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Palestina: alle radici di un conflitto
di
Piero Graglia *
"Con la fine del primo conflitto mondiale molti nodi vennero al pettine nella politica europea. Tutto il Medio Oriente venne ridisegnato, con la scomparsa dell’Impero ottomano e l’assegnazione alla Gran Bretagna del mandato sulla Palestina, nonché del controllo, condiviso con la Francia, di tutta la regione oggi occupata dal Libano, dalla Siria e dall’Iraq.
Per quanto riguardava la Palestina, l’emigrazione ebraica era rimasta contenuta negli anni precedenti anche se si erano già verificati alcuni disordini nei confronti della presenza ebraica sin dal 1898.
Non si trattava di una protesta strutturata; essa si limitava alle élite arabe cittadine, con poco riscontro sul resto della popolazione. Tuttavia, il problema era chiaramente percepito: non si trattava ancora di una questione demografica bensì di un tema politico.
L’immigrazione ebraica aveva chiaramente intenzioni espansive che si ponevano in contrasto con le aspirazioni del nazionalismo arabo-palestinese, contrasto che si espresse con le rivolte e i disordini del 1920-21, quando ancora la Palestina non era ufficialmente un mandato britannico, ma solo una promessa di mandato.
Non si era di fronte a espressioni esplicitamente incentrate sulla immigrazione ebraica – o meglio, quella non era l’unico motivo delle proteste arabe – bensì si trattava di manifestazioni di scontento originate dalla delusione di vedere vanificate le promesse fatte dalla Gran Bretagna durante il conflitto circa la creazione di uno stato arabo di Palestina.
In questo clima di scontro, mentre continuavano le acquisizioni ebraiche di terre in vendita e il flusso migratorio restava un’ipotesi minacciosa per l’elemento arabo – e peraltro si politicizzava ancora di più con il sionismo – che ne era stato del «focolare nazionale ebraico» promesso con la dichiarazione Balfour dell’ottobre 1917?
Verrebbe da dire ben poco: nel 1922 il ministro delle Colonie britannico, Winston Churchill, aveva fortemente ridimensionato le aspettative ebraiche in un suo memorandum, definendo la Palestina niente più che «un centro verso il quale il popolo ebraico nella sua interezza, sulla base della religione e della razza, possa provare interesse e orgoglio» , proprio per evitare che l’insofferenza palestinese verso la presenza ebraica raggiungesse livelli difficilmente controllabili.
Del resto, le dimensioni dell’immigrazione ebraica durante gli anni ’20 non erano ancora tali da giustificare pretese territoriali consistenti: le statistiche sono abbastanza precise e sono documentate in una quantità di studi che, terminato il periodo ottomano, possono fondarsi su numeri attendibili.
Al tempo della dichiarazione Balfour gli Ebrei in Palestina erano circa 56mila, su una popolazione complessiva di 600mila; nel 1922 gli Ebrei erano saliti a circa 84mila su una popolazione di 752mila abitanti; nel 1929 erano 157mila su 993mila abitanti complessivi. Una minoranza sempre intorno al 10-15 per cento rispetto alla popolazione nativa; tuttavia, sicuramente una minoranza molto ben organizzata.
Accanto all’Organizzazione sionista mondiale – dominata dalla abile figura politica e diplomatica di Chaim Weizmann – i britannici permisero agli Ebrei di costituire l’Agenzia ebraica per la Palestina (1929), evoluzione del Palestine Office (Palaestinaamt in yiddish, creato nel 1908 dall’Organizzazione sionista mondiale) che di fatto rappresentò il punto di riferimento della minoranza ebrea in Palestina.
L’Agenzia regolava e controllava le acquisizioni di terra, gestiva i permessi di immigrazione durante il mandato britannico, funzionava di fatto come un organo di autogoverno per gli Ebrei in Palestina.
Accanto all’Agenzia si poneva poi il preesistente Jewish National Fund, fondato nel 1901 con l’espresso incarico di reperire fondi presso le comunità ebraiche europee per gli acquisti di terra in Palestina.
Il sionismo, se al momento della sua comparsa era un orientamento politico minoritario tra gli Ebrei europei, era rapidamente assurto, durante gli anni a cavallo della Prima guerra mondiale, a forza propulsiva determinante per impostare la prospettiva di una "patria ebraica".
(Estratto dal paragrafo "Aspettative diverse?" del primo capitolo del mio "Il confine innaturale. La barriera tra Israele e Palestina. Origini e motivi di un muro", People Edizioni, 2021, pp. 32-34") - continua domani
* Docente Ordinario di Storia delle Relazioni Internazionali
 
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