 |
Vittime di mafia: Salvatore e Francesca
di
Pino Maniaci
L'alba del 16 maggio 1955. A Sciara, un piccolo paese in provincia di Palermo, Salvatore Carnevale stava andando a lavorare in una cava di pietra. Il sole era ancora basso e i fiori dovevano aprirsi quando Salvatore venne raggiunto da alcuni killer che lo assassinarono a colpi di lupara. Sui campi si sparse il sangue di quel giovane, ucciso a soli trentun anni perché aveva osato sfidare i ricchi proprietari terrieri, difendendo i diritti dei braccianti agricoli.
Turiddu (nomignolo per Salvatore, ndr) era un sindacalista. Nel 1951, dopo aver fondato la sezione del Partito Socialista Italiano di Sciara, organizzando la locale Camera del lavoro, aveva guidato circa trecento contadini in una prima occupazione.
Al suo fianco una donna coraggiosa, sua madre Francesca Serio, che dopo essere rimasta vedova aveva cresciuto quel figlio da sola, tra stenti e fatiche: per sfamarlo era andata a lavorare nei campi, uno scandalo per una società che relegava le donne tra le mura domestiche ma lei era diversa e quello era l'unico modo per tirare avanti.
"Andavo a lavorare per campare questo figlio piccolo, poi crebbe, andò a scuola ma era ancora piccolino, così facevo tutti i mestieri per mantenerlo. Andavo a raccogliere le olive, finite le olive cominciavano i piselli, finiti i piselli cominciavano le mandorle, finite le mandorle ricominciavano le olive, e mietere, mietere l'erba perché si fa foraggio per gli animali e si usa il grano per noi, e mi toccava di zappare perché c'era il bambino e non volevo farlo patire, e non volevo che nessuno lo disprezzasse, neanche nella mia stessa famiglia. Io dovevo lavorare tutto il giorno e lasciavo il bambino a mia sorella. Padre non ne aveva, se lo prese mio cognato qualche anno a impratichirsi dei lavori di campagna".
Non lo lasciò mai da solo, nemmeno quando venne arrestato per l'occupazione delle terre della principessa Notarbartolo. In quel periodo, dopo essere uscito dal carcere, Turiddu si era trasferito per due anni a Montevarchi, in Toscana, venendo a contatto con una cultura dei diritti dei lavoratori ben diversa da quella siciliana. Nel suo cuore c'era sempre la sua terra, la Sicilia, dove tornò nel 1954 per schierarsi ancora una volta dalla parte dei lavoratori. Nelle sue lotte tutta la sua esperienza, tutta la sua forza e le sue idee migliori, che portarono a risultati importanti: tre giorni prima di essere assassinato, infatti, era riuscito ad ottenere le paghe arretrate dei suoi compagni e l'orario di otto ore per una giornata lavorativa.
Un nemico scomodo per i mafiosi di Sciara, che lo punirono nel peggiore dei modi: con un agguato in piena regola, già preceduto da numerose minacce. La mattina del delitto, poco prima di uscire da casa, mamma Francesca gli confidò di aver fatto un brutto sogno: "Stai attento alla cava, tieni gli occhi aperti", gli disse. Qualche ora dopo arrivò in paese la notizia dell'omicidio. Un incubo divenuto realtà.
Carnevale fu uno degli ultimi sindacalisti uccisi dalla mafia, dopo la mattanza degli anni 1946-48. Del suo omicidio vennero accusati quattro mafiosi di Sciara, contro i quali sua madre Francesca aveva puntato il dito, diventando un'icona antimafia: in tribunale, rappresentata dall'avvocato ed allora deputato Sandro Pertini - che in seguito divenne Presidente della Repubblica - portò avanti la sua ultima battaglia, la più dura. Fu la prima donna siciliana a costituirsi parte civile e a rompere l'omertà mafiosa.
Nel 1961, i quattro imputati vennero condannati all'ergastolo ma qualche anno dopo, in appello e in Cassazione, furono tutti assolti per insufficienza di prove, grazie alla difesa di un altro futuro Presidente della Repubblica, il democristiano Giovanni Leone.
La signora Serio dichiarò che quella sentenza uccise il figlio una seconda volta. Lei morì il 16 luglio 1992 all'età di 89 anni. Senza avere ottenuto giustizia.
La sua figura ispirò Carlo Levi, che nel suo libro "Le parole sono pietre" descrisse il dolore di mamma Francesca:
«È una donna di cinquant’anni, ancora giovanile nel corpo snello e nell’aspetto, ancora bella nei neri occhi acuti, nel bianco-bruno colore della pelle, nei neri capelli, nelle bianche labbra sottili, nei denti minuti e taglienti, nelle lunghe mani espressive e parlanti; di una bellezza dura, asciugata, violenta, opaca come una pietra, spietata, apparentemente disumana...
Niente altro esiste di lei e per lei se non questo processo che essa istruisce e svolge da sola, seduta nella sua sedia di fianco al letto; il processo del feudo, della condizione servile contadina, il processo della mafia e dello Stato. Così questa donna si è fatta in un giorno: le lacrime non sono più lacrime ma parole, e le parole sono pietre...»
A lei e a Salvatore Carnevale dedichiamo il nostro ricordo. Aiutateci a mantenere viva la memoria.
 
Dossier diritti
|
|