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Il prefetto che non deluse il duce
di
Rinaldo Battaglia *
Il 3 ottobre 1943 un ‘ragazzo del ‘99’ reduce della Grande Guerra a Caporetto ed eroe sul Don nella campagna di Russia con tanto di medaglia d’argento al valore militare, prese possesso della prefettura di Grosseto. Il suo nome era Alceo Ercolani, fascista sin dalla prima ora nella sua Viterbo. Promosso poi personalmente dal Duce segretario provinciale del PNF in giovane età a Treviso e a seguire a Cosenza.
Grosseto dopo l’8 settembre era una piazza molto calda e necessitava per il Duce di uomini di sua totale e assoluta stima e fiducia. A breve arriverà anche il Vice Ministro della Propaganda o meglio il Capo Gabinetto del Ministro della cultura popolare di Salò (e vicesegretario del PNF): un certo Giorgio Almirante.
Ed entrambi non deluderanno il Duce.
Alceo Ercolani dopo il 3 ottobre ’43 infatti sarà un fanatico fascista, convinto repubblichino, violento, senza pudore, uomo dei rastrellamenti con la Ettore Muti, una squadra d’azione allora tra le più assassine.
Ogni strumento, ogni tradimento era utile alla sua causa.
E da buon fascista la sua parola valeva meno di zero.
Soprattutto dopo il decreto di Mussolini del 18 febbraio 1944, che prevedeva la pena di morte per i disertori e peggio i renitenti alle leva (fino a quelli nati nel 1924, poi 1925 e infine quelli fino al 30 giugno 1926 solo di appena 18 anni), rafforzò le azioni colpendo anche le famiglie di quei giovani.
Con la GNR nella zona di Monte Bottigli, sopra Grossetto verso est, il prefetto Ercolani in collaborazione con il vice-questore Liberale Scotti e il federale Silio Monti nella notte tra il 21 e il 22 marzo catturò con l’inganno alcuni giovani che vennero subito fucilati presso la scuola di Maiano Lavacchio (erano 11 ragazzi originari di Istia d’Ombrone tanto da divenire, nel detto locale, “i martiri dell’Istia”).
Aveva promesso loro la vita se si fossero arresi: lo fecero e vi trovarono la morte.
A dire il vero qualche minuto prima furono processati e qualche minuto dopo il giudice Inigo Pucini (commissario prefettizio di Grosseto e braccio destro di Ercolani) comandò il plotone di esecuzione.
Ma il massimo il prefetto Ercolani lo raggiunse contro gli ebrei di Grosseto.
Era fascista, quindi razzista.
Sapeva che a Grosseto nel censimento del 22 agosto 1938 - con cui il Duce volle quantificare il peso’ ed il ’patrimonio’ degli ebrei italiani – erano solo ‘149’.
Li voleva prendere tutti, uno ad uno. Che fossero per lo più donne, vecchi e bambini poco interessava. Erano nemici (art. 7 Carta di Verona del 17 novembre 1943 a cui i fascisti giurarono totale fedeltà): andavano eliminati.
E così neanche 10 giorni dopo, il 27 novembre, fece arrestare i primi ebrei e già il 28 rese operativo il campo di concentramento di Roccatederighi a 35 km da Grosseto, nel Comune di Roccastrada, presso la Villa del Seminario di proprietà della Curia Vescovile.
Sì, della Curia.
Data in affitto con regolare contratto firmato dal Vescovo di Grosseto, Mons. Paolo Galeazzi, per un canone mensile di 5.000 lire: un prezzo altissimo, pagato dal prefetto. Per capire il valore del ‘vil denaro’ nello stesso periodo in un altro campo (a Pisticci vicino Matera) documenti provavano che un deportato prendeva 11 lire per 12 ore di duro lavoro al giorno (per 72 ore alla settimana come nei lager nazisti).
Ovviamente il canone di affitto al vescovo veniva pagato coi fondi rubati alle vittime ebree e coi loro beni immobiliari sequestrati e confiscati (decreto del 4 gennaio 1944 e quello successivo del 28 gennaio).
Perchè, qui come altrove, tutto il patrimonio degli ebrei veniva poi, dopo il sequestro e la confisca, gestito – chissà come mai – in gran parte di persona dai prefetti del fascio e dagli altri gerarchi di Mussolini.
Ottima forma di motivazione, vero?
Non vi è un numero accertato di quanti ebrei passarono per il campo di Roccatederighi.
Si documenta che un gruppo venne consegnato ai nazisti il 17 aprile 1944 e un secondo gruppo il 9 giugno. Tutti trasferiti a Fossoli e da lì Bergen-Belsen o soprattutto Auschwitz. Tra questi ultimi almeno 68, qualcuno dice 80, di cui buona parte bambini. Un solo bambino sarà salvato alla liberazione del lager il 27 gennaio 1945. Uno solo. Uno solo a testimoniare negli anni successivi.
A guerra finita, alla resa dei conti, il grande fascista Alceo Ercolani (in un primo tempo fuggito, tanto per cambiare) verrà condannato a 30 anni ma già nel 1953, dopo soli 7 anni, uscirà tranquillo. Morirà il 31 luglio ‘68 nella sua villa di Viterbo (zona Bomarzo) dopo aver forse goduto dei beni sequestrati alle vittime ebree.
E il Vescovo? Farà addirittura causa allo Stato (al nuovo prefetto) per alcuni canoni di affitto non incassati. Il problema erano gli introiti dell’affitto mancanti, non la mancata vita dei deportati nella parte di edificio, accanto alla sua residenza. Ovviamente nessuna lamentela, rimozione o accusa da parte del Vaticano. Ma – sapete – a quel tempo Roma era molto lontana da Grosseto, e non solo geograficamente. Anche se ai denari ci tenevano. Eccome.
Un giorno il grande storico del fascismo, Angelo Del Boca, scrisse che durante il regime di Mussolini il motto insegnato alle truppe (e non solo quelle) era molto semplice:
‘ammazza e porta via tutto, perché dove prendi è ben speso’ .
Tutto si può dire del prefetto Ercolani ma di certo non che non si fosse mai bene inserito nel fascismo del Duce e nelle sue regole.
3 ottobre 2023 – 80 anni dopo - liberamente tratto da ‘La colpa di esser minoranza’ - ed. AliRibelli - 2020
* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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