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30 settembre 2024
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La strage di Monte Sole
di Rinaldo Battaglia *

Dal 29 settembre al 5 ottobre ’44, nell’Appennino bolognese i paesi di Marzabotto, Monzuno, Grizzana Morandi e moltissime piccole località fra Setta e Reno subirono uno dei più criminali massacri compiuti sul fronte occidentale: è la strage di Monte Sole, la madre di tutte le stragi.

I morti identificati furono 945 di cui 216 bambini, 316 donne, 172 vecchi di oltre 70 anni, 251 uomini civili. Complessivamente tra uccisi, dispersi e scomparsi (molti anche deportati nei lager nazisti) si parla di oltre 1.830 persone. Saranno oltre 20.000 i deportati in Emilia durante la guerra civile e solo 5.000 nel bolognese.

È la strage di Monte Sole, o limitandone il raggio di azione e quindi il numero delle vittime, quella di Marzabotto. La madre di tutte le stragi.

Come a Sant’Anna, anche qui ancora gli uomini di Reder, sempre aiutati e guidati da fanatici fascisti della zona, cresciuti nella scuola del Duce. Due di questi furono poi condannati a morte: Lorenzo Mingardi e Giovanni Quadri. Il primo era reggente del Fascio di Marzabotto e Commissario prefettizio di zona nel ‘44 e il secondo il suo braccio destro. Le più alte autorità di Mussolini in loco. Fascisti doc.

Alla fine le pene saranno trasformate e ridotte a pochi anni di carcere, per le mille amnistie di allora. A morire, senza amnistie, invece furono prima molti loro compaesani, alcuni direttamente in chiesa, mentre recitavano il rosario, tra le parole di conforto del giovane parroco don Ubaldo Marchioni di soli 26 anni, uno dei primi ad essere ucciso. Altri furono radunati nel cimitero e lì mitragliati o uccisi con bombe a mano. Qualcuno si salvò e sarà testimone del massacro. Come Lidia Pirini, 15 anni allora. Come Elena Ruggeri salvatasi in chiesa. Perse tutta la famiglia. Tra le vittime anche Bruna Zebri, che all’epoca dei fatti aveva appena diciotto anni, ma aveva già deciso da che parte combattere: quella dei partigiani.

Il 30 settembre 1944 le S.S. raggiunsero Colulla di Sopra, la località nella quale viveva la famiglia Zebri. Il padre Mario e il figlio Pietro, convinti, come molti altri in quei tragici giorni, che i tedeschi stessero cercando uomini per deportarli in Germania, abbandonarono la propria dimora al mattino e si nascosero tra i boschi. Quando tornarono, nel pomeriggio, li si presentò davanti agli occhi la peggiore visione possibile. Tutti i loro familiari erano stati uccisi. Tra questi la moglie Florinda, il figlio Bruno e le figlie, Matilde e Bruna: entrambe avevano aderito fin dal gennaio del ‘44 alla Stella Rossa. Ma la visione più terrificante Mario doveva ancora incrociarla: il feto del piccolo che Bruna portava in grembo, rimosso dalla pancia squarciata della madre e infilzato con le baionette.

Lo storico Renato Giorgi lo descrisse in modo commovente in ‘Marzabotto parla’. Nella frazione di Cerpiano, i nazisti ammucchiarono 49 persone, quasi tutte mamme coi loro bambini, nell’oratorio. Le picchiarono ridendo – disse qualche testimone – mentre chiudevano a chiave la porta. Poi dalla finestra gettarono bombe a mano. Chi non morì subito, ferito tra dolori e pianti, sentì che fuori dall’oratorio i soldati di sentinella ridevano, bevevano e suonavano la fisarmonica. Alla mattina nell’oratorio fu spedito dentro un maiale affamato, affinché passasse tra i morti o i feriti in fin di vita. Due bambini si salvarono, Fernando Piretti di 8 anni e Paolo Rossi di 6. I loro genitori cadendo li avevano coperti. Il maiale forse non li aveva visti o non aveva avuto il coraggio di far loro ulteriore male. E i maiali sono animali, dicono. Ma talvolta meno di certi uomini in divisa.

Per la strage di Monte Sole e Marzabotto il feldmaresciallo Kesserling, comandante delle forze tedesche in Italia, a suo tempo si complimentò con gli uomini della 16ª divisione e in particolare col loro capo, il trentenne maggiore Walter Reder, che ringraziò soddisfatto: «In due giorni abbiamo ucciso 800 partigiani». Al processo a Bologna nel 1951 il maggiore Reder, il Monco, fu condannato all’ergastolo e incarcerato a Gaeta. Nel 1964 si appellò al sindaco di Marzabotto per ottenere il perdono e quindi poter chiedere la grazia. Fu deciso un referendum: su 286 votanti, 282 votarono contro. Ma nel 1980 ottenne la libertà condizionale e nel 1985 ugualmente la scarcerazione definitiva, per diretto interessamento del premier Craxi, e venne così accompagnato alla frontiera dalle autorità italiane.

Craxi? Chissà perché? Sarebbe bello approfondire. Chi o soprattutto quale cosa e forse quanto lo convinse?

Reder, tornato nel suo paese, in Austria, negò di aver chiesto il perdono nel 1964. La grazia? «L’ha chiesta il mio avvocato». Morì il 26 aprile 1991 a Vienna. Nessuno pianse quel giorno – credo – a Marzabotto e a Vinca. Non ricordo invece cosa fece Craxi. E personalmente non voglio neanche saperlo.

