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Gennarino è la risposta
di
Rinaldo Battaglia *
Da tempo, soprattutto negli ultimi anni, vi è una forte spinta reazionaria, tesa a ridimensionare il valore storico e morale della Resistenza e dei partigiani. A farlo ovviamente sono i ‘figli della lupa’, gli eredi storici e morali di chi risultò sconfitto. Perché quella ideologia doveva solo perdere e lasciare che il Paese uscisse finalmente da un ventennio di dittatura, prigioni, leggi sulla razza, mancanza di libertà, sfociato poi inevitabilmente in una guerra catastrofica. Guerra inevitabile perché, come diceva il Duce, già dal 24 agosto 1934, ‘la Nazione’ doveva essere pronta non da domani, ma da subito, da sempre.
Abbiamo mille esempi dall’attuale Premier che non riesce ad accostare il nome di Mussolini alle ‘infami leggi razziali’ (Roma, 13 dicembre 2022) o pronunciare in un discorso pubblico (Altare della Patria, 25 Aprile 2023) la parola ‘partigiani’ (se non riferita ai resistenti ucraini). E mentre in quell’importante e simbolica giornata a Cuneo del 2023, in memoria delle stragi naziste e fasciste di Boves, il Presidente Mattarella citava il padre costituente Piero Calamandrei «Se volete andare in pellegrinaggio, nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati», la versione del Capo del Governo risultava un’altra.
Prendo a prestito alcune righe di un articolo di Francesca De Benedetti su ‘Domani’ di quel penultimo 25 aprile:
“La premier parla di «sanguinosa guerra civile», «spirale di odio» ed «esclusione di massa»: accusa «il fatto di usare la categoria del fascismo come strumento di delegittimazione di qualsiasi avversario politico; una sorta di arma di esclusione di massa, come ha insegnato Augusto Del Noce, che per decenni ha consentito di estromettere persone, associazioni e partiti da ogni ambito di confronto, di discussione, di semplice ascolto»”.
Ma non solo: da altrettanto tempo molti porta-microfoni, sui media, continuano a vendere una narrazione falsa e falsificata della Resistenza, facendola passare solo ‘rossa’ in quanto solo comunista. Sarebbe facile contraddire la loro ignoranza storica se la Storia fosse insegnata, usata, conosciuta. Perché chi ha aperto quel libro sa che nella Resistenza vi erano più componenti, talvolta anche in forte contrasto tra di loro.
E se le ‘Brigate Garibaldi’ erano di certo legate al PCI, le ‘Giustizia e Libertà’ invece lo erano col Partito d’Azione, le ‘Matteotti’ al PSI, oltre ai ‘partigiani bianchi’ ossia le formazioni cattoliche che sfoceranno poi nella DC di De Gasperi. E il fatto che la Resistenza partigiana fosse diversificata e plurima va esaltato, dopo che per oltre 20 anni era esistito in Italia solo ‘un pensiero unico’, un solo maledetto pensiero unico. Fallito, peraltro.
È falso e falsificato, anche in termini non solo di qualità ideologica, ma anche di quantità di forze sul campo. E se le ‘Garibaldi’ fossero stati attorno quasi al 50%, le ‘Giustizia e Libertà’ si sarebbero attestati sul 20% e di poco superiori alle altre due. Quindi chi afferma che la Resistenza era solo rossa, per sminuirla, frazionarla, irriderla (perchè magari legata a Mosca, quindi a stranieri, come se il fascismo fosse stato ‘scollegato’ dal nazismo tedesco) sbaglia sapendo di sbagliare. O, se vogliamo usando citazioni opportune, come diceva Bertolt Brecht ‘chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente’.
Ci sono molte domande che sorgono spontanee, sentendo queste voci di ‘ridimensionamento’ o, peggio, ‘azzeramento’ del valore della Resistenza. In base a quali eventi storici si nega l’importanza dei partigiani? Perché solo in questi ultimi anni?
Forse da quando Berlusconi ha sdoganato nel ’94 i post-fascisti o da quando nominò nel 2001, nel suo 2° e 3° governo, un ex-fascista repubblichino di Salò come Mirko Tremaglia quale Ministro della Repubblica, Repubblica – giova ricordarlo sempre - nata nel ’46 sulle ceneri lasciate dal fascismo di Mussolini e soprattutto sui corpi dei partigiani che, con gli Alleati, lo sconfissero.
