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04 settembre 2024
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Wagenknecht non è xenofoba
di Stefano Masson

Decenni a menarla al mondo che, morettianamente, "le parole sono importanti" e poi tutti a usarle a casaccio...

Non c'è nulla nel libro e nel programma della Wagenknecht che sia qualificabile come "xenofobo".

L'accusa di xenofobia è soltanto un'etichetta cretina appiccicatale dai media liberali e dai suoi ex compagni della Linke, dove durante le polemiche interne, prima della scissione, sono volati gli stracci.

Quando dico che sulla "formula Wagenknecht" dovremmo interrogarci, non sto suggerendo che quella formula sia "indiscutibile" e vi si debba ipso facto convenire. Anzi. Ma per cavare da una discussione qualcosa di diverso e migliore delle certezze di partenza bisogna fare le domande giuste.

E tra le molte domande giuste e ficcanti da fare alla "formula Wagenknecht" non è contemplato il quesito: Sahra, sei xenofoba? (Una di padre iraniano e con una vice musulmana, suvvia!)

La formula wagenknechtiana sull'immigrazione (come parecchi altri punti del suo strano programma -che è complessivamente populista, non socialista: cerchiamo di non scoprire l'acqua calda, eh!) vuole essere fortemente pragmatica, una risposta all'hic et nunc e in un'ottica di compatibilità con il sistema; di più, con il concreto tessuto produttivo tedesco e le sue esigenze.

La qual cosa, di per sé, potrebbe avere conseguenze positive tra la compagneria che, da noi come in Germania, si scanna per una poltrona assessorile a Fischietto di Sopra, ma in compenso ama le petizioni di principio del tutto slegate da una valutazione realistica della fase e dei rapporti di forza.

E dunque le domande giuste da porre su questo tema alla "formula Wagenhnecht" sono:

1. È corretta l'analisi dell'immigrazione come elemento precarizzante il mercato del lavoro (e perciò scientemente perseguito da alcuni segmenti del capitale), di ulteriore frammentazione delle classi lavoratrici e di potenziale aumento dell'anomia sociale complessiva?

2. È veramente realistica e praticabile, in una fase di migrazioni di massa in buona misura incontrollabili, l'idea di una riduzione e regolazione dei flussi o è altrettanto (seppur diversamente) velleitaria del "no borders" di altri?

3. Il modello di "integrazione" profilato (con alti requisiti e, di converso, con alti livelli di welfare a protezione del lavoratore immigrato) è corretto e realisticamente praticabile?

Sarei incline a rispondere, pur tra molti distinguo e varie precisazioni, negativamente a tutti e tre i quesiti.

Tuttavia, dev'essere chiaro che la discussione si svolge con interlocutori che non sono né xenofobi né razzisti.

E che, per essere fruttuosa, non deve nascondersi da nessuna delle criticità del fenomeno migratorio attuale: palese aumento dell'interstizialità e della precarietà materiale della presenza straniera, accenni di territorializzazione etnica nelle grandi città, etnicizzazione tendenziale di taluni mestieri e professioni, relativa permanenza dei gruppi monoetnici (e in minor misura monosessuati) anche nelle seconde generazioni...

Insomma, mandiamo in pensione il "pranzo multietnico" e cogliamo l'occasione per trovare un approccio più maturo e articolato.

Soprattutto, bando agli anatemi!


per approfondire...

Dossier diritti

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