Se qualcuno oggi cercasse ancora la 'matrice' del fascismo dovrebbe solo passare un attimo da quelle parti. Ma non lo farà, perchè se lo facesse non potrebbe non fare il nome del 'grande colpevole': Benito Mussolini. Cosa che non riesce, come a Roma lo scorso 13 dicembre 2022 quando si parlò di 'infami leggi razziali' senza dire chi le firmò.

Invece di dedicare vie a Giorgio Almirante, appendere ai muri delle sedi del partito foto di Junio Valerio Borghese, invece di costruire mausolei a criminali di guerra (e numero 2 a Salò al tempo di Marzabotto), consiglierei di portare i loro fans sulle colline di Marzabotto. Anzichè organizzare tour turistici a Predappio perchè non farlo qui? E consiglio di lasciare a casa le magliette con la scritta 'Auschwitz-land' (mi ricordo una ex-esponente di Forza Nuova a Predappio il 28 settembre 2018 alla ‘sfilata dei nostalgici’… 28 settembre e chissà perché quella data, il giorno prima dell’inizio, vero?). E ovviamente non scrivere 'Marzabotto-land'.

Per rispetto di tutti qui morti innocenti sia nei lager di Polonia, sia nelle stragi sulle nostre colline. Trovereste la 'matrice cercata' e forse conoscerete meglio la Storia, quella vera, quella tragica, non la narrazione raccontata più volte offendendo gli italiani, come quella che a Roma in Via Rasella (nei giorni della seconda retata contro gli ebrei) i nazisti erano 'suonatori in pensione'.

Io mi vergognerei, come mi sono quel giorno vergognato di essere italiano. Ma ultimamente mi succede spesso. E magari a chi discende dai ‘figli della lupa’, ha ereditato parte del fallimento dell’Uomo della Provvidenza, o manda la Digos a identificare chi alla Scala grida oggi con forza ‘Viva l’Italia Antifascista’, sarebbe opportuno che cercasse nelle pagine della Storia come venne venduta subito quella strage.

Ricordo loro, infatti, che già il 5 ottobre 1944, dopo sei giorni di morte il numero degli uccisi superava già le 770 persone ‘identificate’ e quella notizia, in breve, oltrepassò gli Appennini, arrivò presto anche in Veneto e Toscana e terrorizzò la gente. I fascisti di Salò negarono tutto. Fa parte dell’istinto fascista negare e scappare come ladri. Anche il Duce 6 mesi dopo ne darà l’esempio, vigliaccamente. Anche adesso dove i loro eredi non riescono a mettere insieme il nome di Mussolini con quello delle sue 'leggi infami'.

L’allora megafono del regime di Bologna – il Resto del Carlino – in quei giorni uscirà più volte con falsità di questo tenore: «Le solite voci incontrollate, prodotto tipico di galoppanti fantasie in tempo di guerra, assicuravano fino a ieri che nel corso di una operazione di polizia contro una banda di fuorilegge, ben centocinquanta fra donne, vecchi e bambini erano stati fucilati da truppe germaniche di rastrellamento nel comune di Marzabotto... Siamo dunque di fronte a una nuova manovra dei soliti incoscienti destinata a cadere nel ridicolo perché chiunque avesse voluto interpellare un qualsiasi onesto abitante di Marzabotto o, quanto meno, qualche persona reduce da quei luoghi, avrebbe appreso l'autentica versione dei fatti». (da “Il Resto del Carlino, 11 ottobre 1944”, anche riportato in ‘Wu Ming, 54, Torino, Einaudi, 2002, pp. 375-376)

Verificate e, se potete, magari offendetevi nel sapere che anche di recente (febbraio del 2017), qualche politico ha definito «Marzabotto, un simbolo di codardia e di banditismo partigiano elevato a eroismo». (da Corriere della Sera – Bologna - 16 maggio 2019).

Tralascio il nome di quella persona non ritenendola meritevole nemmeno della mia menzione. Talvolta le parole identificano per bene chi le dice e come le dice.

Verificate, ma soprattutto passate veramente un giorno dalle parti di Marzabotto e capirete. Il dolore, anche dopo 80 anni, è come il vento: non lo si vede ma lo si percepisce con facilità. Anche sulla pelle, anche a fine settembre quando l'estate se ne sta andando, forse anch’essa stanca e sofferente di quanto visto allora. Su quelle colline 945 anime si sono in quei giorni fermate per sempre: 216 erano solo bambini. E il bambino di Bruna, mai nato, non è nemmeno compreso. Tutto il resto non conta.

È la strage di Marzabotto, strage nazista e fascista. È la strage di cui poco si parla e di cui è meglio non parlare.

È la strage di Monte Sole, la madre di tutte le stragi.

Una foto di qualche anno prima della strage, evidenzia suor Antonietta ed alcune sue giovani allieve. Il 29 settembre 1944 i nazisti guidati da alcuni fascisti di Marzabotto, ammassarono nell’oratorio di Cerpiano, quello dedicato agli Angeli Custodi, una cinquantina di persone, quasi tutte donne coi loro bambini, e le massacrarono con bombe a mano. Poi, non paghi, il giorno dopo per assicurarsi che non vi fossero sopravvissuti spararono più volte all’interno dell’edificio. Solo due bambine e la loro maestra, la suora orsolina Antonietta Benni, si salvarono: i corpi degli altri martiri fecero loro da scudo.

Dolore uguale a quello delle stragi fasciste in terra di Istria e Dalmazia. Stesso dolore, stesso sangue. Diversi solo i ruoli. Italiani prima carnefici, poi vittime.

29 settembre 2024 – 80 anni dopo - Rinaldo Battaglia

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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