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28 giugno 2024
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Il grande pretesto
di Rinaldo Battaglia *

Helmuth Karl Graf von Moltke, allora capo di Stato maggiore dell'esercito del Kaiser, in un suo discorso al Reichstag - nel lontano maggio 1890 - aveva previsto le carte della Storia: "Se una guerra dovesse scoppiare, nessuno potrebbe prevederne la durata. Potrebbe essere una guerra dei sette anni o dei trent'anni, guai all'uomo che per primo getterà il fiammifero nella polveriera". Quel fiammifero verrà acceso a Sarajevo il 28 giugno 1914, una calda domenica di inizio estate ma che segnerà, sul calendario, la fine di un periodo di splendore economico e sviluppo umano e sociale mai vissuto prima e passato sui libri di storia come la ‘Belle Epoque’.

E quell’uomo sarà uno studente indipendentista serbo, Gavrilo Princip, allora di soli 19 anni, membro del gruppo paramilitare Mlada Bosna (Giovane Bosnia).

Mesi prima era venuto a contatto con un gruppo terroristico ultranazionalista (Crna ruka - Mano nera), che mirava all'autonomia della Bosnia dal giogo austriaco e farla diventare parte integrante del Regno di Serbia. Come avverrà dopo la pace di Versailles del 1919, ‘pace provvisoria’ che comunque porrà la fine di un periodo di catastrofi economiche e tragedie umane e sociali, mai vissuto prima e passato sui libri di storia come la ‘Grande Guerra’. Pace provvisoria, certo. 20 anni dopo si ritornerà indietro e sarà ancora più catastrofe e più tragedia.

Il capo espiatorio fu trovato nell’Arciduca Francesco Ferdinando - erede al trono d'Austria-Ungheria allora, sin dal lontano 1948, goduto dall’Imperatore Francesco Giuseppe - e sua moglie Sofia. Erano arrivati a Sarajevo in treno, dopo tre giorni di vacanza in una cittadina termale, accolti e riveriti a festa con l’auto - diremmo oggi – presidenziale, scoperta per festeggiare ed esser festeggiati dai sudditi. Sarà una prassi negli anni a venire. Ne sapranno qualcosa a Dallas il 22 novembre 1963.

Quella domenica di inizio estate era la festa di San Vito, festa nazionale dei serbi, dove i risentimenti contro i ‘padroni’ austriaci erano al massimo. Ma nessuno se lo ricordava. Forse. L’auto passò in Municipio, poi al bazar e poi ancora in mezzo alla folla, senza particolari misure di sicurezza. Fu lì ad un incrocio, dove l’auto rallentò quasi fermandosi per una manovra di retromarcia - strano a dirsi - furono sparati due colpi di pistola, da pochi passi massimo due metri, verso l’erede al trono. L’arciduca morì poco dopo, la moglie Sofia all’istante.

Anni dopo verrà confermata anche un’altra verità: poche ore prima dell’assassinio, causato da Gavrilo Princip, l’erede al trono e la consorte erano scampati ad un primo attentato dinamitardo, compiuto sempre da alcuni complici di Princip. Ma questi mancarono il bersaglio, fallirono il colpo e ferirono invece due ufficiali a bordo della macchina successiva, la prima che veniva al seguito di quella dov’era seduto l'arciduca.

Ma lo ‘show must go on’, il gioco doveva proseguire. Si decise che il giro dell’Arciduca proseguisse nuovamente lungo la via principale, sempre senza ulteriori difese o assumere nuove precauzioni. E al secondo tentativo “il fiammifero venne gettato con successo nella polveriera". Chi voleva la guerra aveva raggiunto il suo obiettivo. Il ‘casus belli’ era stato cercato, scritto, previsto, finalmente trovato.

Il 28 luglio (un mese dopo l'attentato) l'Austria-Ungheria dichiarò ufficialmente guerra alla Serbia. Immediatamente la Russia (legata nella Triplice Intesa con Francia ed Inghilterra) si mobilitò ricordando i forti legami con la causa slava e – ad effetto domino - la Germania (legata all’Austria e all’Italia nella Triplice Alleanza), timorosa di un attacco simultaneo da est e da ovest, inviò a sua volta due ultimatum, uno alla stessa Russia, uno alla Francia e data l’inevitabile mancata risposta – come da copione - il 1° agosto il Kaiser passò alla dichiarazione di guerra alla Russia, seguita, due giorni dopo, da quella alla Francia. Per invadere la Francia, le truppe tedesche dovettero violare la frontiera del Belgio, il 4 agosto, "stuprandolo", come disse a suo tempo il suo sovrano. E La Gran Bretagna – terzo partner della Triplice Alleanza - si sentì in dovere di entrare in guerra contro gli Imperi Centrali.

Strada facendo tutto il mondo sarà coinvolto fino all’11 novembre 1918. 70 milioni di uomini saranno chiamati a combattere. Almeno 14 milioni saranno i morti, di cui oltre un terzo ‘civili’. Coi feriti, gli invalidi e i dispersi si parlò di 30 milioni di persone. Senza tener conto dei morti per la pandemia di allora, sviluppatasi a ritmi velocissimi proprio nelle trincee della guerra, dove i topi e gli uomini si contendevano i centimetri e la fame. Un’intera civiltà distrutta, una rivoluzione totale con la fine immediata di 4 dei 5 imperi allora esistenti e su cui si basava da secoli l’equilibro del ‘mondo’.

