 |
Morto per fatale incidente
di
Armando Reggio
GIOVANNI ARDIZZONE ERA UN 21ENNE IDEALISTA: FU AMMAZZATO DA UN POLIZIOTTO IL 27 OTTOBRE 1962, MENTRE MANIFESTAVA PACIFICAMENTE.
SEMBRA UNA STORIA DI OGGI, A 62 ANNI DI DISTANZA!
Giovanni fu uno dei primi giovani a soccombere con il massimo sacrificio per il proprio spirito democratico, per la pretesa dell'uguaglianza fra i popoli.
Poi Roberto Franceschi, ancora a Milano... e centinaia nel Paese.
Il “giuvin stüdent” Giovanni era il figlio unico del farmacista di Castano Primo, paesino alle porte di Milano.
Frequentava il secondo anno di Medicina.
Di famiglia borghese, dunque, ma, non era un'eccezione che un ragazzo "con il futuro sicuro" fosse comunista, pacifista.
Era stato per molti Partigiani, lo era per dirigenti di partiti e movimenti di sinistra e per i ragazzi dall'idealismo internazionalista, allevati ai valori antifascisti della Repubblica, ancora giovanissima: gli echi della Resistenza risuonavano ancora vivi dai monti.
Giovanni, del resto, da adolescente aveva frequentato l'oratorio di paese, com'era e ancora è comune. Si era persino iscritto al MSI a 17 anni!
Il ripensamento, la consapevolezza di quella scelta provocata dall'angustia del pregiudizio provinciale di una chiesa classista, gli vennero presto: saranno certo state già sopite nella sua sensibilità, ma, appena matricola, la conoscenza della metropoli dei coetanei fermente di desiderio di giustizia sociale gli indicò la strada.
La strada della pace, lui uguale agli altri.
E addio per sempre ai privilegi.
Grazie ai tanti Giovanni, noi - che abbiamo scelto la politica nei decenni successivi - siamo cresciuti a quei valori, a quegli ideali, che battono nel cuore.
Finché il cuore batterà.
Durante la settimana Giovanni abitava nel collegio universitario 'Fulvio Testi' a Sesto San Giovanni: vita di un giovane studente impegnato in politica, un idealista, come tanti studenti in quegli anni del 'miracolo economico', grazie al quale fruirono del positivo risvolto della conoscenza di molti coetanei immigrati dal Sud.
I germi della comunità democratica, che pure traeva alimento dal profondo sentimento antifascista: i Partigiani appena 15 anni prima ci avevano donato il bene della democrazia.
La democrazia conquistata e desiderata ovunque nel mondo, nella fratellanza e nella sorellanza.
Fra compagni.
Si manifestava al grido dell'Internazionale: un moto di liberazione, che coinvolgeva le generazioni di tutti i Paesi: si progettava, si sperava, si sentiva di avere per sé il futuro.
Ecco, Giovanni viveva il proprio tempo, com'era per i suoi compagni e quelli - come molti fra noi - che son cresciuti in quel tempo e negli anni '70.
Erano dense le sue giornate: scivolavano fra studio, amici, musica, cinema e militanza politica, che tutto improntava di sé.
Volantinare, riunirsi in assemblea o al collettivo, manifestare in piazza: il senso del vivere.
E Giovanni mai si assentava, c'era senza risparmio.
A 21 anni la passione moltiplica le energie, già esplosive.
Disponibile sempre, così, con le compagne e i compagni: l'unità entusiasma, infonde coraggio, afferma la giustezza della lotta.
Anche quel 27 ottobre del 1962 fu irrinunciabile per Giovanni.
Era la stagione della 'crisi dei missili' a Cuba.
Quel sabato pomeriggio autunnale pioveva.
Giovanni con i compagni partecipava allo sciopero generale indetto dalla Camera del Lavoro di Milano. Come nelle altre città d'Italia.
Era sabato. E allora - 62 anni fa - il sabato era una giornata lavorativa.
Manifestazione per la pace, solidarietà con il popolo cubano.
Gli operai aderirono in massa, dal 70% all'80%, persino il 100% in alcune fabbriche.
Allora - come nei bei lunghi anni successivi - era consueta la partecipazione di massa.
E l'unità fra operai e studenti prendeva sempre più a stabilizzarsi, per manifestarsi poi platealmente nella stagione del '68.
