yusuf, già ampiamente conosciuto dalla CIA, e già ‘schedato’ con oltre 40 pseudonimi e allora considerato come “uno dei massimi esperti nella costruzione di ordigni esplosivi”.

Alcuni storici e giornalisti d’inchiesta americani, per anni hanno indagato sul suo conto, traendone analisi in alcuni casi sconvolgenti. Come Simon Reeve, (in “The New Jackals: Ramzi Yousef, Osama bin Laden and the Future of Terrorism” - Northeastern, 1999 o, meglio ancora, in “I nuovi sciacalli. Osama Bin Laden e le strategie del terrorismo”, Bompiani, 2001). Oppure anche il nostro Franco Fracassi (in “Piano Bojinka. Come fu organizzato l'11 settembre” - Alpine Studio, 2011).

Perché Ramzi Yusuf era già stato identificato come uno dei pianificatori, se non il vero pianificatore, dell'attentato al World Trade Center (26 febbraio 1993) oltre ad una serie di attentati contro il Primo ministro pakistano Benazir Bhutto. Fu allora, con l’arresto di Abdul Hakim Murad che solo un mese dopo, proprio in Pakistan Ramzi Yusuf venne finalmente arrestato. Messo in carcere il ‘numero uno’, tutto sembrò calmarsi. L’obbiettivo era stato raggiunto. Presumo congratulazioni, complimenti e promozioni a destra e a manca.

Lasciando perdere i potenziali attentati al Papa e al Presidente sempre all’ordine del giorno in ogni visita, forse già dai tempi di Kennedy, nessuno probabilmente negli USA poteva pensare che si sarebbe arrivati all’attentato catastrofico degli undici aerei, che contemporaneamente sarebbero stati forse dirottati o forse su cui sarebbero state nascoste delle bombe sincronizzate per il momento dello scoppio.

Impensabile, non credibile, troppo difficile da organizzare e peggio ancora realizzare. Di certo qualcosa, qualche minuscolo dettaglio avrebbe permesso di capire e quindi di prevenire. Stavamo parlando degli USA, della CIA, dell’FBI. Stavamo discutendo della più grande Potenza al mondo (se non unica allora, dopo l’implosione della vecchia URSS), dei gendarmi del pianeta che con l’occhio del ‘grande fratello’ controllavano e governavano tutto e tutti. E per qualsiasi attentato di alto livello, sarebbero serviti milioni di dollari che avrebbero girato da un capo all’altro del mondo e che mai sarebbero sfuggiti alle strette maglie dei controlli ‘made in Usa’. Impensabile, non credibile, irrealistico. Come per il piccolo aereo sul quartier generale della CIA. Poco attualizzabile viste le protezioni in essere. Ma dai, non si era su ‘Scherzi a parte’. Figuriamoci!

Poi arrivò, 6 anni dopo, l’11 settembre 2001.

E qualcuno si sarà fatto delle domande o almeno cercato delle risposte. A noi, comuni mortali, anche dopo 23 anni da quel tragico giorno delle Torri Gemelle - che ci ha cambiato la vita - di risposte ne abbiamo avute poche e delle domande che, per logica, uno potrebbe porsi, abbiamo perso anche il ricordo.

Chissà quando e se si saprà qualcosa che odori di vera verità.

Nel frattempo, sembra che uno dei progettisti degli attacchi simultanei dell’11 settembre, uno degli uomini più fidati ed esperti di Osama Bin Laden – un certo Khalid Shaykh Muhammad - sia ancora oggi in carcere a Guantánamo. Forse per quel motivo Ramzi Yousef risulterebbe in un altro, diverso, campo di prigionia. Perché dimenticavo di dire - scusatemi - che Khalid Shaykh Muhammad è lo zio di Ramzī Yūsuf e che sono cresciuti assieme (hanno solo tre anni di differenza di età) nel Belucistan pakistano e, poi, nel Kuwait. Per 40 anni sono stati inseparabili, quasi fratelli, forse gemelli.

Elementare Watson, dice una pubblicità di moda ultimamente. Elementare, Watson! Anche senza essere nati Sherlock Holmes.

11 dicembre 2024 – 30 anni dopo

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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