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Femminicidi: immigrato salva una donna mentre Turetta va all'ergastolo
di
Rita Guma *
Nel giorno in cui Filippo Turetta è stato condannato all'ergastolo per l'assassinio di Giulia Cecchettin, un giovane immigrato ha salvato una donna dai fendenti di un altro uomo armato di coltello, rischiando la vita quando si è frapposto fra la vittima e l'aggressore armato.
Il ragazzo si chiama Alen Halilovic, ha 21 anni e ribalta i teoremi di Valdidara e Meloni sui femminicidi perché i suoi genitori sono bosniaci e lui è nato e cresciuto in Italia. Per soprammercato ha pure gli orecchini, quindi rientra in più di uno stereotipo che ne farebbero un cattivo ragazzo agli occhi di tanti benpensanti e di alcuni politici.
E la sua azione salvatrice e il femminicidio di Giulia Cecchettin sono legati idealmente non solo dalla data e dalla dinamica in cui l'uomo in auto continuava a colpire la donna ferita, ma anche perché Alen ha raccontato che quando ha visto l'uomo che colpiva la donna già sanguinante ha pensato a Giulia e per questo ha deciso di fermarsi e intervenire: "In troppi non si sono fermati".
E ha dato una bella lezione a tutti: "I miei genitori mi hanno detto che sono stato coraggioso ma che ho rischiato. Sono orgogliosi di me: hanno fatto un buon lavoro, mi hanno insegnato che l’indifferenza uccide. E che ha colpa anche chi, di fronte al male, si gira dall’altra parte».
Da notare a margine che i giornali parlano di "giovane veronese" - il che da un lato fa piacere, visto che è nato in Italia, ma richiama anche il fatto che ogni volta che un migrante di prima o seconda generazione commette un delitto i titoli lo indicano con la provenienza geografica (un marocchino, un sudanese...) e questo fa il gioco di certa politica fomentatrice di odio.
Tornando al salvataggio, è già una eredità positiva, quella di Giulia, e anche un merito quello di Gino ed Elena, di aver "fatto rumore" intorno alla brutale uccisione della loro cara figlia e sorella.
Per quanto riguarda l'ergastolo a Turetta, Gino Cecchettin ha detto che non si aspettava scuse e non si è mostrato soddisfatto per la sentenza. Anzi, dice che "abbiamo perso tutti" perché non sono le pene severe, ma la prevenzione, lo strumento per debellare i femminicidi.
E naturalmente siamo d'accordo, purché l'educazione affettiva nelle scuole venga affidata a persone qualificate, trattandosi di messaggi delicati.
* Presidente Osservatorio
 
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