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"LA NOTTE DEI CRISTALLI" FASCISTA
di
Rinaldo Battaglia *
”Sulla via Commerciale non era scesa la sera, l'incendio sopra i tetti sembrava venire dal sole (..). Piazza Oberdan era piena di gente che gridava in un alone di luce scarlatta. Attorno al grande edificio c'erano uomini in camicia nera che ballavano gridando " Viva, Viva," correvano di qua e di la scandendo "eia, eia eia" ed altri di rimando "alalà".
Improvvisamente si sentì l'arrivo dei camion dei pompieri tra la folla ma la confusione aumentò perché gli uomini in camicia nera li attaccarono non permettendo ai mezzi di avvicinarsi . Li circondarono e ci si arrampicarono sopra ,togliendo di mano ai pompieri le manichette".
(tratto dal libro - testimonianza "Il rogo nel porto" di Boris Pahor)
Renzo De Felice, il grande storico del Fascismo e di Mussolini, lo definì :"il battesimo dello squadrismo fascista organizzato".
L'inizio della persecuzione dei popoli slavi, di quel "annientamento totale della razza barbara e incivile slava " in nome del popolo puro italiano... annunciato poi da Mussolini (non ancora Duce, allora) il 21 settembre 1920 nella stessa Trieste e il giorno successivo a Pola.
Per quanto riguarda il ‘bruciar case’ i fascisti e soprattutto le Camice nere, hanno sempre avuto un istinto innato e questo ha permesso loro di accumulare una grande esperienza tecnica, in competenza opposta e contraria a quella dei pompieri. In particolare da quelle parti, dov’era già definito ‘fascismo di confine’ da molti anni.
Ancora prima della marcia su Roma e 22 anni prima di Podhum (il 13 luglio 1920) a Trieste venne dato alle fiamme il ‘Narodni Dom’, un maestoso edificio a sei piani nel centro città.
Era la capitale della cultura slovena a Trieste, con il caffè Balkan, un albergo, un ristorante, tanti uffici e appartamenti privati. Non mancava un grande archivio, una sala teatrale ed era la sede, o il luogo di ritrovo, di numerose associazioni slovene dedite alle attività musicali, ricreative nonchè commerciali ed economiche.
La guerra era finita da poco, Trieste era passata all’Italia, la minoranza slovena traslata dall’Impero d’Austria-Ungheria al regno d’Italia.
Minoranza era, minoranza restava, minoranza sarà.
Solo nel 1919, nel teatro del ‘Narodni Dom’ si erano tenuti 60 spettacoli, riprendendo quel ruolo di ‘apripista’, di ‘aperture mentali’ e di ‘cultura’ che Trieste aveva già acquisito formalmente prima della Grande Guerra.
Cultura? Per i fascisti e i loro figli adottivi è sempre un termine che fa e faceva paura: ‘Ogni volta che sento la parola cultura metto mano alla pistola’ diceva il re della propaganda. Altri invece, magari ex ‘sottosegretari al Ministero della cultura’ si vantano oggi di non leggere un libro da tre anni.
Germania 1933 o Italia 2022?
Ma Trieste era Trieste, vi erano lotte tra le varie minoranze, la vittoria ‘mutilata’ ed il furto di Fiume. Al di là dell’Istria ora italiana, al di là e oltre i nuovi confini, nasceva il Regno di Jugoslavia o, meglio, prima ancora, il ‘Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni’. Momenti di forti nazionalismi, di forti rivendicazioni da tutte le parti. Pochi accordi e molti scontri, poche intese ed esasperate tensioni. Nessuno che non scagliasse la prima pietra.
Dal giugno ‘20 vi fu un crescendo continuo delle violenze tra le varie minoranze.
Qui primeggiò, purtroppo, il cosiddetto ‘incidente di Spalato’, dove (città allora croata e con una minoranza italiana molto ‘radicata’), due nostri marinai del ‘cacciatorpediniere Aquilone’ vennero uccisi nel corso di alcuni scontri, peraltro mai bene chiariti e tanto meno definiti nelle cause. Probabilmente causato da slavi, ma non fu mai realmente provato. Serviva?
A Trieste era appena nato il locale ‘movimento fascista’ e a guidarlo si fece strada uno squadrista, Francesco Giunta, che nei decenni successivi si esalterà sotto Mussolini, tanto che nel ‘43 sarà mandato a Fiume a sostituire ‘de facto’ proprio Temistocle Testa, quando il Duce lo chiamerà a sé. E anche Giunta finirà nell’elenco dei criminali di guerra della War Crimes Commission. Uno dei tanti, uno dei mille ed oltre.
Era arrivato il suo momento di gloria: con le parole d’ordine “è finito il tempo del buon italiano” chiamò tutti i suoi fans ad un comizio, per le ore 18 del 13 luglio, e a seguire – tutti drogati ed esaltati dal massimo fanatismo anti-sloveno – avvennero scontri, con un ragazzo ucciso e veri attacchi di massa contro le attività commerciali slovene. Era diventato il loro ‘pusher’ di odio.
E dopo aver distrutto ristoranti, bar, caffè, banche, si arrivò al consolato sloveno e al Narodni Dom. Vennero lanciate bombe, spari verso i 400 soldati di guardia, spari verso chi assaliva. Si racconta che parte dei 400 militari (ovviamente tutti italiani, come era prassi normale), durante gli scontri, passarono dalla parte degli assalitori, credendo più nello spirito nazionalistico che nel loro incarico istituzionale di ‘forze dell’ordine’. Anche loro ‘nei secoli fedeli?’.
Alla fine ‘Narodni Dom’ verrà dato alle fiamme, con alcuni morti e totale distruzione. E segnerà principalmente l’inizio del fascismo a Trieste e la radicalizzazione di uno scontro tra italiani e sloveni, che porterà poi inevitabilmente alla guerra.
Il giornale ‘Il Piccolo di Trieste’, gestito dagli uomini di Francesco Giunta, in quei giorni uscirà con titoli che non lasciavano dubbi sul futuro prossimo e venturo: ‘le fiamme del Balkan (così era noto in città il Narodni Dom) purificano finalmente Trieste e purificano l’anima di tutti noi’.
Anche Podhum incontrerà, al momento opportuno, il fuoco della purificazione fascista italiana. Il termine ‘palikuci’ (‘bruciacase’) probabilmente si sviluppò da quel 13 luglio 1920. Quel brevetto – esaltato nella nostra guerra di Jugoslavia - era già stato depositato almeno da 20 anni.
13 luglio 2024 – 104 anni dopo - liberamente tratto dal mio ‘A Podhum io scrivevo sui muri’ - ed. Ventus/AliRibelli – 2022 –
* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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