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04 agosto 2024
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Italicus: storie di ieri
di Rinaldo Battaglia *

"Mio padre aveva un sogno comune
condiviso dalla sua generazione
la mascella al cortile parlava
troppi morti lo hanno tradito
tutta gente che aveva capito.
E il bambino nel cortile sta giocando
tira sassi nel cielo e nel mare
ogni volta che colpisce una stella
chiude gli occhi e si mette a sognare
chiude gli occhi e si mette a volare.
E i cavalli a Salò sono morti di noia

a giocare col nero perdi sempre
Mussolini ha scritto anche poesie
i poeti che strane creature
ogni volta che parlano è una truffa.
Ma mio padre è un ragazzo tranquillo
la mattina legge molti giornali
è convinto di avere delle idee
e suo figlio è una nave pirata
e suo figlio è una nave pirata.
E anche adesso è rimasta una scritta nera
sopra il muro davanti casa mia
dice che il movimento vincerà
il gran capo ha la faccia serena
la cravatta intonata alla camicia.
Ma il bambino nel cortile si è fermato
si è stancato di seguire gli aquiloni
si è seduto tra i ricordi vicini i rumori lontani
guarda il muro e si guarda le mani
guarda il muro e si guarda le mani
guarda il muro e si guarda le mani".

“Le storie di ieri” è un brano/poesia della fine calda estate 1974 (nei primi giorni successivi alla strage neofascista del treno ’Italicus’ - nella notte tra il 3 e 4 agosto - che procurò 12 morti e 48 feriti) scritto da Francesco De Gregori quando collaborava con Fabrizio De André. Da quel sodalizio scaturirono altre canzoni, poi interpretate da entrambi i poeti/cantautori.

In questo caso fu De André il primo a pubblicare la canzone, nel 1975, in “Volume VIII”, perché la casa discografica di De Gregori decise di escluderla (chissà mai perchè?), nonostante fosse già stata incisa. De Gregori la inserirà poi nell'album “Rimmel”, modificandone alcuni passaggi, sia pure non significativi, rispetto alla versione di “Volume VIII”.

Il tema è sociopolitico e riguarda la persistenza, più o meno sotterranea, di quelle “storie di ieri” che, nonostante si credano definitivamente condannate, si ripropongono e ritornano, o possono ritornare, magari sotto diverse mentite spoglie.

Il testo si compone di cinque cinquine ed una sestina (la quinta strofa), nella quale gli ultimi tre versi sono identici. Lo stesso accade nella quarta cinquina, i cui ultimi due versi sono ripetitivi. Nelle strofe si alternano due figure, un padre e suo figlio, a simboleggiare lo 'ieri' (ventennio fascista) e 'l'oggi' (inteso come 1974), ovvero la generazione del fascismo e quella del post-fascismo. Il giovane è lo stesso bambino della canzone, che si riferisce a sé stesso in terza persona (...il bambino nel cortile sta giocando...).

In apertura udiamo il figlio che parla del sogno del padre (sogno fascista), allora condiviso (mio padre aveva un sogno comune.... condiviso...), con un riferimento alla fisionomia del duce (...la mascella al cortile parlava...). Ma quel sogno è naufragato per l'enorme numero di morti provocato dal regime, che fece capire quale ne fosse la vera natura (...troppi morti lo hanno tradito...).

Segue l'immagine del bambino-figlio, estraneo a quel periodo e lontano da quel sogno, innocente e giocoso (il bambino nel cortile sta giocando, tira sassi...). Nella nostra cultura il bambino è simbolo di innocenza, percezione istintiva, autenticità: ciò può anche significare che l'aspirazione autentica dell'uomo è altra e non coincide con quella tragedia del pensiero e della storia.

Nella terza strofa sembra il padre a prendere la parola, malinconico nel ricordare quel sogno condiviso, tradito, fallito ma non dimenticato. La riscossa della R.S.I. (Repubblica di Salò) è stata una farsa della storia (...i cavalli a Salò sono morti di noia...). Sembra che fosse un destino ineluttabile perdere (...a giocare col nero perdi sempre...). Eppure, il dittatore-ideologo era anche poeta, quindi d'animo sensibile verso le cose umane (...Mussolini ha scritto anche poesie...), ma i poeti sono strani (...strane creature...), “giocano” con le parole che, così, non corrispondono più alla realtà (...ogni volta che parlano è una truffa...).

Nella quarta strofa è ancora il giovane a riferirsi al padre: oggi è una persona comune, nulla ne lascia trasparire le vere idee (...mio padre è un ragazzo tranquillo...), un qualsiasi borghese che si interessa alla politica (...la mattina legge molti giornali...). Ma io (suo figlio) sono per lui (come) una “nave pirata”, che assale e depreda quel suo sogno-ideale.

