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Pontificare sul fine vita degli altri
di
Elisa Fontana
Mi sono presa qualche giorno per commentare a freddo il voto che, in regione Veneto, non ha permesso non già una legge sul fine vita, ma una regolamentazione dei tempi certa e rapida per averne l'accesso. Le regole le ha già stabilite la Corte Costituzionale, visto e considerato il totale, continuo, sconsiderato e arrogante disinteresse della politica per il tema.
E vorrei tornare soprattutto sul voto della consigliera PD Bigon che con la sua astensione è stata fondamentale per il rigetto della legge. Bigon ha invocato la libertà di coscienza che viene garantita dallo Statuto del PD, ha rilasciato una intervista in cui ha parlato delle difficoltà politiche di Zaia, che avrebbe dovuto presentare una delibera di giunta e non una legge regionale, della necessità che non debba essere una regione a legiferare su una materia così delicata e via discutendo di pura politica e della relativa strategia.
Ecco, fatto salvo il pieno diritto per chiunque di poter esprimere la propria libertà di coscienza, vorrei porre alcune domande a questi campioni di altissima e integerrima filosofia etica.
Dico subito e preventivamente che non sono osservatrice neutra sull'argomento. Anche io, come i due malati veneti che hanno chiesto l'accesso al fine vita, ho la sclerosi multipla che al momento mi permette una vita abbastanza decente (volendo sempre vedere il bicchiere mezzo pieno e non guardare a tutto ciò che ho perduto) ma che, per definizione, è una malattia degenerativa che in pochissimo potrebbe ridurmi ad un vegetale. Esattamente come lo sono già i tanti che chiedono di poter essere liberati da una non vita.
Non sono, dunque, una osservatrice neutra, ma non ho aspettato di trovarmi nella situazione per cercare di capire e ho sempre pensato le cose che seguono.
La consigliera Bigon e tutti quelli che si trincerano dietro la libertà di coscienza, hanno una benchè minima idea di cosa significa essere ostaggio di una malattia gravissima? Essere puliti, lavati, aiutati a mangiare (se ancora in grado di deglutire), girati nel letto per prevenite le piaghe da qualcuno che si sobbarca questo compito?
Altrimenti lascio alla fervida fantasia di Bigon immaginare quale possa essere la fine di una persona in queste condizioni. E non sono condizioni ipotetiche, sono carne, sangue e merda di tante persone alle quali non si lascia la dignità ultima di decidere della propria fine, avendo perso tutte le altre dignità proprie di un essere umano.
E vorrei anche che la si finisse con la retorica della vita dono di Dio. Ma se è un dono potrò o no decidere io cosa farne? O Bigon quando fa un dono si riserva la facoltà di stabilire lei dove metterlo, cosa farne e quando buttarlo? Sono atea e lo dico con il massimo rispetto per chi crede, non voglio irridere nessuno, però vorrei che anche i credenti la smettessero di pensarsi detentori della verità al punto tale da incidere sulle non vite altrui. O la libertà di coscienza è solo a senso unico e il concetto di laicità dello Stato è un ammennicolo senza importanza?
Questi discorsi sulla libertà di coscienza li ho sentiti ogni volta che si è dovuto decidere sulle libertà civili dei cittadini, dal divorzio all'aborto, con toni da fine anno Mille. E tutte le volte, puntualmente, si ripetono, con un copione veramente frusto.
E, infine, nella sua intervista Bigon ha parlato di tutto tranne che delle condizioni di vita di chi si trova intrappolato dentro il proprio corpo. Non un pensiero, non una parola, non una frase. Niente, il nulla, solo politichese.
Cosa che ancor di più mi ha indotta a chiedermi: ma di quale coscienza si parla, quale libertà si rivendica? Quella di girarsi dall'altra parte e far finta che il problema non esista? Tenetevi stretta la vostra libertà di coscienza, ma sperate sempre di non dovervi mai guardare allo specchio.
Per dirla con Gogol “Non è colpa dello specchio, signori, se le vostre facce sono storte”.
 
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