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Scuola burocratica e non scuola che educa
di
Marco Grosso
La "minaccia soffocante" del registro elettronico riguarda ormai tutti i soggetti coinvolti nel sistema scolastico, anzi i soggetti più esposti di tutti a questo martellamento di messaggi e notifiche (da piattaforme, gruppi WhatsApp, email), a qualsiasi ora del giorno e della settimana (domeniche incluse) sono proprio i docenti.
Dietro la retorica della "trasparenza totale" e della iper-digitalizzazione si annidano due rischi enormi i cui effetti sono sempre più visibili (tranne per chi non vuole vederli): la vita quotidiana dei docenti, delle famiglie e degli alunni stessi è assoggettata, in ogni momento della giornata, al dominio del registro elettronico, delle piattaforme digitali, delle classi virtuali, di WhatsApp.
Ma il discorso a mio parere è ben più ampio e sostanziale: stiamo costruendo un sistema scolastico apparentemente "efficiente", "modernizzato", "adeguato agl standard europei", "aperto al mondo del lavoro" (Pcto, invalsi, et) ma nei fatti sempre più burocratizzato, sempre più alienato dalla (vera) realtà storico-sociale, sempre più schiacciato sul modello delle scuole parificate, sulle richieste di Confindustria, su parametri aziendalistici e neoliberisti, sui canoni di certo neo-pedagogismo ideologico di matrice anglosassone.
Un sistema in cui tutto deve essere in tempo reale e costantemente rendicontato e rendicontabile, comunicato e comunicabile, controllato e controllabile, mentre di fatto tutto è sempre più decentrato dalle ragioni fondanti dell'istruzione pubblica. Un sistema che non punta sulla valorizzazione professionale degli insegnanti ma sul loro progressivo depauperamento, esautoramento ed esaurimento (nervoso).
Un sistema che sembra aver smarrito le basilari ed essenziali funzioni formative della scuola pubblica:
insegnare a scrivere (con competenze lessicali, sintattiche, logico-argomentative) e a leggere (ad amare la lettura di libri che non siano solo i manuali scolastici, a decodificare e comprendere un testo minimamente articolato);
suscitare nei ragazzi la passione per la conoscenza e per la crescita culturale personale;
educare al paradigma della complessità e al pensiero critico-divergente (anche rispetto alle logiche del doppio totalitarismo telematico e neoliberista) come sola possibile condizione della libertà di pensiero;
recuperare i fondamentali della formazione educativa (nel senso antico ed etimologico dell'"e-ducere") liberandola da certa sterile retorica "pedagogistica" e "didatticistica";
stimolare le nuove generazioni ad acquisire una coscienza civile e politica (nel senso alto di appartenenza alla "polis") e a maturare la consapevolezza della propria responsabilità individuale e sociale (oltre le pieghe nozionistiche dell'educazione civica).
Questi temi dovrebbero essere al centro del dibattito e dell'attenzione di tutti, sia dentro il mondo della scuola che nel cuore della società perché in gioco c'è il destino stesso del mondo che stiamo costruendo (o distruggendo?).
Ma pare che a porre questi problemi di fondo sia una minoranza sempre più silenziosa e sempre meno rappresentata (anche a livello sindacale).
Ecco, sogno una scuola pubblica ricentrata sulle sue ragioni fondanti e non sulla rendicontazione compulsiva e sulla notifica invasiva.
 
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