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09 luglio 2024
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Le soldatesse di Pirro
di Rinaldo Battaglia *

Grecia: estate 1942, metà luglio di 82 anni fa.

Un giovane ufficiale del Regio Esercito, Gaetano Martino, dopo due anni di guerra, sempre più deluso dal credo fascista e delle false parole del suo Duce, in quel 18 novembre 1940, ‘Spezzeremo le reni alla Grecia’, chiese di esser spostato fuori da Atene. Nella capitale, da noi occupata coi nazisti, la fame stava uccidendo giorno su giorno (alla fine guerra si parlerà in Grecia di oltre 300.000 morti ‘solo’ per fame) e la prima causa andava ascritta nella strategia dei nostri comandi (e quello nazista del gen. Alexander Lohr) di fare ‘terra bruciata’.

Al fine di sconfiggere i movimenti partigiani venivano infatti dati alle fiamme interi villaggi, distrutte le risorse alimentari, bruciate le coltivazioni agricole. I blocchi navali, in particolari degli inglesi, impedivano l’arrivo di generi alimentari e così, soprattutto nelle grandi città, si moriva continuamente di fame e stenti. Eravamo quasi ai livelli di Varsavia nel ‘42/’43, dell’Holomodor in Ucraina degli anni ’30 o nell’ Hongerwinter (inverno di fame) del’ 44/’45 in Olanda. Ognuno cercava di salvarsi come poteva e come scriveva Bertolt Brecht ‘prima viene lo stomaco, poi la morale’.

Le giovani ragazze di Atene, magari se belle, avevano una possibilità in più, offerta dagli invasori italiani. Diventare ‘ausiliarie’ o come più banalmente si diceva allora ‘soldatesse’ del nostro Regio Esercito. Si veniva pagate bene: 4 lire al giorno, i viveri (alcune scatolette sia chiaro) ogni giorno e un ‘premio’ per ogni uomo ‘soddisfatto’, in modo tale da incentivare l’offerta. Quindi prostituendosi, si sopravviveva e forse qualcuna di loro riusciva anche a procurare i soldi per qualche pezzo di pane, al mercato nero, per i propri familiari.

Ad Atene in quell’estate le ragazze greche facevano a botte per diventare ausiliarie e chi casualmente non era greca – come la veneta Ebe – ma si era trovata da quelle parti, si mischiava tra quelle del posto per poter beneficiare dell’opportunità di vita.

Al giovane tenente Gaetano venne così assegnato, in quei giorni caldi di luglio, un incarico ‘itinerante’: portare e consegnare 12 di quelle ragazze nei territori dell’Epiro verso l’Albania. Da quelle parti, i nostri soldati erano maggiormente attaccati dai partigiani greci e bisognosi di ulteriori stimoli ed incentivi per combattere e morire per il Duce, con più soddisfazione ed incoscienza. ‘Bonus’ diremmo oggi. Nella Grande Guerra si tacitavano le paure dei soldati, spediti all’assalto, col cordiale e la grappa; ora si era fatto un passo in avanti e, oltre a ‘Bacco’, si integrò con ‘Venere’. Così si moriva meglio, ubriachi e sessualmente appagati. In nome del Duce e per le reni della Grecia.

Ma il viaggio, su un vecchio camion scassato, sarà un viaggio tra cento pericoli e mille pensieri, accompagnato peraltro - come semplice viaggiatore - anche dal seniore (maggiore) delle "camicie nere" Alessi, come tutte loro sempre pronto ad approfittare di ogni occasione sentendosi eroi, figli dell’Uomo della Provvidenza, padroni del mondo. ‘Patrioti’ diremmo oggi.

E il giovane tenente avrà così modo di capire - ancora e meglio - la diversità dei ruoli, tra occupante ed occupato, tra italiani e greci, tra soldati del Regio esercito e camicie nere fasciste, più che mai assassine e drogate dai sogni di gloria del loro Duce. E soprattutto capirà la ‘dignità’ di quelle 13 ragazze molto più ‘dignitosa’ di quella dei nostri soldati ed ufficiali. Delle camicie nere, di sicuro.

Sì, 13 ragazze e non più 12 perché una di loro (Toula) farà di tutto per portarsi dietro anche la sorella Panaiota, di soli 16 anni, in modo tale da dare anche a lei una ‘chanche’ di vita. Meglio prostituta che morta. E più volte durante il viaggio il giovane tenente avrà modo di relazionarsi con quelle ragazze, alcune oramai in grado di parlare e capire la nostra lingua, dopo due anni di forzata connivenza con gli italiani. Ma forse, in alcuni casi, le parole non erano così necessarie. Come quando Eftichia, una ragazza di 24 anni di poche parole (almeno all’inizio) piena di odio verso gli italiani e di disgusto per le umiliazioni che doveva sopportare per sopravvivere, gli disse: “La mia gente non va trattata come un popolo di bestie”. Oppure quando Elenitza, la più bella e dolce del gruppo, che cercava di vivere quel suo ‘incarico’ con rassegnata spensieratezza, per soffrire dentro meno, si giustificò chiedendogli: “Tu sai cos’è la fame?’’.

