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20 novembre 2023
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Da Oslo alla fine del colonialismo di insediamento israeliano
di J. Masaad, trad. Redazione

La visione del conflitto israelo-palestinese e quindi dei più recenti avvenimenti - come d'altra parte come quelle sull'Africa - è quasi sempre condizionata dallo sguardo occidentale, con i propri bias cognitivi e le conseguenti letture approssimative o errate che ne conseguono. Diamo pertanto spazio al pensiero del prof. Joseph Massad, palestinese-americano cristiano, professore di politica araba moderna e storia intellettuale alla prestigiosa Columbia University di New York. Egli, in un articolo dal titolo "Da Oslo alla fine del colonialismo di insediamento israeliano", presenta una serie di informazioni per molti inedite e illustra una diversa prospettiva storico-culturale. Questo mese cade il 30° anniversario della resa dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) a Israele coi cosiddetti Accordi di Oslo.

Nel settembre 1993, il popolo palestinese era pieno di speranza a causa del successo della sua ferma resistenza all'occupazione coloniale israeliana, contro la quale aveva condotto una rivolta che continuava dal dicembre 1987, conosciuta in tutto il mondo come l'Intifada.

L'OLP con sede a Tunisi, tuttavia, era senza speranza. Avendo perso il sostegno diplomatico del blocco socialista dopo la caduta dell'URSS e il sostegno finanziario delle autocrazie arabe del Golfo dopo la guerra del Golfo del 1990-91, l'OLP disperata aveva un'ultima carta da giocare: la collaborazione con Israele, con i regimi arabi amici di Israele e con l'imperialismo mondiale che sostiene Isrsele per sopprimere l'intifada.

La continua lotta palestinese per sconfiggere il progetto coloniale sionista di insediamento è una guerra continua tra palestinesi speranzosi e palestinesi disperati. È l'equilibrio di potere tra questi due gruppi palestinesi che ha caratterizzato a lungo i flussi e riflussi della resistenza palestinese sin dal suo inizio nei primi anni 1880, quando incontrò i primi coloni ebrei europei.

Gli speranzosi palestinesi furono sempre in prima linea nella resistenza, che divenne più organizzata nel 1920. Ma i palestinesi senza speranza che collaborarono con gli inglesi, e i più disperati ancora che collaborarono con i sionisti, erano anche potenti e ben organizzati.

Negli anni '30, gli speranzosi palestinesi organizzarono la più grande resistenza che si manifestò nella Grande Rivolta Palestinese del 1936-1939. Anche allora, i palestinesi senza speranza, che erano aiutati dagli inglesi e dai sionisti, formarono bande controrivoluzionarie chiamate "bande della pace" per uccidere i membri della resistenza palestinesi speranzosa.

Spengere la speranza

Fin dall'inizio, il movimento sionista ha puntato sull'acquiescenza non solo delle élite terriere della Palestina, ma anche dei contadini e degli intellettuali, nei suoi piani di espropriare il popolo palestinese e rubare la sua patria a beneficio dei coloni ebrei che li avrebbero sostituiti.

Vladimir Jabotinsky, il leader sionista che in seguito fondò il sionismo revisionista di destra, comprese già nel 1923 che l'acquiescenza palestinese poteva essere raggiunta solo quando i sionisti erano in grado di estinguere nei cuori dei palestinesi ogni speranza che potessero mai montare una lotta anticoloniale di successo e sconfiggere i coloni. "Ogni popolo indigeno resisterà ai coloni stranieri finché vedrà qualche speranza di liberarsi dal pericolo di un insediamento straniero", ha scritto.

Infatti, poiché i palestinesi stavano già resistendo alla colonizzazione ebraica, "persisteranno nel farlo finché rimarrà una scintilla solitaria di speranza che saranno in grado di impedire la trasformazione della "Palestina" nella "Terra di Israele".

La comprensione di Jabotinsky della strategia a lungo termine del sionismo è molto rivelatrice: "Tutto ciò non significa che qualsiasi tipo di accordo [con i palestinesi] sia impossibile, solo un accordo volontario è impossibile". Questo perché: "Finché c'è una scintilla di speranza che possono sbarazzarsi di noi, non venderanno queste speranze". Ed ha aggiunto: "Un popolo vivo fa concessioni così enormi su questioni così fatidiche solo quando non c'è più speranza".

Il compito primario del sionismo era quindi quello di spegnere costantemente la speranza nei cuori dei palestinesi – e anche di altri arabi – di poter sconfiggere il progetto coloniale del sionismo. Per quanto abbia provato fin dal suo inizio, il sionismo non è mai riuscito a spegnere la speranza palestinese di liberazione.

Il progetto sionista, che includeva la condizione che "se è impossibile ottenere un sostegno al sionismo da parte degli arabi palestinesi, allora deve essere ottenuto dagli arabi di Siria, Iraq, Arabia Saudita e forse dell'Egitto", non convinceva Jabotinsky, che commentò: "Anche se questo fosse possibile, non cambierebbe la situazione di base. Non cambierebbe l'atteggiamento degli arabi nella Terra di Israele nei nostri confronti", il che significa che i palestinesi rimarrebbero fiduciosi di sconfiggere il sionismo, indipendentemente dal fatto che egiziani, sauditi, iracheni o siriani abbiano fatto pace con Israele".

Jabotinsky aveva chiarito che "un accordo con gli arabi al di fuori della Terra di Israele è anche un'illusione". Per spegnere la speranza dei paesi arabi di sconfiggere il sionismo, "dovremmo offrire loro qualcosa di altrettanto prezioso. Possiamo offrire solo due cose: o denaro o assistenza politica o entrambi".

E' qui che l'astuto Jabotinsky ha sbagliato i calcoli: "non possiamo offrire né l'uno né l'altro", poiché il denaro era appena sufficiente per il progetto sionista stesso. E ha aggiunto: "Dieci volte più illusoria è l'assistenza politica per le aspirazioni politiche arabe".

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