 |
Inferno a Mallakasha
di
Rinaldo Battaglia *
L’INFERNO A MALLAKASHA.
Purtroppo, la guerra italiana d’occupazione non va ricordata solo per i grandi massacri di luglio/agosto ‘42 nella ex-Jugoslavia invasa dopo il 6 aprile ‘41 e di cui Podhum resta la punta dell’iceberg.
Ci sarebbero i crimini in Grecia, come a Farsalo e soprattutto Domenikon del 16 febbraio 1943, poco famosi e non noti in Italia.
Ma se pochi conoscono – perché conviene non far conoscere - anche dopo 80 anni Podhum e Domenikon, ancora meno siamo oggi informati dei crimini in terra di Albania, allora conquistata già dal 7 aprile 1939 e gestita sin da subito quale ‘colonia’ italiana. Il potere di fatto era nelle mani di un uomo forte del fascio e di assoluta fiducia del Duce: Giuseppe Bottai.
Nell’ottica della guerra alle porte (il 22 maggio 1939 il Duce e il Fuhrer firmarono il Patto d’Acciaio) il 13 aprile 1939, nel Gran Consiglio del Fascismo, Mussolini spiegò bene il valore strategico dell’Albania per noi:
«L’Albania è la Boemia dei Balcani, chi ha in mano l’Albania ha in mano la regione balcanica. L’Albania è una costante geografica dell’Italia. Ci assicura il controllo dell’Adriatico […] nell’Adriatico non entra più nessuno […] abbiamo allargato le sbarre del carcere del Mediterraneo».
Ovviamente, durante la Seconda Guerra Mondiale, anche in Albania sorse e si sviluppò una ‘resistenza’ attiva contro gli invasori – cioè, noi - e questo provocò, anche qui, una forte e violenta repressione, perfettamente coerente con quella in Jugoslavia o Grecia. Da parte nostra.
Lo storico Davide Conti, in ‘L’occupazione italiana dei Balcani. Crimini di guerra e mito della «brava gente» (1940-1943)’ (ed. Odradek – 2008) e ancora più precisamente nel ‘Museo della resistenza di Tirana’ - che sorge peraltro negli edifici che ospitarono la caserma-prigione di via Rruga Barrigades in cui gli italiani torturano i ‘nemici’ - si riportano i ‘numeri’
della nostra occupazione nel periodo ‘39-’43 in terra d’Albania:
«28.000 morti, 12.600 feriti, 43.000 deportati ed internati nei campi di concentramento, 61.000 abitazioni incendiate, 850 villaggi distrutti, 100.000 bestie razziate, centinaia di migliaia di alberi
da frutto distrutti.»
Solo in Albania esistevano 7 campi di concentramento fascisti:
Kukes, Klos, Kavaje, German, Scutari, Vermoshi e Porto Romano (Durazzo).
Numeri spaventosi se rapportati alle piccole dimensioni del Paese, con allora circa 2 milioni di abitanti e un'estensione territoriale pari a qualche nostra regione.
La punta qui dell’iceberg, la Podhum albanese, avvenne il 14 luglio 1943, dove il regio esercito al comando del gen. Alessandro Pirzio Biroli (usando artiglieria pesante ed aviazione) e – non mancavano mai in questi crimini - gruppi di camicie nere (richiamati forse dall’odore del sangue) attivarono un’importantissima azione militare contro i civili della zona di Mallakasha, nella parte meridionale del paese.
L’inferno durò 4 giorni: tutti gli 80 villaggi della zona vennero rasi al suolo causando la morte di imprecisate centinaia di civili.
Il massacro di Mallakasha passerà nella storia del paese invaso come la “Marzabotto albanese”. Nella nostra Marzabotto (e Monte Sole), solo 14 mesi dopo si scateneranno i nazisti guidati dai fascisti locali, qui bastarono i nostri soldati comandati da fascisti nazionali.
A guerra finita, il 10 febbraio 1947 a Parigi dagli Alleati fu imposto all’Italia di pagare come risarcimento di quanto provocato, complessivamente, 360 milioni di dollari Usa, di questi 5 milioni era dovuti alla piccola Albania.
Il 4 marzo 1948, la War Crimes Commission dell’ONU individuerà ben 1.283 criminali di guerra italiani. Tra questi 145 avevano ‘operato’ anche in Albania e di loro, già in data 10 febbraio 1948, il governo albanese ne aveva chiesto l’estradizione.
Ma nessuno degli accusati venne mai estradato o mai processato. Ma questa è un’altra storia, anche se a nessuno è nota, se non agli addetti ai lavori.
Noi eravamo i buoni ‘invasori’, gli altri i cattivi ‘invasi’.
Viva l’ignoranza.
14 luglio 2024 – 81 anni dopo
* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
Dossier
diritti
|
|