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28 novembre 2024
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L'uomo che nacque morendo
di Rinaldo Battaglia *

In queste settimane di fine anno, nel 2011, il regista ligure Luigi Monardo Faccini rilasciò un suo film molto particolare, che non era altro che la messa in scena di un precedente suo libro, pubblicato nel 2006 con la casa editrice Ippografo. Medesimo anche il titolo: “L’uomo che nacque morendo”.

E il soggetto, quell’uomo che morendo rinacque, risultava un certo Rudolf Jacobs. Un nome che a nessuno dice nulla, se non forse per qualche studioso della Resistenza ligure e di Sarzana più in particolare. In questa città oggi esiste, non a caso, una targa commemorativa a suo nome. Forse conoscendo meglio la sua vicenda personale possiamo meglio capire perché altrove sia poco ricordato o totalmente anonimo e sconosciuto.

Si deve infatti sapere che Rudolf Jacobs era un tedesco di Germania, nato a Brema nei giorni in cui il Kaiser ordinava l’inizio della Grande Guerra (26 luglio 1914), dopo la scusa di Sarajevo. Come tutti i tedeschi passò la gioventù tra la fame della Repubblica di Weimer e le farneticanti promesse del nazismo. Eppure, veniva da famiglia sana (suo padre era un noto architetto di Brema, Rudolf Heinrich Jacobs, molto stimato) che lo volle istruire per bene e tenerlo lontano dai proclami del nazionalsocialismo.

Vista la passione per il mare, il padre lo fece dapprima entrare nella marina mercantile e così girando anche fuori dalla Germania, sentì meno i ‘fumi’ e i ‘successi’ del Fuhrer, che tanto facevano presa sui coetanei (fino al 1938 Rudolf Jacobs viaggiò per mare, fra l'altro, anche sulla nave scuola Deutschland, il fiore all’occhiello della Germania di allora).

Nel frattempo, proseguì e concluse gli studi tra le università di Brema, nel Braunschweig e di Hannover con tanto di prestigiosa laurea in Ingegneria. Si sposò (nel 1936) e mise su famiglia (2 figli).

Ma ecco la guerra, tanto cercata da Hitler e tanto invocata ed attesa dai suoi coetanei. Venne subito arruolato nella Kriegsmarine, la Marina militare nazista (1939) e inviato nella zona di Amburgo-Altona. Poi con l’invasione della Francia eccolo assegnato al gruppo di costruzione della Barriera Ovest Saarburg (Lothringen/Lorena), come ufficiale. Periodo senza infamia e senza lode, verrebbe da dire.

Ma sarà in Italia, dopo l’8 settembre 1943, che la realtà prenderà nei suoi occhi una visione diversa. Con l’operazione Achse, dopo l'Armistizio, infatti fu tra i primi ad essere spedito da noi. Arrivò presso la Spezia, nel corpo di ingegneria della Marina Militare, a presidio del porto così importante nella strategia della guerra. E presto fu messo a capo di una postazione di artiglieria fra Punta Bianca e Bocca di Magra.

Ma poche settimane dopo una tremenda notizia, arrivata ufficialmente da Brema, lo sconvolse. Notizia, peraltro, che come altre risulteranno totalmente false ed infondate e spesso usate dalla propaganda nazista per creare maggiore odio verso il nemico, drogando i soldati (e soprattutto gli ufficiali) ancora di più. Ancora di più del micidiale pervitin o degli altri mille farmaci di metanfetamina (prodotti dalla Temmler), che abitualmente e sistematicamente venivano somministrati (quasi sempre a loro insaputa) alle truppe. A Rudolf Jacobs fu comunicato dal Comando che, durante un bombardamento nemico, era stati uccisi, forse bruciati vivi, sia la moglie che i suoi due adorati figli, entrambi di pochi anni.

Ma a differenza dei voleri o degli obiettivi dei suoi generali, quella notizia lo portò a detestare non solo la guerra ma in particolare Hitler e il Terzo Reich, ossia la sua patria. Non si riconobbe più in quel concetto, in quell'ideale così allora bene sfruttato dal potere. Di fatto l’ufficiale Rudolf Jacobs era arrivato per suo conto al principio che, anni dopo, sarà messo in poesia dal nobel 1988 Najib Mahfuz: “La Patria di un uomo non è il luogo dov'è nato, ma quello dove cessano i suoi tentativi di fuggire”.