Ultimamente sta prendendo corpo l’idea che la Resistenza non sia servita a nulla, tanto ‘gli Alleati’ stessi ci avrebbero liberato ugualmente. Sostenere questo significa offendere chi si è sacrificato affinchè altri italiani avessero un futuro diverso e in un paese diverso da quello precedente. A guerra finita, mentre la War Crimes Commission il 4 marzo 1948 identificherà in 1.283 i criminali di guerra fascisti, gli storici quantificarono in 70 mila (69.774 per la precisione) i partigiani morti durante la Resistenza, ai quali vanno sommati 62 mila dispersi (62.354) e 37 mila (36.610) gravemente feriti e/o mutilati. E fu grazie a loro se, a Parigi il 10 febbraio 1947, l’Italia sconfitta non fu divisa in più fette a differenza del socio precedente, la Germania, come Churchill parlava e pretendeva sin dai tempi della Conferenza di Teheran.
(...)
Oggi è il 29 settembre 2024. 81 anni fa, come oggi, a Napoli, moriva uno di quei ragazzi, poco più che bambini. Quel giorno aveva solo 11 anni, 3 mesi, 27 giorni di vita. Oggi farebbe la 5° elementare, al massimo la 1° media. Di nome faceva Gennaro Capuozzo, ma per tutti a Napoli era solo lo ‘scugnizzo’ Gennarino.
Ecco: se qualcuno ha ancora delle domande irrisolte o pendenti sulla Resistenza, in Gennarino trova tutte le risposte del caso, perché Gennarino è la risposta ad ogni domanda.
Gennarino non era un fanatico, un fondamentalista, un ‘senza patria né casa’, un integralista. Assolutamente no, anzi. Si era trovato capofamiglia già nel ’42 quando suo padre fu chiamato dal Duce alla guerra e sebbene questi avesse tre figli piccoli (Gennarino era il maggiore) fu costretto a partire. Pensate: Mussolini mandò in guerra anche padri di tre figli che già facevano fatica, se presenti, a mantenere in vita la famiglia. Servivano soldati, servivano braccia e corpi da usare in Africa, Grecia, Jugoslavia, Russia come carne da macello. Mussolini sì, quello che l’attuale Premier solo pochi anni fa definiva come ‘il più grande statista italiano del secolo scorso’. Verificare sul web per credere. A quel tempo, allora, era in grado di pronunciare quel nome, ora non più. Chissà come mai.
Gennarino, scugnizzo dei ‘bassi di Napoli’, si trovò così costretto lavorare a dieci anni come ‘apprendista commesso’ per pochi centesimi al giorno pur di portare a casa qualcosa da far masticare alla madre e ai due fratellini. Miseria e disperazione allo stato puro, ma sempre con molta, moltissima dignità.
Le cose peggiorarono col peggiorare della guerra nell’estate del ’43. E dopo l’8 settembre la sua Napoli divenne vitale. Peggio ancora dopo il 9 settembre, quando gli Alleati sbarcarono a Salerno. Il feldmaresciallo Albert K. Kesselring, padre-padrone allora dell’Italia occupata dai nazisti, fu chiarissimo col suo uomo sul posto, il col. Hans Walter Scholl. Napoli non doveva cadere perchè, se fosse caduta poi la strada verso Roma sarebbe risultata solo una questione di tempo. Come sarà nei fatti, dopo.
Quindi massima repressione e legge marziale sin dal 12 settembre, con un proclama detto e affisso sui muri: ‘per ogni tedesco morto ci saranno 100 napoletani che saranno uccisi’. Non solo: essendo i napoletani italiani e gli italiani traditori del Patto d’Acciaio firmato dal Duce e dal Fuhrer il 22 maggio 1939, che aveva aperto la strada alla guerra, tutti i napoletani maschi dai 18 anni ai 33 dovevano essere arrestati e deportati nei campi di lavoro coatti o nei lager del Terzo Reich. L’obiettivo era di ‘catturare’ almeno 30 mila napoletani. Come non bastasse, temendo uno sbarco dal mare come a Salerno, il col. Scholl ordinò l’immediato sgombero di tutte le case sulla costa fino ai 300 metri dal mare. Parliamo di 240 mila persone colpite o interessate, costrette ad abbandonare la loro abitazione. Inutile dire le conseguenze sulla popolazione di questi due disposizioni: terrore e sgomento.
