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21 dicembre 2023
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Il fratello del duce
di Rinaldo Battaglia *

Nel 1933 Amerigo Dumini scrisse un documento (sarà pubblicato anche su Il Ponte, anno XLII, n.2, marzo-aprile 1986, pp. 76-93.) in cui espressamente indicò “il coinvolgimento diretto di Arnaldo Mussolini” nell’affaire Sinclair. Se ne era già occupata a guerra finita la magistratura, ma la Corte di Assise di Roma il 4 aprile 1947 si fermò nel delitto Matteotti solo all’aspetto ‘politico’. Ma, in seguito, ulteriori ricerche condotte anche da un altro affermato storico, come Mauro Canali nel 1997 ( da “Il delitto Matteotti. Affarismo e politica nel primo governo Mussolini, Bologna, Il Mulino), arrivarono alla conclusione che “Benito Mussolini avesse dato l'ordine di assassinare Matteotti ai suoi sicari proprio per impedirgli di denunciare le tangenti davanti alla Camera”.

Anche Matteo Matteotti, il figlio di Giacomo, ha più volte dichiarato di esser sempre stato convinto che l’assassinio del padre fosse dovuto a quanto avesse provato di irregolarità 'nell’affaire Sinclair', ma andò anche oltre: non solo tirando dentro la famiglia Mussolini, ma anche direttamente il Re Vittorio Emanuele III. E forse fu questa scoperta la ‘causa decisiva’ della morte del grande oppositore del fascismo, l’ultimo ostacolo verso la dittatura completa e totale.

E se nel delitto Matteotti le vere cause non sono mai state definite, restano più facili da capire invece altri scandali ‘finanziari’ all’interno del mondo fascista milanese. Più volte Roberto Farinacci – ad esempio - contestò al Duce una gestione finanziaria allegra nel comune di Milano da parte del podestà Ernesto Belloni (1926-1928), ‘lunga manus’ del potere in città di Arnaldo Mussolini.

Farinacci accusò che il Comune in quegli anni avesse creato un buco di oltre 700 milioni, mentre il patrimonio personale del podestà parallelamente era aumentato a dismisura. Belloni era entrato con quote societarie in oltre 20 aziende di interesse strategico e ovviamente acquisendo subito un relativo posto nei consigli di amministrazione. Poi – oggi lo chiameremmo ‘illegale conflitto di interessi’ – quelle società avrebbero sistematicamente ottenuto contratti ‘molto generosi’ dal Comune di Milano. Gli storici Mauro Canali e Clemente Volpini ne parlano in maniera esaustiva e documentata in ‘Mussolini e i ladri di regime (Mondadori – 2019).

E appunto perchè era una bega all’ultimo sangue tra Il Duce e il ras Farinacci - che non voleva restare ai margini del regime dopo il suo ‘lavoro’ iniziale – documenti e prove non mancano. Nel 1928 sempre il Comune di Milano, controllato dal duo Ernesto Belloni (parte ufficiale) e Arnaldo Mussolini (parte nascosta per conto anche del fratello ovviamente) acquisì, per coprire il buco di bilancio, un finanziamento di 600 milioni di lire – una montagna di soldi – dalla banca Dillon, Read & Co. Uomini del fascio (come Mario Giampaoli) sostennero che Belloni avesse intascato una maxitangente, per preferire questa banca rispetto ad un’offerta più vantaggiosa nei costi da parte della J.P.Morgan & Co. In poco tempo dal Duce arrivò la cacciata dal partito di Giampaoli e la sostituzione di Belloni (con la scusa che venne candidato ed eletto deputato), per tener buono Farinacci e calmarlo con le buone.

Ma questo non avvenne, anzi uomini di Farinacci (istruiti dal ‘ras’) continuarono ad insistere che Belloni e Arnaldo Mussolini (non si spinsero mai oltre al fratello) avrebbero diviso tra loro quella tangente e la quantificarono in ben 5 milioni di lire. Lasciando qualcosa peraltro anche al Giampaoli (e così anche questo sarebbe stato ‘ripagato’ per il suo ‘passaggio’ dal ‘gruppo Farinacci’ al gruppo più forte dei ‘Mussolini’).

Interverrà ancora il Duce con alcune promozioni e cacciate dal partito e soprattutto col rientro di Roberto Farinacci nel suo ‘cerchio magico’. Farinacci sarà in breve assolto da tutti i mille processi che aveva contro per l’Italia, sarà poi confermato alla Camera dei Deputati - prima a totale rischio - e riammesso nel Gran Consiglio del Fascismo. Anzi sarà Farinacci a gestire molti affari di ‘de-patrimonializzazione’ (ossia furto) di importanti famiglie ebraiche dal 1938. Essere assieme e non contro il Duce, serviva. Eccome. E della maxitangente dei 5 milioni non se ne parlò più. Figuriamoci.

Poi in quel 21 dicembre 1931 Arnaldo morì e nessuno osò più ‘dubitare’ di certe strane anomalie del fratello, ad uso personale e tanto meno ad uso ‘familiare’.

In Italia, anni dopo, del fratello del Duce si perse la totale conoscenza, almeno a livello nazionale. Il nome ritornò a galla solamente nell’agosto 2021 quando – presente Matteo Salvini - l’allora del sottosegretario all'Economia, il leghista Claudio Durigon (e oggi sottosegretario al ministero del Lavoro), propose di re-intitolare, nella sua Latina, il nome del prestigioso parco cittadino da “Falcone e Borsellino” proprio ad Arnaldo Mussolini. Nacquero accuse e perplessità che comportarono alle dimissioni del sottosegretario, che l’anno dopo venne comunque rieletto e rinominato sottosegretario nel governo Meloni.

Per ora anche a Latina quel parco resta dedicato ancora ai due magistrati – limpidi ed onesti - di cui per l’eterno in Italia saremo debitori, e non a quell’uomo del regime, del quale non si può dire altrettanto. Ma durerà? Siamo pur sempre nell’Italia post-fascista, poco post e molto fascista.

Ma del resto lo aveva detto anche un ex-senatore in occasione dell’ultima ricorrenza della Liberazione (sen. Domenico Gramazio di FdI come da articolo su Repubblica): “Il 25 aprile? Diciamolo, è un po’ una rottura di scatole. Noi festeggiamo la liberazione dal nazismo, eh. Mica dal fascismo.”

Italia 2023 o 1923?

E per la serie “Il tempo che torna indietro” è tutto, chiudo il collegamento e vi cedo la linea.

21 dicembre 2023 - 92 anni dopo – Rinaldo Battaglia

* Coordinatore Commissione Storia e memoria dell'Osservatorio


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