Avrà modo di parlare più volte con quelle ragazze e più volte si chiederà ‘che cosa siamo diventati?’. E lo intendeva come persona, come uomo, come italiano.

Il viaggio proseguì con varie tappe nei luoghi indicati (caserme, villaggi, reparti), ove due ragazze alla volta venivano scaricate per iniziare le ‘mansioni’ assegnate. Ma passerà anche tra attacchi partigiani, rappresaglie fasciste, villaggi bruciati, fucilazioni di ragazzi greci ‘quali monito’ ai civili che, come diceva assetato di odio il seniore Alessi, non capivano le regole del più forte, le leggi di chi è destinato a comandare e chi a subire. Era la voce del Duce che parlava: ci sono razze superiori e razze inferiori. Il resto non conta. Questa la sintesi del fascismo, questa la dottrina del nazismo.

Il giovane tenente arrivò alla fine a destinazione con le ultime poche ragazze rimaste, alcune lasciate nei luoghi dove erano attese, altre uccise lungo la strada, tra cui la bella Elenitza. Ma si comporterà sempre però con rispetto, tanto da trasformare l’odio di Eftichia in un sentimento di amore. Ma sarà un amore impossibile, un qualcosa di sfuggente, breve e irrealizzabile, perché non vi sarà mai futuro tra i due: rappresentavano due mondi troppo opposti, in conflitto uno contro l’altro, la cui vita di uno si basava sulla morte del secondo, il successo del primo sulla sofferenza dell’altro.

E le ultime parole di Elenitza, rivolte al giovane tenente prima di lasciarlo - e dirigersi non verso la sua prevista sede di lavoro per soddisfare i soldati italiani, ma verso le montagne per raggiungere i partigiani greci - rappresentano l’essenza di quella guerra di invasione, come di tutte le guerre. Ma soprattutto della nostra guerra criminale di Grecia del 28 ottobre 1940: “Il peggio non è stato ammazzare e distruggere perché gli uomini muoiono ma nascono anche, le città si ricostruiscono e la vita mai finisce solo con la violenza. Il peggio è stato l’averci umiliato”.

Il tenente non seppe risponderle o controbatterle. Come non riuscirà nemmeno alla frase successiva: “Quanto tutto sarà finito chi ci renderà questi anni? E che cosa ci resterà di tutte quelle cose che ci avevano insegnato fin da piccoli: la gentilezza, la dignità, il rispetto verso quelli che sono i più deboli, la bontà dei nostri simili? Cosa ci resterà? Ritorneranno?

Il giovane tenente rimarrà così senza parole e ancora solo, solo con sé stesso, senza la pace interiore che forse cercava, sempre più consapevole di cos’è una guerra e le devastazioni che, dentro e fuori, la guerra genera. Se era partito come fascista, se strada facendo non si sentirà più tale (‘non mi occupo di politica’ disse un giorno ad Alessi, la fanatica camicia nera) alla fine del viaggio era diventato totalmente antifascista, tanto da lasciare andare Elenitza, divenuta il suo amore, ad ingrossare le fila dei nemici.

Quella che vi ho raccontato, in estrema sintesi, è l’essenza di un libro scritto nell’immediato dopo guerra e pubblicato nel 1956 da un reduce di quella atrocità. Si chiamava Ugo Mattone, classe 1920. E quel libro venne intitolato non a caso ‘Le soldatesse’. Non risultava autobiografico, ma nella figura del giovane Gaetano Martino c’era molto del suo vissuto. Ma col ritorno dalla guerra – aveva combattuto in Jugoslavia e Grecia e poi preso prigioniero dai tedeschi – decise di usare nella sua attività, nella sua nuova vita, un nuovo nome: Ugo Pirro. Perché quella Grecia, l’Epiro, gli era rimasta dentro e forse si sentiva come Pirro, il re dell’Epiro che 300 anni A.C. divenne simbolo e un tutt’uno con la sua terra.

E sarà come Ugo Pirro che diventerà uomo e personaggio famoso nel mondo della letteratura e soprattutto del cinema quale sceneggiatore. Pensate che 30 anni dopo quell’esperienza di vita in Grecia, nel 1972, venne candidato a due premi Oscar. In ‘Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto’ del regista Elio Petri (1970) la sceneggiatura originale era la sua. Come lo era quella ‘non originale’ di ‘Il giardino dei Finzi-Contini’ (1970), il mitico film di Vittorio De Sica ripreso dal libro di Giorgio Bassani.

Ma aveva già esordito nel cinema nella sceneggiatura di film di guerra già nel 1951 con ‘Achtung! Banditi!’ con Carlo Lizzani (con cui poi nel 1960 realizzerà anche ’Il gobbo’).

