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10 giugno 2024
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Bombe sui fiori di carta
di Rinaldo Battaglia *

Arcidosso, nel grossetano, sull’Amiata, sabato 10 giugno 1944.

Era un sabato di lutto in tutta Italia e non solo perché 4 anni prima da Piazzale Venezia qualche pazzo criminale aveva, tra gli applausi delle camicie nere e degli italiani presenti, spedito in guerra un paese, già moralmente distrutto da 20 anni di dittatura.

A Trieste, la città in cui il Duce andava di solito ad anticipare le peggiori leggi fasciste per essere osannato e riverito come amava esserlo, alle ore 9.15 una pioggia di bombe alleate distrusse oltre 100 edifici e ne danneggiò altri 300. Circa 4.000 persone si trovarono senza casa, ma soprattutto più di 450 senza la vita. Oltre a 1.000 i feriti. Bell’anniversario per davvero e il 10 giugno dell’anno successivo (con gli slavi con la bava alla bocca vincitori della città) sarà ancora peggio.

Ma ad Arcidosso, in Toscana, non lo sapevano e lì si piangeva per altri motivi. Quella mattina tutti erano a lutto per la morte del giovane Elvio Farmeschi, un ragazzo di 17 anni ucciso il giorno prima dai nazisti di un Reparto del Heeresgruppe C della Wehrmacht (14a Armata). Quel giorno venne colpito, assieme ad Elvio, anche Dante Santini. Sopravvivrà subito, ma solo pochi giorni dopo morirà, il 18 giugno 1944, in contrada Zancona, in seguito ad un’emorragia derivata dalla ferita di una scheggia impazzita.

Ad Arcidosso la situazione era molto critica per i tedeschi e per i fascisti. Qui, dalla prefettura di Grosseto, il capogabinetto Giorgio Almirante – l’uomo forte in zona - il 17 maggio aveva ordinato la massima violenza e la massima decisione contro i partigiani e gli ‘sbandati’ ossia chi non era fascista, con tanto di manifesti appesi sui muri di ogni paese del grossetano. La situazione era molto critica e i nazifascisti non volevano perdere quella zona, come poi succederà una settimana solo dopo (il 18 giugno 1944) grazie alle azioni dei reparti del Corpo di spedizione francese e alle locali squadre partigiane.

Lì, nell’area di Arcidosso, operavano i partigiani della “banda dei Tigrotti di Maremma”, quella di Fonte alle Monache (scioltasi però di fatto, causa il rastrellamento del 27 marzo 1944) e il 7° Distaccamento “Sabatini” della 21° Brigata Garibaldi “Spartaco Lavagnini”. Dopo anche l’uscita del ‘comunicato di Almirante’, per quasi reazione, a fine maggio 1944 i partigiani di Arcidosso intensificarono le loro azioni, colpendo persino la casa del tenente della G.N.R. Ciabatti, uno dei capi fascisti della zona.

Poi fu un’escalation: nella notte tra il 4 e il 5 giugno venne liberato un detenuto politico, il giorno 6 attaccata la caserma della stessa G.N.R., il giorno 7 bloccato in zona un rastrellamento da parte di una compagnia OP della G.N.R. di Grosseto. Gli Alleati erano oramai alle porte e il 9 giugno più di qualche fascista abbandonò in fretta e furia la zona di Arcidosso, lasciando lì i più fanatici. Dall’altra parte i partigiani cercarono altresì di sbarrare la strada per Santa Fiora, strategicamente importante, al fine di ostacolare la ritirata nazifascista.

Fu allora che i tedeschi, guidati dai fascisti rimasti in zona, per rappresaglia o per disperazione entrarono in paese e si misero a sparare all’impazzata. Uccidendo il giovane diciassettenne Elvio Farneschi e ferendo altre 9/10 persone. Tutte civili, gente del posto, contadini di Arcidosso. Unico ferito forse ‘non civile’ risultò Angelo Fatarella, partigiano del distaccamento di Arcidosso della formazione “Alta Amiata” oltre ad un carabiniere del posto, non in servizio, Egidio Menghi. Non soddisfatti a tarda sera, dopo le 20.00, i tedeschi del reparto Heeresgruppe C replicarono l’azione.