Se la notizia (falsa) gli aveva ucciso il cuore, ora quell’uomo decise di rinascere. L’insofferenza, la ribellione interna, divenne realtà giorno su giorno. A fine estate del ’44, Rudolf Jacobs “dopo aver caricato un autocarro di fusti di benzina e di armi, abbandonò la base e si unì ai partigiani italiani della Brigata Garibaldi "Ugo Muccini", con i quali combatterono per i due mesi successivi”.

Si unì coi partigiani contro i nazisti tedeschi e i fascisti italiani. Così quell’uomo, morto già dentro, si sentì rinascere e vivere una seconda vita. E lo fece alla grande. Già il 2 ottobre 1944 Rudolf Jacobs fu decisivo in un combattimento sulle colline liguri. Si fece notare ed in breve venne scelto in più azioni quale comandante di pattuglia e il suo esempio richiamò nelle file partigiane anche altri italiani – renitenti a Salò o meno – ma anche forestieri.

Il 3 novembre alla guida di una pattuglia internazionale (di partigiani italiani e stranieri) attaccò un hotel a Sarzana (il "Laurina"), che era usato come caserma dei fascisti delle Brigate Nere locali. Era facile farsi passare per il comandante di un distaccamento nazista e ‘fregare’ così i fascisti. Almeno finché il suo nome e il suo ruolo non divenne di pubblico dominio.

Ma in quel 3 novembre, a Sarzana, i fascisti sapevano oramai chi fosse Rudolf Jacobs. L'attacco di sorpresa fallì e Jacobs, resosi conto, cercò almeno di salvare gli altri, attirando su di sé le attenzioni nemiche. Quando il suo fucile si inceppò venne ucciso. Di Rudolf Jacobs si perse la memoria, la guerra continuava e i partigiani continuavano a combattere i nazisti e i fascisti. Poi la Germania nazista si arrese l’8 maggio 1945. Ma ci vollero ben altri 12 anni (nel 1957) affinché la moglie e i due figli di Rudolf Jacobs venissero a sapere della sua morte. E nel modo in cui arrivò.

Sembra strano, ma ad informarli non furono gli apparati tedeschi, ma bensì un altro partigiano della Brigata Garibaldi "Ugo Muccini”, Paolino Ranieri, poi commissario politico della stessa Brigata e successivamente anche sindaco di Sarzana per 25 anni. Fu lui che nel febbraio 1957, dopo anni di ricerche, rintracciò a Brema la famiglia e ringraziò pubblicamente per quanto Rudolf Jacobs - l’uomo che nacque morendo - fece per liberare la zona di Sarzana.

Oggi, nel luogo dove avvenne l’attacco fallito che costò la vita a Rudolf, precisamente nel portico antistante, grazie al Comune di Sarzana esiste quella lapide a sua memoria. E grazie all’azione (libro e film) di Luigi Monardo Faccini adesso il suo nome risulta un po’ meno sconosciuto e anonimo.

Rudolf fu un uomo della nostra Resistenza e la sua vicenda spiega bene il senso di quella parola, in Italia oggi non onorata ed amata - a mio avviso - come si dovrebbe. Resistenza non vuol dire solo reagire, lottare contro le dittature, tenere duro e non mollare alle violenze e ai regimi illiberali, significa in primo luogo “ri-esistere”, esistere una seconda volta, una seconda vita, diversa da prima, fuori dalla realtà precedente, così inaccettabile. Così è stata la Resistenza italiana, piaccia o non piaccia ai figli della lupa o a chi osanna oggi la X Mas. Così è stata la resistenza di Rudolf Jacobs.

A volte per nascere bisogna morire, a volte la morte è il fascismo, la rinascita l’antifascismo. Questa la lezione di Rudolf Jacobs, l’uomo che nacque morendo. Per questo pochi oggi lo conoscono e lo onorano. Ma spero sia solo colpa della nostra ignoranza storica.

29 novembre 2024 – 13 anni dopo

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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