Ma la sua vita professionale rimase molto legata titolo al cosiddetto ‘filone del cinema di impegno civile (o cinema politico)’ particolarmente vivace in Italia tra la fine degli anni ‘60 e gli anni ’70. Ne nacque un terzetto Petri-Pirro-Volonté degno del massimo valore artistico e che fu – come qualcuno scrisse - la vera punta di diamante di quel filone. Uscirono infatti dalla firma di Ugo Pirro anche ‘A ciascuno il suo’ (1967), ‘La classe operaia va in paradiso’ (1971),’ La proprietà non è più un furto’ (1973).

Film e sceneggiature dove il vero fulcro restava l’anima dell’uomo, desideroso di giustizia, di rispetto verso la dignità della vita, al di là delle divisioni tra classi sociali, nazionalità, bandiere o ideologie politiche. Ugo Pirro collaborò anche con altri miti del cinema, oltre a Vittorio De Sica, come Damiano Damiani o Gillo Pontecorvo. Con Vincenzo Talarico firmò inoltre lo sceneggiato televisivo Rai ‘Luisa Sanfelice’ (1966). Nel 1986, infine, gli venne conferito il Premio Flaiano per la sceneggiatura per il complesso della sua produzione artistica e nel 1996 vinse e ritirò il Premio David di Donatello per la sceneggiatura del film ‘Celluloide’.

Ma tutto era partito dalla sua guerra in Grecia in quel suo viaggio nella terra dell‘Epiro, che tanto lo aveva colpito fuori e cambiato dentro.

All’inizio il libro ebbe un discreto successo, ma senza tanti clamori. Cambierà dopo il 1965 quando il regista Valerio Zurlini lo trasformerà in un film, mantenendone il titolo. Cambierà ma avrà sempre la critica contro. Qualcuno arrivò a scrivere che: “il film riesce a tenersi lontano dalla retorica e sa evitare le tentazioni voyeuristiche, ma non certe cadute di tono [...] e qualche scivolata sentimentalistica” (Paolo Mereghetti). Anche se altri coglieranno valori diversi, come Morando Morandini, che lo ritenne «un film diseguale e parzialmente riuscito» che ha il merito di essere «autenticamente antifascista perché denuncia senza mezzi termini le responsabilità e le repressioni italiane in quella guerra d'occupazione».

L’argomento era infatti troppo scomodo, politicamente andava contro il ‘sentiment’ del momento. Si era in piena guerra fredda e non si poteva parlar male del nostro esercito o, peggio, del nostro passato fascista, proprio allora che gran parte dei fascisti erano stati resuscitati come Lazzaro sul sepolcro in ottica ante-Mosca. Eravamo nel 1965. Pensate solo che 17 anni dopo Andreotti censurerà, vietandone la visione al pubblico, un altro film ‘Il Leone del deserto’ perché «danneggiava l'onore dell'esercito italiano».

Nel caso di ‘Le soldatesse’ di Pirro si scelse una altra strada: non ti censuro, ma ti cancello. Di fatto venne tolto dalle sale e nessuna televisione mai lo trasmise. Solo oggi 60 anni dopo, grazie al web - in quanto meno controllabile - lo si può, magari con difficoltà, vedere. E che sia in bianco e nero, come allora si faceva, non risulta un handicap ma solo la fotografia ulteriore della nostra realtà italiana. Dove tutto è bianco e nero, solo che il bianco (la parte positiva) viene mostrata, ma il nero (la parte criminale) cancellata. Da noi regnava e regna la favola del ‘bono italiano’, le violenze, le atrocità, i crimini dell’Italia fascista non vanno conosciute. Altrimenti nel tempo del ‘Dio, Patria & Famiglia’ come fanno a raccogliere voti?

La censura è antiquata: oggi basta raccontare fake-news, dedicare vie a criminali, razzisti ed antisemiti, usare come messaggio politico i simboli della X Mas, cercare di nascondere il fascismo per parificare e purificare i fascisti vecchi, nuovi e futuri, che siano.

Ugo Pirro, all’anagrafe l’ufficiale Ugo Mattone classe 1920, è morto il 18 gennaio 2008 e non ha visto per sua fortuna il degrado storico e morale degli ultimi anni, quando il tempo ha iniziato a tornare indietro, come i gamberi. E le domande che Pirro si faceva - e poneva anche a noi – usando la bocca di Elenitza, prima che questa partisse verso il suo destino tra i partigiani: “Quanto tutto sarà finito chi ci renderà questi anni? E che cosa ci resterà di tutte quelle cose che ci avevano insegnato fin da piccoli: la gentilezza, la dignità, il rispetto verso quelli che sono i più deboli, la bontà dei nostri simili? Cosa ci resterà? Ritorneranno?” resteranno ancora senza risposta. E non solo in Grecia, nell’Epiro, nell’ estate 1942, in quella metà di luglio di 82 anni fa.

9 luglio 2024 – 82 anni dopo

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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