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25 novembre 2024
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Il grido delle farfalle
di Rinaldo Battaglia *

Il 25 novembre 1960, nella Repubblica Dominicana, furono uccise tre sorelle, Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, per ordine del dittatore fascista Rafael Leónidas Trujillo.

Era oppositrici del regime ed ispiratrici del movimento democratico di opposizione ‘14 giugno’ e quel giorno le tre sorelle Mirabal, mentre si recavano a far visita ai loro mariti in prigione nella periferia di Santo Domingo, furono bloccate sulla strada da agenti del Servizio di informazione militare. Condotte in un luogo nascosto nelle vicinanze furono da più uomini e più volte stuprate, torturate e alla fine massacrate a colpi di bastone e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente.

Si chiamavano Minerva, Maria Teresa e Patria, ma sono ricordate come “Las mariposas” (le farfalle), perché prima ancora di diventare martiri della causa rivoluzionaria del loro paese erano riuscite a lanciare un messaggio universale di dignità e coraggio, che avrebbe cambiato il corso della storia. Un messaggio, un grido al mondo. Il grido delle farfalle.

Patria Mirabal, la maggiore delle tre, aveva sposato nel 1942 Pedro González Cruz e aveva avuto quattro figli: Nelson, Noris, Mercedes e Raúl Ernesto. Minerva, la più decisa e acculturata (laurea in diritto nel 1957), aveva militato nella resistenza antitrujillista sin da ragazza, già dal 1949. Nel 1954 aveva poi sposato Manuel Aurelio Tavares Justo (chiamato nella Resistenza “Manolo”) suo compagno di lotta ed ebbero due figli, Minou e Manolo. María Teresa Mirabal aveva invece studiato presso la facoltà di ingegneria e architettura di Santo Domingo e ben presto seguì le sorelle nella lotta contro la dittatura trujillista. Sposatasi nel 1958 con l'ingegnere Leandro Guzmán, da cui ebbe nel 1959 una figlia, Jacqueline, proseguì col marito la sua azione politica e attiva.

Poteva il potere fascista restare alla finestra?

Intervenne quanto prima con la massima atrocità condita con altrettanta ipocrisia. Come fu tutto il periodo criminale del duce Trujillo (dal 1930 al 1961, quando il 30 maggio lo uccisero in un attentato), grande amico di Francisco Franco e ‘fan’ di Pio XII che il 15 giugno 1954 tra grandi onori gli conferì in Vaticano la ‘Gran Croce dell’ordine Piana’ per la sua lotta al comunismo. La data della loro uccisione – il 25 novembre – venne poi scelta nel 1981 nel primo incontro femminista latino-americano svoltosi a Bogotà, in Colombia, come la Giornata internazionale della violenza contro le donne. In memoria proprio delle sorelle Mirabal. Data che nel 1993 sarà confermata anche dall’ONU.

In tutti i regimi dittatoriali ed illiberali, di qualsiasi colore politico, la violenza alle donne è sempre stata un elemento caratteristico. E tra tutti i regimi criminali quello del nostro fascismo non poteva essere esente. Ci mancherebbe: il fascismo è stato da noi inventato, ideato, realizzato. Il ‘brevetto’ spetta al nostro Duce sin dal 1919.

Si deve infatti sapere che, soprattutto durante la Repubblica di Salò, furono molteplici le violenze alle donne in quanto tali. Tra i fascisti del Duce, sotto questo aspetto probabilmente il gruppo più violento e ‘vigliacco’ fu la ‘M. Tagliamento di Merico Zuccàri’, dove M ovviamente stava per Mussolini. Un marchio di fabbrica, un brand da salvaguardare.

Si documenta ad esempio che il 23 giugno ‘44 quando la M. Tagliamento era a far danni dalle parti di Certalto di Macerata Feltria, un giovane di 16 anni della Compagnia si affezionò a una ragazza solo di qualche anno più grande. Sembrava deluso da quella vita, forse voleva disertare. La notizia arrivò a Zuccàri. La ragazza, Angela Lazzarini, venne presa, portata in una fattoria e violentata per due giorni dal s. ten. Giovannozzi e da un suo subalterno, inizialmente contro promessa che l’avrebbero lasciata fuggire.

