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Pagine bianche e pagine nere
di
Rinaldo Battaglia *
Ho letto che, nei mesi scorsi, a Treviso in Comune un consigliere di maggioranza, tra lo stupore di molti, abbia richiesto ufficialmente di modificare il nome di una via della sua città, ora dedicata a Giacomo Matteotti.
Per due motivi:
1) perché non sa chi fosse
2) perché non era trevigiano.
A me è sempre piaciuta Treviso e umilmente mi permetto da appassionato di Storia di invitarlo ad approfondire la materia, ricordando – come dice un grande storico quale Alessandro Barbero - che “la storia è la capacità di studiare capendo le ragioni degli uni e degli altri, senza paura di dire che qualcuno ha più ragione”. E tenendo sempre presente che, almeno dagli ultimi secoli, la Storia non viene scritta dai vincitori e tanto meno dai vinti, ma dai ‘documenti’.
Sì proprio dai documenti, che andrebbero però studiati senza pregiudizi o schede di partito.
Perché nel libro della Storia tra le mille pagine bianche su ogni fronte, argomento, corpo militare o fazioni politiche esistono sempre – da sempre - anche delle pagine nere.
Ma ciò non minimizza e non può minimizzare in quantità e in qualità il valore delle pagine bianche, quelle che parlano di onore, valori, eroismi.
E parlando ora di Treviso, mi viene in mente una vicenda locale, di trevigiani al 100%, con alcuni nomi da scrivere tra le pagine nere e altri in quelle bianche. Magari a seconda del proprio ‘sentiment’, pensiero, scuola o tessera di partito.
Perché è una vicenda sporca di guerra, dove il ‘privato’ si maschera da ‘pubblico’, dove l’amicizia nata sui banchi da scuola viene usata per tradire ed uccidere, dove eterni miti – come quello degli
Alpini – qui si sporca e contrasta coi migliaia e migliaia di eroi che, con la penna lunga sul cappello, si sono sacrificati per il nostro paese. E molti di loro erano anche della marca trevigiana.
Ma anche tra gli Alpini, come tra i Carabinieri, non mancarono le pagine nere.
Questa è una di quelle.
Tutto ebbe inizio – si fa per dire – il 3 agosto 1944 dove a Susegana, alle porte di Treviso, venne ferito in un attentato partigiano (ferito leggermente, al dito di una mano) l’allora ‘uomo forte’ del comando fascista di zona, il colonnello di fanteria alpina Giorgio Millazzo (in alcuni documenti è chiamato 'Milazzo' ma anche cambiando o aggiungendo una consonante il risultato finale non cambia...) comandante del 29° CMP di Treviso (classe 1893, originario però di Nizza). Era lui il responsabile – coi nazisti – dei mille rastrellamenti, nel 1944, nella marca trevigiana per ‘sequestrare’ giovani e uomini da mandare, come schiavi nei lager nazisti, per mantenere in vita – assieme agli altri prigionieri di guerra e i nostri IMI – la ‘potente’ macchina da guerra del Terzo Reich. Non erano lager di sterminio come Auschwitz, ma qui lo sterminio arrivava anziché con le camere a gas, tramite il lavoro forzato.
Il comandante Millazzo avrà pensato di esser il Fuhrer - che scampato due settimane prima all’attentato guidato dal colonnello Von Stauffenberg – già dalla sera del 20 luglio consumò la sua feroce e assoluta vendetta.
E così anche Millazzo subito dette ordine ai ‘suoi’ di fare altrettanto, senza tanto cercare i veri colpevoli ma di avere, immediatamente, lo scalpo di alcuni da vendere ai propri fans, per manifestare a tutti la propria forza e il proprio potere.
Subito si mossero, come fanno i lupi con la bava alla bocca.
Dapprima gli Squadristi della XX Brigata Nera di Treviso e quelli del distaccamento di Conegliano; i militi del 29° CMP (Milizia fascista) di Treviso e gli alpini del CRA (Centro Raccolta Alpini) di Conegliano.
Questa volta mancarono all’appello gli altri 'squadroni', specializzati nei rastrellamenti e che prima e dopo il 4/8/44 faranno massacri e furori in zona, come la X Mas dei Junio Valerio Borghese, la M Mussolini, la Tagliamento di Merico Zuccari.
La X Mas in quei giorni era al lavoro ‘in rastrellamento’ tra i monti di Villa di Mel (nel vicino bellunese), le altre il mese dopo impegnate nell’operazione Piave che porterà anche all’impiccagione dei 31 giovani di Bassano.
Gli ordini del comandante Millazzo furono subito precisi e chiari: massima urgenza. E così per non sfigurare ognuno pensò di trovare la soluzione più idonea.
In poche ore vennero catturati 4 ragazzi, due di 22 anni, uno di 27 e il più giovane di 19, tutti trevigiani, tutti ‘partigiani’, e tutti ‘non legati’ all’attentato del giorno prima.
Nessuno di loro – fu accertato poi - aveva avuto a che fare con quella vicenda.
Ma importava?
Questi i loro nomi (è meglio saperlo se il consigliere comunale volesse utilizzare le loro identità, per dedicare - chissà - a uno di loro una nuova via in quel di Treviso):
- Leopoldo Camillo, classe 1922, di Susegana, contadino, Brigata ‘Mazzini’;
- Pino (Giuseppe) Lazzarin classe 1915, di Conegliano, impiegato, Brigata ‘Mazzini’, medaglia d’argento al Valor Militare;
- Beniamino Petrovich, classe 1922, Codognè, studente del 3° anno liceo classico, Brigata ‘Cacciatori della Pianura’;
- Ivo Pozzi, classe 1925, di Falzè di Piave, impiegato, Brigata ‘Mazzini’.
