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Numeri identificativi per la polizia richiesti da sentenza CEDU
di Federica Borlizzi *
È una “storia vecchia”.
Le violenze di polizia durante le manifestazioni di piazza.
L’abuso che si fa violenza cieca e sadica.
Violenza ancor più brutale quando si accompagna ad una sorta di impunità propugnata da chi al Governo addirittura vuol togliere il, già nato zoppo, reato di tortura.
Come scritto da Michele di Giorgio: “al termine del secondo conflitto mondiale certe pratiche poliziesche non scomparvero e furono portate in dote, come prassi consolidate, da molti di quegli uomini che transitarono dalle polizie fasciste a quelle della Repubblica senza subire alcuna epurazione”.
Transitarono quegli uomini e anche quelle norme fasciste.
Si pensi, al Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (TULPS) del 1931 che ancora è vivo e lotta contro di noi. Nel TULPS si trovano, ancora oggi, le disposizioni sul preavviso delle manifestazioni di piazza; sull’utilizzo della “forza” da parte della polizia; sul potere discrezionale in materia di ordine pubblico da parte di Questori e Prefetti. Una normativa fascista, che è stata lasciata quasi del tutto intatta dalla nostra Corte Costituzionale e che molto fomenta quella arbitrarietà che è foriera di abusi e violenze.
Una normativa, dunque, che favorisce gli abusi per la presenza di norme fasciste e per l’assenza di altre norme, tra tutte una disciplina sui Numeri Identificati delle Forze dell’Ordine. Richiesta da anni e da sempre negata.
E a ciò dobbiamo ovviamente aggiungere il, mai sradicato, “Spirito di Corpo”.
Quello “Spirito” riconosciuto e censurato dalla stessa Sentenza della Corte Edu sui fatti di Genova 2001, dove si affermò come all’impunità delle forze dell’ordine contribuì la stessa polizia che si è “potuta rifiutare impunemente di fornire alle autorità competenti la collaborazione necessaria all'identificazione degli agenti che potevano essere coinvolti negli atti di tortura” (par. 216).
Sentenza che, già 10 anni fa, richiedeva anche la necessità di introdurre i numeri identificativi:
“quando le autorità nazionali competenti schierano i poliziotti con il viso coperto per mantenere l'ordine pubblico, questi agenti sono tenuti a portare un segno distintivo – ad esempio un numero di matricola – che, pur preservando il loro anonimato, permetta di identificarli in vista della loro audizione qualora il compimento dell'operazione venga successivamente contestato” (par. 217).
A Pisa si è, ancora una volta, superato il limite.
Lo si è fatto contro studenti e studentesse, di cui molti minori, che sono scesi in piazza semplicemente per richiedere il “cessate il fuoco”.
Ma il limite si è oltrepassato spesso, potremmo dire quasi sempre.
Se provassimo a ricordarci tutte le manifestazioni in cui vi è stata una reazione gratuita e spropositata delle forze dell’ordine, perderemmo il conto.
Forse il problema è che un vero limite alla violenza di polizia nelle piazze non c’è mai stato.
Con il clima che tira oggi, magari, tutt3 ne percepiamo un po’ di più il pericolo.
Allora, che sia l’occasione buona per tentare di porre fine a queste violenze.
La soluzione ce l’ha indicata Pisa.
Se colpiscono 200 student3, facciamoci ritrovare in 5.000 in piazza.
* Giurista
Dossier diritti
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