Dopo questa cura, lo stesso Zuccàri la informò che sarebbe stata fucilata «al suo paese natale alla presenza della popolazione» e quindi della sua famiglia. Così avvenne nei pressi di Sassocorvaro con l’accusa di “aver istigato alla diserzione i legionari con conseguente passaggio nelle bande rivali”. La voce si sparse in paese dando una versione diversa. Pronta la risposta del comandante della Tagliamento: «Le donne cosiddette violentate, sono risultate, da mia personale indagine, di dubbia fama e moralità».

Anni dopo si cercherà di fare giustizia, ma – tanto per cambiare – il fascicolo sulla ragazza finirà inesorabilmente nel solito ‘Armadio della vergogna’. Nell’Armadio finiranno casi analoghi di Pennabilli (Pesaro) con la giovane Virginia Longhi (solo perché aveva risposto male a una provocazione di alcuni militi della Tagliamento il 22 luglio), o di Maria Scapin a Valli del Pasubio, dalle mie parti nell’ottobre ‘44. E potrei proseguire. Non a caso Zuccàri parlava di “donne violentate”, al plurale.

Che quelli della M Tagliamento fossero violenti e vigliacchi non è un mio pensiero, ma è la sentenza del CROWCASS (Central Registry of War Criminals and Security Suspect, 1947) compilato dagli Alleati anglo-americani delle persone ricercate dal Regno Unito e dalla Jugoslavia per crimini di guerra, ove tra i vari ricercati vi erano anche 4 capi della Tagliamento, tra cui il comandante Merìco Zuccàri.

Per la cronaca Merico Zuccàri, sarà proprio inserito nelle liste dei Criminali di guerra dalla War Crimes Commission dell’ONU. Era un fascista di prim’ora (partecipò alla Marcia su Roma), ferito in Grecia (dove perse un braccio combattendo, come un altro nome criminale di guerra, Walter Reder), militare in fuga a guerra finita, tramite la Svizzera, il porto di Genova (maggio ‘45) e lunghe vacanze nelle pampas argentine, con biglietto di sola andata della vaticana Rat-line del vescovo Alois Hudal. Ai tempi di Pio XII, sempre quello del premio al dittatore Rafael Leónidas Trujillo.

Zuccàri ritornerà in Italia libero da condanne a morte (Tribunale di Bologna nel 1947), assoluzioni (Tribunale di Firenze nel 1950), condanne all’ergastolo (Tribunale di Milano nel 1952), amnistie varie, 14 anni dopo, solo nel 1959, quando poco dopo morirà d’infarto. Un altro caso della serie horror 'chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato', film sempre molto in voga in Italia in quegli anni maledetti.

Purtroppo, purtroppo la Storia insegna che di criminali fascisti non ci furono solo gli uomini (‘uomini’ poi?) di Rafael Leónidas Trujillo e di donne violentate ed uccise non solo le tre innocenti sorelle Mirabal.

Quando cambierà qualcosa? Forse bisognerebbe parlarne di più e meglio.

Perciò va dato ampio merito a Fiorella Mannoia che nell’ultimo Festival di Sanremo (7 febbraio 2024) ha cantato un brano dedicato proprio alle tre sorelle Mirabal: “Mariposa”. Brano da lei scritto (con Alfredo Rapetti Mogol Cheope, Carlo Di Francesco, Federica Abbate e Mattia Cerri), come raccontò in un'intervista rilasciata a Rolling Stone Italia:

«La canzone è stata ispirata dalle sorelle Mirabal, uccise il 25 novembre 1960 perché si opposero al regime di Trujillo. Per questo è nata ed esiste la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne. Nel pezzo ci sono le donne nel bene e nel male. Non c’è vittimismo. È un manifesto. È il momento storico che chiama. Le donne sono consapevoli della loro emancipazione. Anche se a qualcuno non piace. E lo vediamo dai fatti di cronaca. Mariposa è una canzone che fa parte della mia storia…».

Quando cambierà qualcosa? Forse bisognerebbe parlarne di più e meglio. Anche andando oltre una canzone. Andando oltre il grido delle farfalle.

25 novembre 2024 – 64 anni dopo

MARIPOSA.

Sono la strega in cima al rogo
Una farfalla che imbraccia il fucile
Una regina senza trono
Una corona d'arancio e di spine
Sono una fiamma tra le onde del mare
Sono una sposa sopra l'altare
Un grido nel silenzio che si perde nell'universo.

Sono il coraggio che genera il mondo
Sono uno specchio che si è rotto
Sono l'amore, un canto, il corpo
Un vestito troppo corto
Una voglia, un desiderio
Sono le quinte di un palcoscenico
Una città, un impero
Una metà, sono l'intero.
(...)

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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