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07 maggio 2024
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I fascisti della banda Ruggiero
di Rinaldo Battaglia *

Se a Palmanova e nella Bassa Friulana dopo la condanna a morte emessa dal TDP (Tribunale del Popolo) e l’immediata esecuzione il 5 maggio 1945 del tenente Odorico Borsatti - il comandante criminale della Banda che portava il suo nome - la popolazione tirò un respiro di sollievo, la cosa non si può altrettanto dire con l’altra banda, quella comandata dal capitano fascista Ernesto Ruggiero.

Di Ruggiero poco si sa della sua carriera militare ante 8 settembre 1943, ma in Friuli la popolazione civile bene conosceva le sue ‘gesta’ sin dall’autunno 1944, quando questi – napoletano di neanche 40 anni (era classe 1905) – arrivò a Palmanova. Dapprima in appoggio e poi in sostituzione della Banda Borsatti, quando questa allargò il suo cerchio di azione anche fuori città, lasciando spazio a Ruggiero per le sue ‘particolari’ attività.

Tanto per essere chiari, se la banda Borsatti fu una banda criminale inquadrata nelle Waffen-SS come reparto autonomo composto da soldati tedeschi e italiani e Odorico Borsatti il suo Waffen-Obersturmführer der SS, qui con la banda Ruggiero il discorso è molto più semplice. Ernesto Ruggiero era italiano, fascista fino all’osso, non ben visto nemmeno dai nazisti per la sua violenza smisurata. La sua ‘banda’ non era altro che la 2a Compagnia 1° Battaglione del V Reggimento della Milizia di Difesa Territoriale (ex 63 a Legione MVSN). Uomini di Salò, quindi, fascisti ed italiani al 100%. Nessun tedesco, nessun nazista neanche a cercarlo, volendolo.

Solo che a livello operativo non si distinsero per nulla dalle ’iene’ di Odorico Borsatti (così si autodefinivano). La banda Ruggiero inizialmente con una quarantina di uomini – tutti cresciuti nel mito del Duce – arrivò a Palmanova alla fine di novembre del ’44. Si fecero subito notare, in particolare una decina di uomini che usarono la massima ferocia contro chiunque fosse loro contro. Sia che fossero partigiani che semplici civili, sia che fosse accertato che solo sospettato o forse appena ipotizzato o solamente intravvisto. Il termine di ‘banda Ruggiero’, da cui diffidare e possibilmente scappare, nacque così quasi spontaneamente tra la gente di Palmanova.

Nessuno seppe distinguerli dalla banda Borsatti, per tutti erano solo la loro continuazione. Alcuni fascisti si esaltarono in queste azioni repressive. I nomi più temuti erano quelli di Giacomo Rotigni, Alessandro Munaretto, Alessandro Billa, Giuseppe Coccolo, Giovanni Bianco, Quinto Cragno, Giovanni Turrin, Antonio Piccini. Ma, dopo il capitano Ernesto Ruggiero, il più sanguinario risultava un certo Remigio Rebez. Era stato inizialmente un milite della X MAS di Junio Valerio Borghese e aveva combattuto nel Battaglione “Nuotatori Paracadutisti” agli ordini di Nino Buttazzoni, che era stato dopo l’8 settembre fino all’autunno del 1944 di stanza proprio a Palmanova. Poi Rebez qui si fermò, aggregandosi a pieno titolo al gruppo di Ruggiero, con l’intento di continuare – sotto altri comandanti - l’attività di repressione contro i partigiani nel nome e per conto del Duce. Forse il restare dentro la X MAS non gli bastava più, non appagava del tutto la sua sete di sangue.

Da fine dicembre ’44 e fino all'aprile del ’45 i fascisti di Ruggiero furono a dir poco terribili in zona. E non solo all’interno della Caserma Piave – diventata già prima il simbolo della violenza della banda Borsatti – ma anche nella piana tra Codroipo e Monfalcone. Ma quel che sorprendeva era il metodo e la costanza nelle loro azioni. I rastrellamenti erano quotidiani, ogni singolo giorno della settimana, con sparatorie, arresti arbitrari, furti e razzie di tutto quello che a loro serviva o faceva comodo. Erano loro i padroni, in nome del Duce e nel loro interesse. E chi protestava o reagiva anche minimamente veniva preso, torturato e quasi sempre fucilato. Molti uomini, ma anche giovani, scomparsi in quelle terre verranno trovati giorni dopo abbandonati nelle campagne, con evidenti segni delle violenze e torture subite.

Peggio ancora poi chi veniva portato alla Caserma Piave, come mesi prima, al tempo di Borsatti. Testimoni racconteranno di ininterrotte urla che provenivano dall’interno della Caserma. Di più non si poteva fare perché già Odorico Borsatti l’aveva trasformata – prendo a supporto parole dello storico Eugenio Morra – “in una specie di ceka con prigioni e reticolati. Aveva circondato la caserma da un robusto reticolato, perfino il portone d’ingresso oltre a una robusta guardia armata aveva due reticolati, uno avanti sulla strada e uno all’esterno; sul rovescio delle Caserme, verso i bastioni, oltre al reticolato aveva collocato parecchie mine antiuomo».