Ancora c'è su un muro la scritta che dice che quella “storia di ieri” è vincente (...dice che il movimento vincerà...). Il capo di quei seguaci si presenta sotto spoglie ordinarie, sembra non trasmettere più nessuna preoccupazione (...ha la faccia serena, la cravatta intonata alla camicia...).

Nell'ultima strofa il bambino-figlio sembra realizzare che qualcosa può accadere nuovamente, non riesce più a “giocare” spensierato (...s'è stancato di seguire gli aquiloni...), ha cominciato (forse) a pensare alla situazione presente e ai fatti della storia (...s'è seduto fra i ricordi vicini e i rumori lontani...), guarda il muro (con la scritta) e poi si guarda le mani, per verificare se sono veramente “pulite”, se egli non abbia responsabilità alcuna per il possibile “ritorno” di quelle "storie di ieri“, di quel "sogno" condiviso da suo padre e da quella generazione.

La canzone – Le Storie di ieri - venne scritta proprio in questi giorni di fine estate 1974, col cuore e la mente ai morti innocenti dell’Italicus ma sembra che fosse ieri mattina, non 50 anni fa. Forse il titolo andrebbe corretto: in ‘Le Storie di oggi’. I poeti - che strane creature - anticipano sempre i tempi..,

Per chi non lo sapesse ‘la strage dell'Italicus’ fu un altro grave attentato terroristico di stampo neofascista compiuto nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1974 – 50 anni fa - sul treno Italicus, mentre questo transitava presso San Benedetto Val di Sambro, nel bolognese. Vi morirono 12 persone innocenti, tra cui un ragazzo – Marco Russo – di soli 12 anni.

È considerato uno dei più gravi attentati verificatisi negli anni di piombo, commesso da gruppi neofascisti e di estrema destra come anche la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, la strage di Piazza della Loggia del 28 maggio 1974 e la strage di Bologna del 2 agosto 1980. Per la strage dell'Italicus, come per le altre stragi, furono incriminati come esecutori diversi esponenti del neofascismo italiano, ma l'iter processuale si è concluso con l'assoluzione degli imputati.

L'attentato si collocava nella fase finale della strategia stragista portata avanti dall'estrema destra, con l'intento di destabilizzare il paese e favorire un intervento dei militari: «In primavera, nel momento di maggiore tensione, iniziò una serie di attentati terroristici, via via sempre più gravi, rivendicati da Ordine Nero. In Toscana, il 21 aprile, si ebbe l’attentato di Vaiano, primo attacco alla linea Ferroviaria Firenze-Bologna. Seguì a Brescia la gravissima strage di Piazza della Loggia, poi a Pian del Rascino la sparatoria cui perse la vita Giancarlo Esposti, il quale – secondo quanto Sergio Calore avrebbe appreso dal Signorelli, dal Concutelli e dal Fachini era in procinto di recarsi a Roma per attentare alla vita del Presidente della Repubblica, colpendolo spettacolarmente a fucilate durante la parata del 2 giugno.

Può pensarsi che ognuno di questi fatti fosse fine a sé stesso? Gli elementi raccolti consentono di dare una risposta decisamente negativa. Gli attentati erano tutti in funzione di un colpo di stato previsto per la primavera-estate ’74, con l’intervento «normalizzatore» di militari in una situazione di tensione portata ai grandi estremi. E valga il vero.

Sergio Calore, nell’interrogatorio del 28 maggio 1985 al giudice istruttore di Bologna, riferisce che il Signorelli dall’autunno ’73 gli aveva parlato di un colpo di stato che avrebbe dovuto aver luogo nella primavera-estate ’74 con l’appoggio di ufficiali «nazionalsocialisti» di stanza nel settore del Nordest» Così scriveva nella Sentenza d'appello processo Italicus, nel 1986, la Corte d'assise di appello.

Anni dopo si saprà - sono parole della figlia Maria Fida espresse nel 2004 - che anche Aldo Moro, all'epoca Ministro degli Esteri, si sarebbe dovuto trovare a bordo del treno, ma pochi minuti prima della partenza venne raggiunto da alcuni funzionari del Ministero che lo fecero scendere per firmare alcuni documenti. Casualità? Moro sarà ucciso solo quattro anni dopo.

Altra Storia del fascismo di ieri e forse molto di oggi, altrettanto nascosto, dimenticato, sotterraneo.

...e poi si guarda le mani, per verificare se sono veramente “pulite”, se egli non abbia responsabilità alcuna per il possibile “ritorno” di quelle "storie di ieri“, di quel "sogno" condiviso da suo padre e da quella generazione...

3-4 agosto 2024 - 50 anni dopo l’attentato al treno Italicus.

L’analisi del testo della canzone di De Gregori/De André è stata da me liberamente ispirata da ‘Significato Canzone’ del 26 giugno 2017

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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