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10 novembre 2024
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Ci sono solo leader guerrafondai
di Rinaldo Battaglia *

Il 10 novembre 1975 i Ministri degli Esteri d’Italia (il vicentino Mariano Rumor) e di Jugoslavia (Miloš Minić) firmarono il Trattato di Osimo che dopo 30 anni metteva la parola fine alla guerra tra l’Italia e lo Stato di Jugoslavia, iniziata - va ricordato - con l’invasione ordinata da Mussolini il 6 aprile 1941.

Vennero così fissati in maniera definitiva i confini tra i due Paesi tuttora validi (ora verso la Slovenia e la Croazia, ovviamente) a conclusione di quella fase iniziata con la ‘Conferenza per le riparazioni di guerra’ tenuta a Parigi il 10 febbraio 1947, la cui data, dal 2004, verrà usata quale ‘Giornata del Ricordo’ per non dimenticare, da noi, quasi esclusivamente (se non solo esclusivamente) le nostre vittime massacrate nelle foibe dagli uomini di Tito.

A Parigi nel 1947 la Commissione Jugoslava ci presentò un conto molto chiaro e sufficientemente completo, sebbene non esaustivo. Il tutto, per quanto ovvio, condiviso con gli Alleati.

A Potsdam, dal 17 luglio al 2 agosto 1945, prima i conti erano stati fatti dai vincitori alla Germania. A Parigi toccava a noi. I danni complessivi denunciati e documentati dalla Repubblica di Jugoslavia nella ’Conferenza per le riparazioni’ ammontarono a 9 miliardi e 145 milioni di dollari per i danni materiali. Quasi 10 miliardi di dollari non lire, sia ben chiaro! I morti furono quantificati in ben 1.706.000, pari al 10,8% dell’intera popolazione. 400.000 dei quali nella zona occupata o di competenza degli italiani.

Lo storico serbo Velimir Terzic, in ‘Il crollo del Regno di Jugoslavia’ del 1982, arrivò stando ad archivi e documenti ad almeno 437.395 morti e a complessivi 749.000 considerando i feriti, gli invalidi e i deportati. Altri storici slavi invece, come lo sloveno Zvonimir Zerjavic nel 1989, quantificarono i morti ‘degli italiani’ in poco oltre i 300.000. In ogni caso: un crimine.

Per usare le parole testuali ‘la stragrande maggioranza era rappresentata da vittime civili giacché, secondo le stime ufficiali jugoslave, le perdite tra i combattenti in quadrati nelle formazioni partigiane ammontarono complessivamente a 306.000 uomini’. Le cifre, pesantissime e non bisognose di ulteriori commenti, vennero altresì integrate dai dati dei reduci dei campi di concentramento e sterminio in Jugoslavia e Italia (la Risiera di San Sabba venne quasi considerata come un transito per Auschwitz, come nei fatti avvenne), dalla ‘distruzione del 25% degli abitati e dai danni arrecati dagli occupanti (italiani) ai rami dell’industria, dell’agricoltura, dei trasporti e delle materie prime’.

A conclusione dei lavori all’Italia fu imposto di pagare come risarcimento di quanto provocato, complessivamente, 360 milioni di dollari Usa. Un terzo (125 milioni di dollari - possiamo dire oggi 4 volte il peso della nostre 'finanziarie') alla Jugoslavia, poco meno all’Urss (100 milioni) per la partecipazione all’operazione Barbarossa e alla Grecia (105 milioni). I restanti ad Albania (5 milioni) ed Etiopia (25 milioni). Per avere corretta valutazione, del risarcimento dei danni, alla Germania vennero richiesti 20 miliardi (55 volte più dell’Italia).

Alla fin fine, dei paesi sconfitti e puniti, solo la Finlandia onorerà il suo debito (300 milioni). L’Italia lo farà solo molto in parte, a più riprese, talvolta aiutata dagli Stati Uniti, preoccupati non poco dallo strapotere dell’URSS, e del continuo crescere dell’idea ‘comunista’ in Europa e nel mondo.

La nostra politica ‘anti-Mosca’ e altalenante verso Tito – ‘nemico’ degli Usa fino al giugno 1948 e poi ‘amico ‘, dopo lo ‘strappo’ con Stalin – va di certo letta anche sotto questo aspetto, per nulla, per nulla di certo secondario.