I nazisti iniziarono subito, già da quel giorno 12, giorno peraltro in cui dal Gran Sasso ritornava in vita il Duce, resuscitato da Hitler. Le strade furono bloccate, tutti i maschi di quell’età che venivano trovati per strada o rintracciati nelle vie della città presi, caricati su camion come bestie e deportati in edifici, quale parcheggio, in attesa di esser spediti come bestie in Germania. Molte case, saccheggiate derubate, svuotate. Chi osava protestare o reagire veniva ucciso sul posto senza pietà. Come bestie e peggio delle bestie.
All’alba del 27 settembre i napoletani arrestati risultavano oltre 8 mila. Numeri spaventosi. La popolazione iniziò a reagire, non riusciva più a sopportarlo. La scintilla fu l’uccisione di alcuni marinai a bruciapelo, mentre si stavano dissetando su una fontana di una piazzetta. Partirono spontaneamente le prime barricate per bloccare il passaggio dei nazisti e alcuni quartieri della città divennero off-limits. La gente del Vomero riuscì ad impadronirsi di armi e munizioni. Vennero liberati dei piccoli depositi e arsenali, svuotate le carceri invitando i ‘galeotti’ – lì sia per motivi politici che soprattutto delinquenti comuni - a partecipare alla rivolta.
Il piccolo Gennarino il giorno dopo, il 28 settembre, mentre andava al suo lavoro di ‘apprendista commesso’, vide una scena che non dimenticherà mai più: dei nazisti che da un camion sparavano ed uccidevano un uomo, una donna e il suo piccolo bambino davanti alla porta di un panificio. Forse i genitori di quella creatura. Ad assistere alla scena anche un gruppetto di coetanei - con qualche anno in più a dire il vero - appena scappati dal carcere minorile, approfittando dal caos del momento. Gennarino guardò gli altri ragazzini, gli altri ragazzini guardarono Gennarino. E lo seguirono. Non si conoscevano, ma avevano tutti la medesima determinazione e l’impossibilità di far finta di nulla, di stare fermi con le mani in mano. Non girarono la faccia dall’altra parte.
Rientrò un attimo a casa, prese una borraccia di acqua, salutò la madre e senza neanche sentire le sue solite raccomandazioni - raccomandazioni di una madre col marito in guerra chissà dove e tre figli piccoli da sfamare – scappò verso i ragazzi, che lo aspettavano fuori. Corsero tutti verso la zona del ‘Frullone’ dove altri napoletani si erano già ribellati. Gennarino e gli altri consumarono la giornata nella ricerca di armi, in particolare prendendole dai nazisti morti e abbandonati sulla strada o dai depositi di Via Foria e di Via San Giovanni a Carbonara, lì vicino. E fu un via vai verso le barricate per consegnarle ai ‘rivoltosi’, che aumentavano di ora in ora. Nel quartiere ‘Materdei,’ persino, una grossa pattuglia nazista fu tenuta impegnata sotto assedio per molte ore.
La rivolta proseguì il giorno 29. Giunse la notizia che i nazisti di Scholl avevano fucilato a Mugnano almeno dieci persone, forse di più. Quando Gennarino seppe che tra di loro c’erano delle mamme e soprattutto tre bambini piccoli, forse dell’età dei suoi fratellini, con il gruppetto dei suoi soci, decise di vendicare quelle vittime. Si appostarono dietro alcuni blocchi di cemento, sulla strada che da Frullone portava a Marianella, attesero l’arrivo della prima camionetta tedesca e quando una passò, gettarono contro tutto il fuoco che potevano. Non solo, oltre a sparare con le mitragliatrici più grandi di loro forse nella misura, lanciarono contro anche alcune bombe a mano.
L’ufficiale tedesco e i due soldati che lo accompagnavano come scorta furono catturati. Minacciati da Gennarino con le armi puntate contro, portati con le mani alzate alla prima barricata e consegnati ai rivoltosi, tra la sorpresa e la soddisfazione di tutti. Il suo esempio fu contagioso, le sue gesta giravano di bocca in bocca quale sprone per non mollare.
