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Blinken e Lammy a Kiev: possibili scenari
di
Francesco Dall'Aglio
Premessa: tendo a essere prolisso ma qui credo di essermi superato per cui scrivo questo articolo a puntate, e questa è la prima.
Oggi, giovedì 11, Blinken e il suo omologo inglese David Lammy si recheranno a Kiev. È probabile, o almeno possibile, che la loro trasferta abbia a che fare con l’ultima puntata del serial più appassionante degli ultimi tempi, cioè la benedetta autorizzazione a utilizzare materiale bellico (ovvero missili) NATO, e nello specifico statunitense, per attacchi in profondità sul territorio russo.
Alcuni politici statunitensi, come ad esempio il super-falco Michael McCaul, presidente del Comitato Affari esteri della Camera (per capire il tipo, uno che nel 2023 parlando col vicepresidente di Taiwan ha paragonato Xi Jinping a Hitler) e che da tempo sostiene la necessità di questo passo, se ne è detto convinto in una dichiarazione rilasciata alla giornalista Juliegrace Brufke. La scusa del resto è bell’e pronta: oggi i due, in conferenza stampa congiunta, hanno detto che la fornitura di missili balistici iraniani alla Russia, per la quale non hanno ritenuto necessario fornire prove, costituisce ‟una grave escalation del conflitto”. Non è chiaro in che modo fornire gli Abrams o gli F-16 invece non lo sia, ma le regole, come è noto, non le facciamo noi.
Oltre all’autorizzazione è possibile (ma questo lo vedo meno probabile) che si discuta anche della fornitura dei missili AGM-158 JASSM, che hanno una gittata ancora maggiore di quella degli ATACMS (nella configurazione AGM-158B JASSM-ER arrivano a quasi 950 chilometri, ma questa ovviamente in Ucraina non ci arriverà mai) e per i quali probabilmente vale lo stesso criterio, ovvero che non costituiscano un’escalation.
A inizio mese se ne era discusso molto e pareva che gli USA fossero intenzionati a mandarli, ma poi non se ne è saputo più niente. Certo i tempi non sarebbero brevi: la decisione verrà presa ‟in autunno”, ma poi ci vorrà ‟qualche mese” per finalizzare la spedizione per cui se ne parlerà, nella migliore delle ipotesi, nella primavera del 2025, cosicché l’intera faccenda potrebbe anche essere la proverbiale ‟polpetta avvelenata” per la prossima amministrazione Trump, se i democratici dovessero perdere la corsa elettorale.
Chiaramente posso sbagliarmi, e Blinken e Lammy magari andranno a Kiev solo a farsi qualche foto e fare bei discorsi senza nessuna sostanza. Ad ogni modo, penso si arrivato davvero il momento di discutere seriamente della questione ‟linee rosse di Putin”. Perché fin dall’inizio delle operazioni militari in Ucraina si è diffusa questa idea, che nelle ultime settimane pare diventata ‟mainstream”, come si suol dire, che quelle della leadership russa siano solo parole al vento, e come alla Russia sia possibile far di tutto senza che possa rispondere: il ponte di Crimea attaccato più volte, i missili su Sebastopoli, i droni sulle raffinerie e sugli aeroporti militari, l’invasione di terra eccetera.
Mai, ci viene detto, c’è stata una risposta, quindi possiamo procedere a tutte le escalation che vogliamo perché la Russia abbaia ma non morde. E finché questa roba la scrivono ‟giornalisti” o ‟analisti”, sulla stampa o sui social, ci possiamo anche stare: non sanno di cosa parlano o scrivono quello che sono costretti a scrivere, dunque non vale la pena starli a sentire se non per farsi due risate.
Il problema è quando queste cose le dice invece, in un articolo per Affari Internazionali, Alessandro Marrone che, cito dalla sua biografia, ‟dal 2018 è docente presso l’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze (ISSMI) del Ministero della Difesa. Dal 2020 è mentor presso il Nato Defense College e dal 2016 è membro del comitato scientifico dello Armament Industry European Research Group (Ares Group)”.
Quindi né Iacoboni né di Feo, ma uno pagato per spiegare la situazione allo Stato Maggiore italiano e al Nato Defense College. E cosa dice Marrone in questo articolo? Al di là delle amenità sulle perdite terrificanti subite dalla Russia e sul fatto che non hanno uomini a sufficienza per gestire sia Donbas che Kursk (però, incredibilmente, pur non avendone a sufficienza ne hanno esattamente tanti quanto basta per continuare ad avanzare in Donbas e per bloccare le velleità ucraine a Kursk, guarda che stranezza), si avventura in questa analisi che deve essere citata per intero: ‟Come avvenuto già diverse volte negli ultimi due anni, dall’invio occidentale di carri armati, missili a lunga gittata ed F16 – recentemente usati per intercettare i missili russi – alla liberazione di Kherson dopo la sua annessione fittizia alla Federazione Russa, fino alla possibilità di colpire con artiglieria e missili occidentali oltre confine russo, l’ennesima linea rossa posta da Putin è stata superata senza conseguenze significative. Il ridimensionamento nella propaganda russa dell’occupazione ucraina a Kursk va nella direzione opposta rispetto a quella di una escalation nucleare, dimostrando come le minacce più o meno velate degli ultimi tre anni da parte della leadership russa al riguardo siano state finora un bluff”.
Qui le ipotesi sono due. O Marrone (come credo) sa molto bene come stanno le cose ma per ordini di scuderia fa volontariamente disinformazione oppure, ed è un’ipotesi francamente terrificante, un docente dell’ISSMI e del NATO Defense College non ha idea di quello che dice, della materia che insegna e di ciò che dovrebbe aver studiato una vita intera.
I punti da dibattere, e da contestare all'esimio collega, sono essenzialmente due. Il primo è proprio la questione delle ‟linee rosse” e di cosa siano; e il secondo la solita confusione tra risposta convenzionale e risposta nucleare che un po’ troppo spesso, e lo vediamo anche nell’articolo di Marrone, sono considerate la stessa cosa e ovviamente non lo sono affatto.
Ma di questo parleremo nella seconda parte.
 
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