Il giorno dopo, sabato 10 giugno, i genitori e i parenti di Elvio Farneschi e tanti amici del posto che stimavano quella famiglia si ritrovarono nei pressi della ‘Torretta’ per partecipare al funerale. Un funerale povero, un funerale di guerra ma consumato con la massima dignità. Si pensi che, pur essendo giugno avanzato ed in una zona tra le più belle della Toscana, non vi erano quel giorno al funerale fiori freschi. La guerra e la fame avevano distrutto tutto. Ma i fiori non mancarono ugualmente: vennero costruiti a mano nella notte utilizzando la carta vecchia. Erano fiori di carta sì, ma fiori veri. Ma mentre si piangeva e si pregava per la morte del ragazzo, improvvisamente dal cielo arrivò un temporale di bombe, peggio di una pioggia primaverile. Alcune bombe caddero sulla porta di Mezzo e investirono la Torretta dell’orologio, altre sul municipio, moltissime su tutto il quartiere di Codaccio.

Erano bombe ‘amiche’, sganciate degli alleati per favorire la ‘liberazione ‘ di Arcidosso e stanare gli ultimi gruppi della GNR e della Wehrmacht. Erano bombe forse non più necessarie per come si stavano mettendo le cose sul campo, ma erano già state decise chissà da quanti giorni prima e chissà da quale comando.

Non ci furono numeri precisi delle vittime di quel temporale di bombe, perché in quei giorni ad Arcidosso si erano fermati molti sfollati da Grosseto e zone limitrofe. Solo i cittadini di Arcidosso furono quantificati in 92, ma nel complesso molti indicano in non meno di 110 vite umane perdute. Forse anche 120. E gran parte di loro stavano partecipando al funerale di Elvio Farneschi, tutti vicini, tutti uniti come si conviene ad un funerale. Quando si cerca consolazione unendosi uno con l’altro, forse per sentire meno dolore.

Morire ucciso al funerale del figlio o di un caro familiare. Questa è la guerra. Non servono parole ulteriori. Ma tanto sappiamo che anche quelle morti sono servite a poco e tuttora si muore sotto le bombe nei mille angoli sbagliati del mondo. Anche 80 anni dopo quel tragico funerale.

Ad Arcidosso – almeno lì - quella giornata non è però mai stata dimenticata. Ho letto molto sul ‘giorno del ricordo’ di Arcidosso e soprattutto la ricorrenza del 2019 – 75 anni dopo - mi ha colpito profondamente.

Quell’anno il 10 giugno era di lunedì e ad esser protagonisti furono allora i bambini delle due 'quinte classi' della scuola elementare del paese. Le autorità comunali avevano deciso di incontrare quei bambini nella sala consiliare del palazzo municipale alle 10.00 per dare il massimo onore all’evento. Era presente lo storico Adriano Crescenzi che spiegò a quei piccoli ‘ospiti’ cosa successe 75 anni prima e al suo fianco una signora molto anziana, Adriana Bargagli, che quel giorno da giovanissima maestra era nella scuola coi suoi alunni. E poi dal Municipio, col sindaco Jacopo Marini in testa, tutti sono partiti in corteo per andare a deporre una corona sotto la torretta dell’orologio, il quel luogo diventato simbolo di quella tragedia.

E i bambini – come scrisse il giornale del luogo ‘Il nuovo Corriere dell’Amiata - hanno deposto “sotto l’orologio i loro fiori di carta, memoria di quelli che 75 anni fa furono lasciati ai caduti: fiori freschi, infatti, non era possibile trovarne e la pietà dei congiunti e di tutta la comunità si manifestò con fiori di carta, simboli di amore e di dolore per quel dramma indimenticato”. Dramma non dimenticato ad Arcidosso, ma fuori zona qualcuno 80 anni dopo ne sa qualcosa?

E che poi fossero ‘bombe amiche’, bombe dei liberatori, poco cambiava e poco cambia nel contesto criminale che è ogni guerra. Erri De Luca un giorno scrisse che ‘i bombardamenti aerei sulle città sono stati il sonoro del millenovecento’. Verissimo, giustissimo, solo che si sbagliava perché in questo nostro secolo attuale nulla è cambiato. Se non in peggio. E non solo nei giorni di funerale, con o senza fiori di carta.

10 giugno 2024 – 80 anni dopo

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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