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06 giugno 2024
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"Queste verità" statunitensi: in via di compimento o irrealizzabili?
di Roberto Rizzardi

"Noi riteniamo di per sé evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità." (incipit della Dichiarazione d'Indipendenza degli Stati Uniti).

“Queste Verità”, il corposo libro di Jill Lepore – poco meno di 1.000 pagine, quasi 2.000 nel mio e-reader – ripercorre fin da prima della sua formalizzazione nella Dichiarazione d’Indipendenza e nella Costituzione repubblicana statunitense, la genesi ed il percorso evolutivo della democrazia USA, modulato sull'interpretazione dei principi costituzionali, fino alla presidenza Trump.

E’ un percorso tormentato, spesso ondivago e intossicato fin da principio dalla distonia tra gli elevati principi di eguaglianza rivendicati e la prassi segregazionista che per certi versi è tuttora in vigore. Ai nostri occhi di europei pare sia un cammino tuttora incompiuto per una sorta di tara genetica legata alla cultura britannica, che animò prevalentemente la nascita della nazione statunitense.

La genesi della democrazia repubblicana nordamericana rappresenta un punto focale nella storia dei sistemi politici, soprattutto in era moderna. Essa rappresenta il primo esperimento di democrazia rappresentativa che diviene effettivo ed operante in un contesto storico dominato da regimi monarchici prevalentemente di tipo assoluto, con la notevole eccezione della monarchia britannica, costituzionale fin dal 1688 in seguito alla “Gloriosa Rivoluzione” e alla promulgazione del Bill of Rights.

L’assetto istituzionale della Gran Bretagna di Giorgio III poteva essere parlamentare, ma la cifra distintiva della società britannica era profondamente classista e con classi a “tenuta stagna” per così dire, con privilegi inamovibili riservati a classi specifiche, senza alcuna mobilità che non fosse episodica, altamente discrezionale e comunque sottoposta allo stigma sociale riservato ai nobili di recente investitura.

I Padri Fondatori degli Stati Uniti, i firmatari della Dichiarazione d’Indipendenza, avevano molto chiaro il concetto di repubblica parlamentare rappresentativa, ma erano anche profondamente condizionati dalla visione classista propria della cultura politica da cui provenivano, e tale influenza rimase profondamente incistata nella prassi della novella Repubblica.

Come tenere insieme i rivoluzionari principi egualitari espressi nei documenti fondativi con la realtà di una vasta popolazione di schiavi in condizioni abiette e nativi cui venivano negati i più elementari diritti? Semplice, formalizzando una gerarchia, sociale e perfino biologica, che stabiliva superiorità razziali cui conseguivano diritti connaturati, negati alle “razze inferiori”, definite tali in base a classificazioni del tutto arbitrarie.

Ai criteri etnici e razziali originali, nel corso dei secoli ed al variare delle condizioni si sono poi aggiunti altri distinguo, politici, ideologici ed economici, tutti invariabilmente tesi ad assicurare rendite di posizione alle classi dominanti. Fu un processo tumultuoso ed incessante, tuttora perdurante e pervaso da un mix assai contraddittorio di ipocrita verve conservatrice e sincero liberalismo, talvolta così intrecciati da rendere ardua una netta distinzione.

Le basi giuridiche del dibattito per far prevalere l’una o l’altra delle visioni, mai esaurito nella società statunitense, risentono molto anche dell'influenza consuetudinaria, e perciò stesso contendibile con relativa facilità, che deriva dall'impianto "common law" del loro sistema giudiziario, più suscettibile di venire influenzato da fattori congiunturali che da principi inamovibili.

Non vi sono tempi prevedibili per ipotizzare un prevalere definito di una visione rispetto all’altra, e credo che ciò sia ascrivibile ad una impossibilità congenita. Il problema, dal nostro punto di vista di non-americani, è che ovviamente la posizione di prevalenza degli USA negli scenari mondiali ci rende soggetti ai risultati di quel dibattito, ma senza avere alcun diritto formale che ci consenta di dire la nostra con adeguata autorevolezza.

Non siamo statunitensi, quindi possiamo solo accoccolarci ai piedi del desco USA, augurandoci che caschino briciole e non scarti.


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