La notizia arrivò anche ad alcuni giornalisti che lo cercarono subito e riuscirono persino a fotografarlo mentre combatteva, armato come qualche guerrigliero sudamericano di 15/20 anni dopo.
Galvanizzato, in preda al massimo dell’entusiasmo, seguito dai suoi piccoli fan e complici, decise di non fermarsi e proseguire verso la zona di via Santa Teresa degli Scalzi, dove altri napoletani avevano adesso alzato nuove barricate. Venivano addirittura buttati dalle finestre dei piani superiori delle case quei pochi mobili che le famiglie possedevano e trasformati in muri difensivi. Non si era mai visto una cosa del genere. Era un vulcano che all’improvviso, dopo anni e anni di silenzio obbligato, eruttava sempre con più energia e non riusciva a fermare la colata di lava.
Ma i nazisti del col. Scholl erano pur sempre nazisti, sebbene presi alla sprovvista da quanto stava succedendo. Non potevano non ricordare gli ordini del loro feldmaresciallo Kesselring: Napoli va difesa. Reagirono con più carri armati, panzer tigre, tutto quello che potevano contare.
Armato per bene Gennarino ad un certo punto vide un carro armato puntare deciso verso la barricata di Via Santa Teresa e puntare il cannone per colpirla e distruggerla. Chissà quanti morti avrebbe provocato, visto tutte le persone che erano dietro quella barricata. Si racconta che - gridando ‘adesso vi facciamo vedere noi chi sono i napoletani!’ – corse verso quel carro e, mentre dal terrazzino dell’Istituto delle Maestre Pie Filippini stava togliendo la sicura alla bomba con cui voleva colpirlo, sia stato preso in pieno da una granata tedesca. Uno scoppio violento. Quando arrivarono i suoi piccoli compagni era già morto, sfigurato e con la bomba ancora stretta in mano.
La morte del ‘bambino eroe’ passò in pochi secondi in tutta Napoli e in fretta tutti reagirono ancora con più vigore e determinazione. Era il modo della città di salutarlo e ringraziarlo per il suo apporto, per aver invogliato a non accettare la violenza e la prepotenza degli invasori.
Poche ore dopo, a tarda sera del 29 settembre 1943, i nazisti di Scholl trattarono la resa con gli insorti. Resa che venne accolta in cambio del rilascio degli ostaggi, quelli non ancora spediti in Germania e prigionieri nel campo sportivo.
Il giorno dopo, il 30 settembre, la quarta giornata, le truppe tedesche furono così lasciate uscire senza danni dalla città. Quel periodo passerà alla Storia come ‘le quattro giornate di Napoli’ e costerà 152 vittime tra i ‘rivoltosi’ e almeno 162 feriti. Tra le vite sacrificate quella di Gennarino.
A guerra finita alla madre, Concetta, venne assegnata la medaglia d’oro al valor militare alla memoria del figlio, diventato in pochi giorni simbolo eterno di quella rivolta spontanea, autonoma, partita dal basso, senza partiti, brigate o ordini alle spalle. Come la Resistenza partigiana, inizialmente. Non a caso, poco dopo, Gennaro Capuozzo verrà a tutti gli effetti considerato ‘partigiano italiano’.
Cos’è stato quindi Gennarino? Cos’era? Che etichetta gli mettiamo addosso: rosso, comunista, bianco, del partito d’azione o della Matteotti? Inutile e superfluo – vero? - come i partigiani perché a liberare l’Italia dai nazisti del Fuhrer e dai fascisti del Duce ci avrebbero pensato, dopo, gli Alleati?
Durante le giornate di Napoli il soldato di Ike Eisenhower più vicino era ancora alla periferia di Salerno.
Come la mettiamo, allora?
Sulla Resistenza si possono fare mille domande. In ogni caso la risposta la si trova facilmente nelle gesta di Gennarino e nella sua scelta di vita, simbolo perfetto delle gesta e delle scelte da cui è nata l’Italia del 25 Aprile, quando ‘siamo ridiventati uomini’. Ma forse non tutti.
Perché è quella la risposta che va cercata. Credetemi: Gennarino è la risposta.
29 settembre 2024 – 81 anni dopo il suo sacrificio - Rinaldo Battaglia
* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
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