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18 novembre 2023
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Genocidio a Gaza: "sinistri" distinguo
di Sergio Scorza

Alla filosofa "di sinistra" nonché garbata docente universitaria, la quale, ieri l'altro, nel corso di un talk, ha affermato che non si può usare la parola "genocidio" riferendosi alla gigantesca carneficina di inermi civili in corso di svolgimento a Gaza, pena "svuotare la parola stessa di significato", faccio semplicemente presente che, alla data del 15 novembre, 11.500 palestinesi sono stati uccisi nei bombardamenti israeliani dall'inizio del "conflitto". Tra i decessi registrati finora ci sono 4.710 bambini e 3.160 donne.

Inoltre, 29.800 persone sono rimaste ferite mentre centinaia di corpi sono disseminati per le strade del nord della Striscia di Gaza ma è impossibile contarli perché l'esercito israeliano prende di mira le ambulanze e gli operatori sanitari che cercano di avvicinarsi.

Tutti gli ospedali sono stati bombardati dai caccia israeliani e resi, pertanto, non più operativi ed in grado di fornire cure. Le incubatrici non funzionano più e i bimbi prematuri muoiono così come stanno morendo tutti i pazienti tra i quali sono moltissimi quelli con ferite gravi causate proprio dai continui bombardamenti delle forze di occupazione israeliana. Anche le celle frigorifere degli obitori non sono più funzionanti ed i cadaveri vengono ammassati dal personale sanitario (sopravvissuto) in fosse comuni negli spazi prospicienti gli ospedali.

Tutto ciò è documentato da fonti verificate e da organismi internazionali che operano a Gaza oltre che da una infinita serie di immagini e filmati che è impossibile bollare come false/i e che provengono, ormai soltanto dai palestinesi stessi mediante l'uso dei propri cellulari (quelli non ancora scarichi) visto che i pochi giornalisti rimasti o sono stati uccisi dai cecchini israeliani (hanno sparato anche contro i pazienti dell'ospedale di Al Shifa) oppure sono stati cacciati o messi in fuga dai militari israeliani.

Secondo la "Convenzione sulla prevenzione e repressione dei crimini di genocidio" approvata nel 1948 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite (è il documento giuridico a cui si deve fare riferimento per la definizione del fenomeno), è considerato un «crimine contro l’umanità»:

a) uccidere membri di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso;

b) causare gravi lesioni fisiche o mentali ai membri del gruppo;

c) infliggere al gruppo condizioni di vita volte a provocare la sua distruzione fisica, in tutto o in parte;

d) imporre misure volte a prevenire le nascite all’interno del gruppo;

e) trasferire in modo forzato i bambini di un gruppo in un altro gruppo.

In un’accezione più generale s’intende con "genocidio" lo sterminio intenzionale e pianificato di gruppi o di membri di un gruppo in virtù della loro appartenenza etnica o della loro religione. Oggetto di genocidio è pertanto un gruppo etnico, sociale o religioso che, pur essendo minoranza indifesa, è percepito dai persecutori come una minaccia, dunque come un nemico.

Rispetto alle decimazioni e alle stragi compiute da eserciti nel corso di un conflitto – atti che, soprattutto nel quadro delle cosiddette guerre totali, colpiscono i civili nemici per indebolire la forza di resistenza dell’avversario – nel caso del genocidio si tratta di atti di sterminio nei confronti di gruppi che vengono considerati "nemici interni", dunque "più subdoli e insidiosi".

La definizione che ne dà la Convenzione dell'ONU appare chiara, inequivocabile, senza fronzoli o giri di parole, insomma, cristallina.

Eh, ma poi ti saltano fuori questi tanto snob e tanto intellettuali "compagni" che agitano compulsivamente il "pericolo di un antisemitismo dilagante" che sta solo nella loro testa ed in quella di qualche fanatico islamofobo, oltre che sui titoloni di molte importanti testate giornalistiche ignominiosamente appiattite sulla versione dei carnefici. Ma nel mentre non vedono, non sentono e non hanno da spendere nemmeno una parola contro gli orrori ed i crimini di guerra israeliani ai danni di un popolo intero che era già stato privato di tutto, ora anche della vita stessa: quello palestinese.


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