E sarà Ernesto Ruggiero coi suoi fascisti a proseguire le atrocità. Affermati storici quantificano con certezza e idonea documentazione che nella Caserma Piave tra il periodo di Borsatti e quello di Ruggiero siano state torturate e uccise almeno 465 persone. Di queste si conoscono le identità ma nulla si conosce dei numerosissimi resti di cadaveri ritrovati a guerra finita. Delle 465 vittime identificate, 231 sono state attribuite alla banda Borsatti e ben 234 alla banda Ruggiero. Complessivamente le vittime vengono ipotizzate o stimate in oltre mille. Tutti antifascisti o civili che avevano la sola colpa di esser sospettati che fossero contro il Duce o il Fuhrer o che avessero in qualche modo aiutato o solo ‘tifato‘ per quei due criminali.

Ma la preda preferita, anche sotto il comando di Ruggiero, erano i partigiani. Lo storico Flavio Fabbroni ha nei suoi studi quantificato in ben 543 quelli imprigionati solo nella caserma Piave di Palmanova. A suo dire se ne salvarono non più di 312. Un altro studioso Angiolino Filiputti, grande pittore peraltro e definito in Friuli quale “cantastorie per immagini” della Resistenza e dei crimini avvenuti nella Bassa Friulana, ci ha lasciato alcuni disegni che esprimono alla massima potenza le modalità usate soprattutto dalla banda fascista di Ruggiero. Sono raffigurazioni di torture disumane, atrocità indescrivibili pari forse solo a quelle commesse dai peggiori nazisti. Eppure erano italiani e le vittime italiane.

Il successo della repressione anti-partigiana dei fascisti di Ruggiero infatti fu dovuto a due strategie essenzialmente. Per primo potenziando al massimo “lo spionaggio di fascisti travestiti da partigiani", che avrebbe permesso azioni dirette e rastrellamenti. E soprattutto attraverso “torture raccapriccianti inferte con feroci percosse date su ogni parte del corpo servendosi dei più svariati mezzi come bastoni, spranghe di ferro, cinghie, nervi di bue, filo di ferro spinato, scarpe chiodate, pugni ricoperti di guanti ferrati, ustioni prodotte da sigarette accese, tizzoni ardenti, polvere pirica, conficcamento di aghi sotto le unghie (…), cagionando mediante fucilazione, impiccagione o in altro modo la morte”, come precisa la sentenza del 5 ottobre 1946 della Corte speciale d’Assise di Udine.

E qui per quanto concerne il dopo-guerra e la ricerca di giustizia, si ebbe la sostanziale differenza tra il destino della Banda Borsatti e di quella di Ernesto Ruggiero. Perché non si fece reale giustizia, almeno stando al concetto generale di ‘giustizia’, ossia punizione corretta ed adeguata alle colpe provate, documentate, accertate, processate.

A guerra finita, la Corte Straordinaria d’Assise di Udine nel settembre del 1946 (vedasi Fondo CAS Udine, procedimento n. 76/46 del reg. gen.) giudicò alcuni dei fascisti della “Banda Ruggiero”. Ma non fu come si potrebbe pensare: “le varie sedute d’udienza si svolsero in un clima molto teso, dato che ad innervosire il pubblico accorso in aula contribuì il comportamento degli imputati, i quali intonarono canti fascisti e si esibirono facendo il saluto romano. Per tali ragioni il giudice fu più volte costretto ad allontanare il pubblico e a continuare l’udienza a porte chiuse”.

Ernesto Ruggiero, Remigio Rebez e Giacomo Rotigni (questo giudicato in contumacia) inizialmente vennero ugualmente condannati alla pena capitale. Ma la sentenza – chissà come mai - non venne eseguita e un anno dopo, nel 1947, commutata in ergastolo e già grazie al decreto di indulto del 9.2.1948 ridotta prima a 20 anni. Poi un anno dopo in virtù di un altro indulto (quello del del 23.12.1949) ridimensionata a 19 anni ma il 12 febbraio del 1954 la Corte d’Assise di Venezia applicò l’amnistia del 19.12.1953 riducendo ulteriormente la pena a soli 5 anni.

Ancora meno per i ‘colpevoli minori’ della banda: Alessandro Munaretto, condannato in primo grado a 20 anni di reclusione, per effetto degli stessi indulti nel 1951 era già in libertà vigilata. Lo stesso per Giovanni Bianco, Quinto Cragno, Giovanni Turrin. I grandi assassini, i grandi fascisti criminali e torturatori, il terrore della Bassa Friulana tornarono presto liberi. E’ questa l’Italia del post fascismo: poco post e molto fascista. E il silenzio che regna attorno tuttora è una grave, gravissima colpa, per noi italiani e per i nostri figli.

Ogni tanto c’è però qualche rigurgito di dignità. C'è ancora vita sul pianeta Italia. Oggi la Caserma “Piave” di Palmanova - dove adesso sono ancora visibili quattro delle celle dove venivano eseguite torture e interrogatori - per iniziativa del Comune, della Provincia di Udine e della Regione Friuli-Venezia Giulia è diventata 'Museo Regionale della Resistenza'.

Quando qualche politico oggi vi ricorda che il fascismo non è stato un crimine e i fascisti non sono stati dei criminali (sebbene 1.283 siano stati giudicati nel 1948 dalla War Crimes Commission criminali di guerra) e andrebbero parificati agli antifascisti e quindi ‘purificati’, chiedete loro per chi combattevano personaggi come Ernesto Ruggiero e soprattutto per quale Italia. Se poi qualcuno insiste nel definire Mussolini uno statista invitatelo a visitare questi luoghi e a studiare la Storia del nostro Paese, perché – come diceva Milan Kundera - ‘ognuno è colpevole della propria ignoranza”.

7 maggio 2024 – 79 anni dopo – Rinaldo Battaglia

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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