Nascerà un’altra epoca: dal 1917 il centro del potere politico ed economico non sarà più l’Europa dopo almeno 3.000 anni, ma il testimone passerà agli USA.

La vecchia Europa, da sempre, prima il centro dell’universo era caduta in frantumi, senza neanche rendersene conto. Tutti volevano la pace, ma il risultato fu l’opposto. Si era difeso l’equilibrio di allora con una serie di ‘alleanze difensive’ che, alla fine, anziché frenare, accelerarono la guerra. Erano alleanze 'difensive', ossia solo se attaccati potevano essere usate. Ecco, quindi, la ricerca (forse) del pretesto dell’attentato del 28 giugno 1914, che poteva – se si voleva – probabilmente evitare o almeno rendere ‘meno facile’. Serviva il pretesto per obbligare gli altri alleati alla guerra.

Chi conosce la Storia sa bene l’importanza del concetto di ‘alleanza difensiva’. La nostra Italia nel maggio 1915 entrò in guerra non assieme ai soci della Triplice Alleanza, ma contro, perché l’Austria e la Germania avevano loro attaccato non subìto l’attacco altrui e quindi il patto precedente era da considerarsi nullo e non valido.

Hitler, 20 anni dopo, sarà talmente convinto di questo concetto che nella nuova alleanza con Mussolini (il - da noi - poco famoso ‘Patto d’Acciaio’ del 22 maggio 1939), al punto 3, parlerà solo di ‘entrata in guerra’, senza specificare se in attacco contro altri paesi o in difesa da invasioni altrui. Per Hitler e Mussolini non vi erano differenze. Era la nuova guerra che volevano, tutto il resto non serviva, tutto il resto era ostacolo alla loro gloria. E sarà nuova catastrofe, ancora peggiore della precedente.

Eppure, anche prima del 1914, l’Europa aveva cercato di difendersi dalla ferocia della guerra. Nel 1900 era stata creata la Corte internazionale di Giustizia, nel 1907 all'Aja si era decisa una nuova Convenzione. Si erano stabiliti precisi limiti con precise regole sul disarmo, chiara limitazione di armamenti altamente nocivi, assoluto divieto di gas asfissianti (non si conosceva l’iprite ma si intuiva dove il progresso tecnologico sarebbe potuto arrivare), si vietò l’uso di nuove armi (magari 'volanti' nel cielo).

Sarà tutto totalmente cancellato senza scrupoli, tutto non rispettato con la massima tranquillità e massima ipocrisia, solo da lì sette anni. Peggio ancora, dopo.

Cosa ci rimane, oggi, del 28 giugno 1914?

La certezza che non ci sono certezze, che la guerra se non combattuta ogni giorno col dialogo, può ritornare con la massima tranquillità e massima ipocrisia. Basta uno stupido pretesto, un fiammifero da gettare nella polveriera. Anzi: a dire il vero oggi non serve più nemmeno il pretesto, basta inventarsene uno. E poi, poi la guerra ti sfugge di mano, diventa autonoma, vive di luce propria, si muove da sola e si espande a macchia d’olio. Ed è di nuovo catastrofe. Anche perché, dopo Hiroshima, i grandi sono più dotati. E gli alleati dei grandi, sebbene loro piccoli e succubi.

Un giorno Bertolt Brecht appena fuggito dalla sua Germania - poche settimane dopo la presa del potere di Hitler – scrisse delle parole che mi hanno sempre colpito e che, da quel 1933, restano purtroppo sempre e ancora di attualità: “Ci sono molti modi di uccidere una persona: si può infilare a qualcuno un coltello nel ventre, toglierli il pane, non guarirlo da una malattia, ficcarlo in una casa inabitabile, massacrarlo di lavoro, spingerlo al suicidio, farlo andare in guerra. Solo pochi di questi modi sono proibiti nel nostro Stato”. Farlo andare in guerra. Farlo andare in guerra!

Cosa ci rimane, oggi, del 28 giugno 1914?

La Storia, la necessità di conoscere la Storia perché, se non si apre la porta al passato, la verità resterà ancora fuori e gli errori, inevitabilmente, si ripeteranno. E, ancor di più, il forte bisogno di una coscienza nuova, che viva sulle tragedie passate dell’uomo, ma sia capace di innalzarsi sopra le miserie (o, meglio, i business) dell’uomo stesso.

In altre parole, l’urgenza di diventare finalmente ‘uomini’. Mestiere questo – come diceva bene Ernest Hemingway - alquanto difficile: soltanto pochi ce la fanno. E di certo soprattutto dal 24 febbraio 2022, con una nuova guerra tragicamente viva nel cuore dell’Europa da troppo tempo, sarebbe ora che tutti ci riuscissero. Ognuno per la propria parte, ognuno per il proprio ruolo nel mondo.

Per non tornare indietro di oltre un secolo, quando per gioco di potere ed interessi di portafoglio, alla ‘Belle Epoque’ si preferì - per dirla in francese - la ‘Grande Guerre’.

Stupidamente, ignobilmente, criminalmente. Ed era prima di Hiroshima.

28 giugno 2024 - 110 anni dopo - Rinaldo Battaglia

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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