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Blinken e Lammy a Kiev: possibili scenari - seconda parte
di
Francesco Dall'Aglio
I punti da dibattere, dicevo ieri e perdonate l’autocitazione, sono essenzialmente due. Il primo è proprio la questione delle ‟linee rosse” e di cosa siano; e il secondo la solita confusione tra risposta convenzionale e risposta nucleare che un po’ troppo spesso, e lo vediamo anche nell’articolo di Marrone, sono considerate la stessa cosa e ovviamente non lo sono affatto.
Primo punto. Le ‟linee rosse” di Mosca sono sono sostanzialmente una costruzione occidentale: non nel senso che la Russia non ne parli (lo ha fatto ad esempio Lavrov il 4 settembre, usando proprio questa espressione e affermando che non è il caso che l’Occidente ne rida), anche se molto meno spesso di quanto non paia dai nostri giornali, ma nel senso che sono gli occidentali che, di volta in volta, decidono cosa sia una ‟linea rossa” per Mosca e discutono se violarla o meno costituisca un pericolo, per poi concludere sempre che non lo è è fornire, dopo giusto qualche mese di tira e molla, nuovi armamenti o autorizzare (o quantomeno non contrastare) diversi tipi di operazioni ucraine, dagli attacchi al ponte di Crimea e dai droni su Mosca per arrivare all’invasione di Kursk.
Come abbiamo visto dal pezzo di Marrone, ogni volta che una immaginaria linea rossa viene superata si tira un sospiro di sollievo e si pensa subito a violare la prossima, anch’essa esistente soprattutto nell’immaginazione occidentale, e vedendo che anche dopo questa violazione non è successo nulla si conclude che non succederà mai nulla, e che, anche volesse, la Russia non è in grado di rispondere e si limita a frasi del tipo ‟reagiremo” o ‟ne terremo conto” e basta. Come abbiamo visto, appunto, nella conclusione dell’articolo citato ieri e in tanti altri interventi di politici o giornalisti nostrani.
Secondo punto: la confusione, voluta e attentamente propagandata, che la ‟punizione” per la ‟violazione della linea rossa” sia, invariabilmente, una risposta nucleare. ‟Putin userà la bomba atomica se colpiamo il ponte di Crimea”, ma poi non lo fa; ‟Putin userà la bomba atomica se mandiamo i Leopard”, ma poi non lo fa, eccetera, e la conclusione è la stessa del punto uno: parla ma alla fine non fa nulla, perché non è in grado di farlo.
E qui mi piacerebbe che qualcuno di quelli che dice e scrive queste cose mi citasse in quale occasione Putin, o chi per lui, abbia promesso una risposta NUCLEARE a uno SPECIFICO atto di escalation da parte ucraina/NATO, che siano bombardamenti di ponti, di aeroporti, di porti o di depositi, o invio di materiale. Avrebbero difficoltà a trovare le citazioni per un motivo molto semplice: la risposta alla mia domanda è ‟mai”. Non è mai stato fatto. E non può essere fatto per un motivo semplice, direi quasi banale.
La dottrina nucleare russa è estremamente chiara (ricordo ai distratti, e pure a Marrone che forse se ne gioverebbe, che ci ho scritto un libretto): l’impiego di armi nucleari è condizionato a una MINACCIA ESISTENZIALE per la Federazione Russa, o alla possibilità CREDIBILE di questa minaccia. E quindi Putin, Šoigu/Belousov, Gerasimov, Lavrov eccetera non solo non hanno mai detto che la Russia inizierà una rappresaglia nucleare se viene colpito il ponte di Crimea o la raffineria di Tuapse o l’aeroporto di Engels, ma proprio non possono dirlo perché nessuno degli attacchi di cui sopra è una ‟minaccia esistenziale” e dunque nessuna risposta nucleare è prevista.
Gli accenni fatti più volte da Putin e non solo da lui all’atomica significano che la Russia è disposta ad arrivare anche fino al punto di impiegarla, non che è pronta a farlo se le affondano un traghetto. Quello che invece fa, e che ha sempre fatto, è applicare rappresaglie CONVENZIONALI che, mi spiace per i NAFO ma soprattutto per gli ucraini, infliggono all’Ucraina più danni, e più a lungo termine, di quanto non ne facciano i droni ucraini o una salva di HIMARS.
Di queste rappresaglie ed escalation convenzionali la Russia ne ha fatte a iosa, e dire che non c’è mai stata risposta alle escalation altrui è, ripeto, o dire volontariamente una falsità o non avere idea di ciò di cui si sta parlando.
Basta ricordare in che modo è evoluta la posizione russa sugli obiettivi del conflitto. Fermo restando l’Ucraina fuori dalla NATO e la Crimea alla Russia (la prima escalation, se vogliamo), prima del conflitto l’obiettivo russo era il Donbas all’interno dell’Ucraina con ampia autonomia, iniziato il conflitto il Donbas nella Federazione Russa, interrotti i negoziati di pace in Turchia il Donbas, Cherson e Zaporožie nella Federazione Russa, dopo i primi attacchi su territorio russo il Donbas, Cherson e Zaporožie nella Federazione russa più ‟fascia di sicurezza” al confine, eccetera.
