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25 ottobre 2023
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USA: maccartismo di ritorno in salsa ebraica negli atenei
di Renato de Vecchis

Si è determinata una situazione imbarazzante per l'establishment statunitense, consistente nel fatto che ben 33 organizzazioni studentesche del prestigioso ateneo di Harvard, vicino Boston, hanno sostenuto posizioni di appoggio morale alla causa palestinese.

Questo è avvenuto tramite la presentazione di un documento congiunto che denuncia la condizione di apartheid vigente a Gaza ai danni della locale popolazione arabo-palestinese. Essa è confinata in una sorta di prigione a cielo aperto, la striscia di Gaza, priva delle necessarie iniziative imprenditoriali ed economiche per il fatto che i residenti locali possono soltanto essere adibiti ad attività lavorative nel territorio di Israele.

In effetti le attività produttive e commerciali non decollano, così che due milioni e mezzo circa di palestinesi stanziati a Gaza vivono degli aiuti umanitari forniti dall'ONU e dalla UE.

Questa dichiarazione di solidarietà al popolo palestinese, in forma di lettera aperta pubblicata sui social, è arrivata in fase immediatamente successiva alla notizia dell'assalto proditorio e sanguinario di Hamas agli insediamenti ebraici posti nelle immediate adiacenze della Striscia.

La dichiarazione di sostegno ai palestinesi è stata postata prima ancora che potesse essere diramato in Israele un bollettino con la stima dei cittadini civili uccisi, feriti o sequestrati in conseguenza dell'atto bellico senza precedenti di Hamas sul suolo israeliano del 7 ottobre scorso.

Gli studenti affermano tra l'altro che le atrocità belliche che i palestinesi si portano sulla coscienza dovrebbero essere in ogni caso contestualizzate entro la cornice della drammatica situazione umanitaria che si sta consumando entro la Striscia da 15 anni a questa parte.

La lettera aperta non includeva i nomi dei sottoscrittori. E' stata pertanto attuata una procedura di doxxing inerente l'identità degli studenti afferenti a ciascuno dei gruppi studenteschi (ad es. Amnesty International ad Harvard) e così i Servizi di Informazione statunitensi sono risaliti ai nomi e cognomi degli aderenti alla petizione e alle loro informazioni personali.

A questo punto alcuni magnati dell'imprenditoria hanno chiesto di acquisire i nominativi con l'intento dichiarato di escludere in futuro dall'assunzione in qualsiasi ruolo presso le loro aziende gli universitari che avessero patrocinato la causa di Hamas o tentato di giustificare, anche solo parzialmente, i suoi efferati delitti.

Successivamente è stata apprestata una rappresaglia dimostrativa a carico degli studenti aderenti alle associazioni filopalestinesi. La "punizione" è consistita nella esibizione di un enorme cartellone pubblicitario digitale nello spiazzo antistante l'ingresso principale dell'Ateneo, recante foto e nomi degli studenti aderenti alla petizione di sostegno ai palestinesi, sormontato dalla scritta colpevolizzante: "I principali antisemiti di Harvard".

Alcuni gruppi di ex alunni influenti e grandi finanziatori ("donatori") hanno minacciato di tagliare i loro contributi alle attività universitarie. Parimenti sono stati registrati interventi censori molto pesanti da parte di ex alunni o di industriali che hanno richiesto le dimissioni della preside, rimproverata di essere troppo accondiscendente e arrendevole con i "fiancheggiatori dei terroristi".

Infine i nominativi dei reprobi sono stati additati al pubblico ludibrio su un sito web dal titolo "Elenco dei terroristi universitari, guida utile per i datori di lavoro" di Maxwell Meyer, laureato di Stanford del 2022.

Comunque si voglia inquadrare il fenomeno delle liste di proscrizione sillane riesumate ad Harvard e Stanford, esso testimonia l'intolleranza dell'establishment verso le opinioni dei non allineati e evidenzia un vulnus inferto alla legittima espressione delle opinioni.

I fatti di Harvard indicano inoltre il ricostituirsi di attività di schedatura sistematica dei dissidenti nel contesto della società USA, come per una riedizione del maccartismo degli anni '50, per scopi di indebita preclusione da prospettive di lavoro o di indebita discriminazione sui luoghi di lavoro.


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