Un'unità, che era germogliata feconda dagli anni '50, quando i governi, pur se formalmente centristi, avevano un evidente impianto conservatore con rigurgiti reazionari.
Un'alleanza fra studenti e operai, che tanto giovó alla nostra vita civile, se pensiamo alle conquiste sociali e civili che ne conseguirono, pur essendo il PCI all'opposizione.
Del resto, gli stessi gruppi, che venivano detti 'extraparlamentari' fecero la loro parte.
Il corteo, dunque, nonostante la pioggia, era imponente: a decine di migliaia lavoratori, studenti e cittadini sfilarono per le vie di Milano con le parole d’ordine sugli striscioni e negli slogan: "Indipendenza per Cuba", “Si alla pace, no alla guerra”, “Cuba sì, Yankee no”, "Pace pace", Disarmo", “Fuori le basi nordamericane”.
Giovanni era in testa, nella prima fila del lungo corteo, con i suoi compagni. Come sempre.
Sin dalla partenza del corteo, in corso della Vittoria la polizia presenziava nutritissima: il questore schieró il Terzo Battaglione della Celere - corpo speciale anti-manifestazioni voluto dal ministro Scelba - giunto appositamente da Padova.
Tuttavia, fino ai pressi di piazza Duomo - dove il corteo sarebbe confluito per i discorsi dei sindacalisti nazionali - non ci fu alcuno scontro o incidente rilevante.
Eppure, proprio quando la testa del corteo sta per entrare in piazza, il clima inopinatamente muta, senza motivo apparente per i manifestanti, ma - non era né è ancora oggi una novità - premeditato per la questura: la polizia, infatti, riceve l'ordine di disperdere i manifestanti.
Cariche, pestaggi, manganellate all'impazzata. Da macabro sottofondo il rombo dei motori delle jeep contro i manifestanti inermi e impreparati.
Quel rombo, la colonna sonora di un lugubre e violento film contro persone pacifiche.
Film, che negli anni successivi altri cortei avrebbero imparato a conoscere e a temere.
A subire con la propria vita.
Un vile attacco a freddo, come i tantissimi che subiamo ancora oggj.
Così, i manifestanti provarono a reagire, difendendosi come potevano e con quello che trovavano: pietre e bastoni contro jeep e moschetti.
Ma evidentemente il rapporto di forza è impari.
La legge vile dello stato di polizia: la forza dei tanti attrezzati contro i pochi alla sprovvista.
Ai giovani è impedito di entrare in piazza Duomo: i caroselli delle camionette li costringono a rifugiarsi nelle vie adiacenti, inseguiti dai poliziotti che si scatenano in una vera e propria caccia all'uomo.
Dove gli spazi sono più ampi le jeep si lanciano a folle velocità contro i manifestanti senza fermarsi davanti a nulla. Pare proprio cerchino di uccidere.
E ci riescono.
Giovanni Ardizzone viene investito e travolto in via Mengoni, tra la Loggia dei Mercanti e piazza Duomo.
Rimane lì sul selciato con il giubbotto di fustagno marrone lacerato, il volto cosparso di terra e gli occhi sbarrati.
Accanto al suo corpo violato i resti di quella che era stata una bicicletta, ridotta in due tronconi informi e contorti.
Ma le cariche omicide non si fermano. Altre due vittime restano al suolo, vive: il muratore Nicola Giardino di 38 anni e l’operaio Luigi Scalmana di 57.
Appare subito chiaro che per Giovanni non c'è più nulla da fare per salvarlo alla vita: morirà poche ore dopo in ospedale.
A Nicola e Luigi va meglio, proprio meglio, dalla barbarie della violenza omocida: dopo essere rimasti tra la vita e la morte per alcuni giorni, si salvano.
Il corpo di Giovanni giaceva lì, ancora caldo e madido.
La folla, d'impulso, si armò di pietre e bastoni scagliandosi contro le forze di polizia, costringendole così più volte alla ritirata. Ma quelle forze di polizia, sentendosi superiori in uomini e mezzi, si diedero a una ulteriore caccia all'uomo per le vie di Milano: fermarono tantissimi manifestanti e ne ferirono a decine.
La notizia dell'assassinio di Giovanni fa suboto il giro della città.