Ognuna di queste variazioni è stata la risposta contro-escalatoria più o meno diretta a una escalation politica, economica o militare dell’Occidente/Ucraina, che fossero ulteriori sanzioni, HIMARS, carri armati, F-16 o altro: una contro-escalation CONVENZIONALE con obiettivi sempre più estesi e un grado di radicalità sempre più elevato anche nella scelta dei bersagli. Decidere di non colpire le installazioni energetiche e poi iniziare a farlo È una risposta; decidere di colpire solo le sottostazioni, riparabili in relativamente poco tempo, e poi iniziare a colpire le centrali per le quali ci vogliono mesi o anni È una risposta.
Del resto, se quelle di Putin fossero solo minacce vuote, alla Medvedev per intenderci, o alla Kadyrov, perché gli USA hanno esitato mesi o anni prima di consentire l’invio di determinati tipi di armamenti? Perché non mandare tutto e subito, come proposto dall’incauto Borrell il primo giorno dell’invasione russa? O perché non farlo dopo che la prima immaginaria ‟linea rossa” è stata impunemente violata?
Semplice: perché la risposta c’è stata, mai così estrema da non lascare la possibilità di modulare ulteriori escalation fino alle conseguenze più catastrofiche per l’Ucraina ma sempre perfettamente evidente, e questo sempre escludendo il nucleare.
Perché anche questo va chiarito: gli USA non temono certamente che la Russia possa utilizzare armi nucleari, men che mai su territorio europeo (cosa con la quale potrebbero anche fare i conti) o statunitense. Temono, e hanno ragione, escalation in zone del mondo che gli interessano di più tipo Medio Oriente, Golfo persico, Indo-pacifico, con conseguenze dirette per le proprie truppe e le proprie installazioni ma senza la partecipazione diretta russa, visto che armare e assistere i nemici dei nemici per poi dire che non si è fatto niente di male e far notare che le proprie truppe non sono minimamente implicate è un gioco che si può fare in due.
Invece delle escalation russe su territorio ucraino si preoccupano il giusto, cioè molto poco, e una volta chiarito che loro non c’entrano con le nuove mosse, che sono sempre a parole decise esclusivamente dalla leadership ucraina, si siedono comodi e si godono lo spettacolo, pronti a ripetere in futuro. Nella migliore delle ipotesi la Russia ha subito danni seri, nella peggiore almeno spenderà un po’ di soldi in più.
Win-win, come dicono loro. Finché, ed è questo il problema reale, la Russia non deciderà che DAVVERO c’è una linea rossa che è stata, o sta per essere, violata, e agiranno di conseguenza con ogni mezzo che reputeranno necessario, e non necessariamente solo nei confronti dell’Ucraina.
Perché se davvero l’Ucraina fosse messa in condizioni di colpire in profondità il territorio russo, e di colpirlo con efficacia, non più con il lancio fortunato di un drone ma con una salva di missili balistici o cruise a lunga gittata (che questo sono, rispettivamente, gli ATACMS e i JASSM) non distruggerebbe più solo il deposito, la cisterna, il singolo aereo parcheggiato su una delle piste di un aeroporto, come ha fatto finora.
Distruggerebbe installazioni strategiche per la Russia, e strategiche non per difendersi dall’Ucraina ma per difendersi dalla NATO, che per la Russia è il vero e il solo nemico (tant’è che il problema non era mai stato l’Ucraina in quanto tale ma l’Ucraina nella NATO, o se vogliamo, e ancora peggio, la NATO in Ucraina).
Questi attacchi potrebbero essere visti dalla Russia come gli apripista per incursioni ancora più massicce e ancora più in profondità non da parte dell’Ucraina, le cui capacità restano e resteranno sempre limitate, ma da parte della NATO una volta che avrà deciso che la Russia è stata sufficientemente indebolita, e se pensasse questo deciderà di trattarli di conseguenza: ovvero non solo rispondendo in maniera escalatoria ma agendo PRIMA di correre il rischio che queste installazioni vengano distrutte, non dopo che lo sono state, e non necessariamente in maniera simmetrica o graduale.
E probabilmente va in questa direzione la questione della revisione della dottrina nucleare annunciato il 1 settembre dal viceministro degli esteri Ryabkov.
È ovviamente ancora presto per capire in cosa consisterà, ma potrebbe sia essere ‟cosmetica”, anche se quando si tratta di nucleare non c’è nulla di cosmetico, che invece sostanziale e magari prevedere anche la possibilità di un first strike preventivo prima ancora che l’attacco sia partito, prima ancora, forse, che i missili siano stati assemblati o recapitati. Questa cosa negli USA l’hanno capita molto bene (ad esempio l'ottimo pezzo di George Beebe, che è stato un attimo direttore dell’ufficio analisi sulla Russia della CIA, scritto già il 1 luglio per Time), qualcuno dei nostri europei un po’ meno.
Per chiudere questo post chilometrico, e soprattutto il discorso sulle ‟linee rosse”, ce n’era una e una sola che era stata comunicata più e più volte da molti anni: la Russia non vuole né l’Ucraina nella NATO né la NATO in Ucraina. Ce n’era una, è stata ignorata e irrisa, e oggi è il giorno 930 del conflitto. E fino al giorno prima dell’invasione, nessuno pensava che alle parole sarebbero seguiti i fatti, e invece.
Forse i nostri leader e i nostri opinionisti (soprattutto quelli che prima del 2022 manco sapevano dove stava, l’Ucraina, e che ora sono quelli che strillano più forte) dovrebbero riflettere un attimo prima di parlare di quanto vane siano, le ‟linee rosse di Putin”, e di quanto facile e anzi doveroso sia violarle.
 
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