A Parigi nel 1947 venne inoltre decisa la cessione alla Jugoslavia di gran parte della Venezia Giulia, Fiume e le isole del Quarnaro, la quasi totalità dell'Istria e gli altopiani carsici a est e nord-est di Gorizia e la creazione del Territorio Libero di Trieste (TLT). Il T.L.T. comprendeva l'attuale provincia di Trieste e i territori costieri istriani da Ancarano a Cittanova (oggi rispettivamente in Slovenia e Croazia). La mancata attivazione delle procedure per la costituzione degli organi costituzionali del TLT impedì però di fatto a quest'ultimo di nascere. Solo la successiva cessione del potere di amministrazione civile del TLT rispettivamente all'Italia (zona A) e Jugoslavia (zona B) nel 1954 creò le condizioni per gli sviluppi successivi che portarono appunto al trattato di Osimo.

Il T.L.T. comprendeva l'attuale provincia di Trieste e i territori costieri istriani da Ancarano a Cittanova (oggi rispettivamente in Slovenia e Croazia). La mancata attivazione delle procedure per la costituzione degli organi costituzionali del TLT impedì però di fatto a quest'ultimo di nascere. Solo la successiva cessione del potere di amministrazione civile del TLT rispettivamente all'Italia (zona A) e Jugoslavia (zona B) nel 1954 creò le condizioni per gli sviluppi successivi che portarono appunto al trattato di Osimo.

Nel trattato del 1975 si stabilirono le regole per la salvaguardia dell'identità della popolazione di lingua italiana in territorio jugoslavo nell'ex zona B (in gran parte diminuita però dopo l'esodo della maggioranza degli italiani, esodo provocato dalla violenza degli uomini di Tito) e di quella della popolazione di lingua e cultura slovena (che viveva e vive in territorio italiano nell'ex zona A). Il tutto con idonee autonomie. Per il suo contenuto questo trattato venne tuttavia molto avversato da parte delle popolazioni coinvolte, soprattutto dagli esuli italiani che hanno sempre sostenuto di essere stati totalmente abbandonati dall'Italia.

Furono inoltre decise alcune lievi rettifiche del confine. In particolare, sul Monte Sabotino ritornò all'Italia la cresta di cima fra la vetta e i ruderi della chiesa di San Valentino: l'Italia in cambio costruì una strada internazionale per collegare il Collio sloveno a Nova Gorica sulle pendici di quel monte. Fu inoltre stabilita l'evacuazione di alcune sacche di occupazione jugoslave in territorio italiano nella zona del Monte Colovrat e la sistemazione dello status del Cimitero di Merna. Questo era diviso dal confine dal 1947 e con il filo spinato ed una rete metallica che passava tra le tombe, passò quindi interamente sotto sovranità jugoslava in cambio di un'equivalente porzione di territorio ceduto all'Italia, nelle sue immediate vicinanze.

Il Trattato di Osimo stabilì infine la costruzione dei collegamenti autostradali fra Italia e Jugoslavia, attraverso i valichi di Fernetti, Rabuiese e Pesek. I primi due furono ultimati, rispettivamente, solo nel 1997 e nel 2008.

Era prevista inoltre la costruzione di una vasta zona franca industriale sul Carso, a cavallo del confine fra i due Paesi, nella zona a sud del valico di Fernetti. Tale progetto non venne mai realizzato, a causa dell'opposizione italiana dovuta al timore per le conseguenze ecologiche che la zona industriale avrebbe avuto sul delicato ecosistema carsico e per gli sconvolgimenti demografici che in seguito al libero movimento dei lavoratori avrebbero interessato il territorio triestino (era previsto l'arrivo di decine di migliaia di lavoratori jugoslavi, mettendo così in discussione la maggioranza italiana di Trieste).

Il Trattato di Osimo venne ratificato dall'Italia il 14 marzo 1977 (legge n. 73/77) ed entrò in vigore l'11 ottobre 1977.

Dopo il distacco dalla federazione jugoslava di Slovenia e Croazia, nei cui confini sono compresi i territori inerenti al trattato di Osimo, alcuni esuli e qualche politico italiano misero in discussione la validità del trattato stesso, ma l'Italia rapidamente riconobbe Slovenia e Croazia come legittimi successori degli impegni internazionali della Jugoslavia, comprendendo pure il trattato di Osimo per le rispettive parti di competenza.

Ci vollero 34 anni e centinaia di migliaia di morti ed esuli da ambo le parti per porre la parola ‘fine’ alla guerra voluta dal Duce e dal Fuhrer nell’aprile 1941 e per iniziare un percorso quanto mai opportuno di pace tra i due popoli vicini, perché come scriveva a suo tempo Ralph Bunche – premio Nobel per la pace 1950 – ‘Non ci sono popoli bellicosi, solo leader guerrafondai”.

E da entrambe le parti ne abbiamo avuto per troppo, troppo tempo...

10 novembre 2024 – 49 anni dopo

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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