Nella notte tra sabato e domenica gruppi di operai, studenti e cittadini arrivano alla spicciolata nel luogo dove Giovanni è stato ucciso, si siedono per terra e rimangono lì per tutta la notte in una silenziosa veglia.
Il ministro dell'Interno, Paolo Emilio Taviani, con l'evidente intento di deviare e insabbiare l'assassinio, diffonde la propria versione dei fatti, quella 'ufficiale' avallata e ripresa da gran parte dei quotidiani:
“Si tratta di un banale per quanto spiacevole incidente stradale”.
Semplicemente spudorato.
Nessuno ci crede, ovviamente!
Il giorno dopo, la domenica, i piccoli gruppi diventano una folla straripante di dolore e rabbia: si riversa decisa in piazza Duomo.
Il posto dove è caduto Giovanni Ardizzone viene sommerso da fiori, foglietti e cartelli.
Il lunedì scendono gli operai delle fabbriche milanesi scendono
in piazza a scioperare gridando sdegno e pretesa di giustizia.
Nelle università e nelle scuole superiori di città e provincia vengono sospese le lezioni in segno di protesta, indignazione e dolore.
La 'Statale' a via Festa del Perdono è di Giovanni.
Nella notte tra lunedì e martedì la foto di Giovanni viene posta nel Sacrario dedicato ai Caduti della Resistenza alla Loggia dei Mercanti, dove è caduto ammazzato.
Sì, Giovanni resistente, compagno fedele dei suoi Padri Partigiani.
L'omaggio commosso dei cittadini milanesi e lombardi è ininterrotto.
E l'emozione e lo sdegno per l'assassinio di Giovanni varcano i confini di Milano:
In tutto il Paese vengono indetti scioperi e manifestazioni di studenti, operai e migliaia di cittadini.
Giovanni Ardizzone non resta solo neppure nel suo ultimo viaggio.
Il giorno dei funerali Castano Primo è pacificamente invasa da migliaia di persone, arrivate da ogni parte d'Italia per dare l'estremo saluto al giovane comunista caduto mentre manifestava per la pace contro la guerra, per la liberazione dei popoli, per Cuba.
Giovanni sarebbe stato solo uno dei primi giovani idealisti ammazzati per mano poliziesca o neofascista.
Ideologie di morte spesso coincidenti in quella mano.
A ottobre del 2012, per il cinquantesimo della morte, il Sindaco Giuliano Pisapua per il Comune di Milano ha posto una lapide in Via Mengoni, nel luogo dove Giovanni venne ammazzato: "Giovanni Ardizzone pacifista e amico del popolo cubano".
Il governo cubano, riconoscente all'ardore di Giovanni, gli dedicò la facoltà di Medicina dell'Università dell'Isola della Gioventù, dove studiano infermieri provenienti dal terzo mondo.
E una sua foto è esposta nell'aula magna di Nueva Gerona.
La manifestazione dell'associazione 'Italia Cuba' a Milano per il cinquantesimo, il 27 ottobre 2012
Così in una ballata in dialetto milanese, "La ballata per l'Ardizzone", il cantautore Ivan Della Mea nel 1963 raccontava l’uccisione di Giovanni:
"M'han dit che incö la pulisiaa l'ha cupà un giuvin ne la via; sarà stà, m'han dit, vers i sett ur a un cumisi dei lauradur. Giovanni Ardizzone l'era el so nom, de mesté stüdent üniversitari, comunista, amis dei proletari: a l'han cupà visin al noster Domm. E i giurnai de tüta la tera diseven: Castro, Kennedy e Krusciòv; e lü 'l vusava: «Si alla pace e no alla guerra!» e cun la pace in buca a l'è mort. In via Grossi i pulé cui manganell, vegnü da Padova, specialisà in dimustrasiun, han tacà cunt i gipp un carusel e cunt i röd han schiscià l'Ardissun. A la gent gh'è andà inséma la vista, per la mort del giuvin stüdent e pien de rabia: «Pulé fascista – vusaven - mascalsun e delinquent». E i giurnai de l'ultima edisiun a disen tücc: «Un giovane studente, e incö una gran dimustrasiun, è morto per fatale incidente, è morto per fatale incidente, è morto per fatale incidente".
VAI A TUTTE LE NOTIZIE SU COSTITUZIONE
 
Dossier
diritti
|
|