La Storia racconta che Beniamino Petrovich, alpino onorato con ‘croce di guerra’ per quanto fatto prima dell’8 settembre 1943, venne catturato, per delazione, mentre cercava di liberare un amico all’ospedale De Gironcoli, ferito in precedenza e di fatto arrestato dai fascisti.
A ‘tradirlo’ e a denunciarlo fu un altro alpino – ora nella CRA di Conegliano, ora sull’altra riva del fiume – quale Michele Zanin , di Orsago, 20 anni, suo amico e compagno d’infanzia.
Michele Zanin fece catturare anche Leopoldo Camillo, anche lui di sua conoscenza ed amicizia.
Il più giovane dei 4, Ivo Pozzi, invece venne preso nell’osteria di famiglia, a Falzè di Piave, sotto lo sguardo terrorizzato dei familiari.
Tra i ‘rastrellatori’ si distinsero per l’impegno e la violenza manifestata anche, tra gli alpini dell’Ufficio ‘I’ del CRA di Conegliano, il ten. Mariano Rossi (23 anni) di Asolo e l’alpino Angelo Tessaro (25 anni) di Onè di Fonte. Tutti trevigiani, tutti locali, tutti convinti fascisti.
Presi i 4 capri espiatori, il comandante Milazzo convocò immediatamente già il 4 agosto un Tribunale Militare Straordinario – composto dai principali avvocati e giudici della marca trevigiana, tutti ovviamente di provata fede fascista – in modo tale da giustificare, con un atto ufficiale e pubblico, quella che era una sua vendetta personale, un suo ‘gioco’ per la propria carriera.
Il ‘cosiddetto’ processo venne celebrato presso il Teatro ‘Accademia’ di Conegliano, mentre la piazza antistante il Teatro era presidiata da ingenti forze fasciste e istigata a volere ‘la sua dose di vendetta’. L’onta subìta dall’uomo del Duce doveva essere purificata.
Il procedimento fu della massima rapidità e si concluse con la ovvia condanna a morte dei quattro giovani. Come non bastasse la condanna ‘legale’, furono sottoposti poi anche alla gogna mediatica.
I 4 condannati infatti rischiarono di essere linciati dalla folla dei fascisti che li attendevano all’uscita del teatro e volevano impiccarli a tutti i costi subito lì, all’istante.
Ma la giustizia fascista è pur sempre ‘giustizia’: vennero ‘sottratti agli scalmanati’ - così si trova scritto nei documenti - caricati su un camion e portati a Susegana.
Qui, dopo nuove, lunghe e dure sevizie (questa volta da parte delle brigate nere e degli alpini di Conegliano senza tante istigazioni), vennero tutti fucilati sulla riva destra del Piave, a Ponte della Priula.
A guerra finita, sconfitto il fascismo – almeno si dice, ma talvolta anche a Treviso non sembra – e, grazie anche ai partigiani, ripristinata la democrazia e la libertà, si arrivò al processo per i fatti di Conegliano.
Ma questa volta il processo fu serio, combattuto tra le parti, con avvocati di difesa e di accusa, senza pubblico aizzato contro chi doveva essere il colpevole a priori.
La CAS di Treviso, con sentenza n. 60/46 del 29.8.1946, condannò Milazzo a 15 anni di reclusione di cui 5 subito condonati, e a 10 anni il giudice Pasquale Volzone (il Presidente del Tribunale che condannò i 4 e, a quel tempo, responsabile del 29° Comando fascista di Istrana, sempre li vicino), mentre gli altri membri della Corte giudicante il 4 agosto 1944 furono tutti amnistiati. Lo stesso per gli alpini del CRA di Conegliano.
Solo due mesi prima, vi era stata la grande amnistia Togliatti, decisa dal governo De Gasperi, che 'purificò' le coscienze e 'parificò' le colpe e i meriti.
E così si chiuse una pagina nera di Treviso, che magari non tutti lì conoscono e non a tutti fa piacere conoscere o divulgare. Ed è un grande errore.
Perchè come diceva prima di morire uno che quella tragedia l’ha vissuto sulla propria pelle (non nel trevigiano perchè in quei mesi era ad Auschwitz, suo malgrado) quale Piero Terracina: ‘La memoria non è il ricordo. E’ quel filo che lega il passato al presente e condiziona il futuro’.
E forse la sostanza sta qui: la 'conoscenza' condiziona il futuro.
Ma forse anche solo sapendo chi fosse Giacomo Matteotti, anche solo studiando le sue parole prima di esser ucciso, potrebbe essere utile per capire la differenza tra democrazia e fascismo, tra le pagine bianche e le pagine nere della Storia del nostro Paese.
Basta volerlo, se si vuole.
‘La memoria non è il ricordo. E’ quel filo che lega il passato al presente e condiziona il futuro’.
3 agosto 2023 – 79 anni dopo
Bibliografia:
- Federico Maistrello, XX Brigata Nera - attività squadrista in Treviso e provincia (luglio 1944/ aprile 1945), Istresco, Treviso, 2006, pp. 89-91;
- Elio Fregonese, I caduti trevigiani nella guerra di Liberazione 1943-1945, Istresco, Treviso, 1993, pp. 51, 110, 142, 145.
- Fonti archivistiche: CAS di Treviso, sentenza n.60/46 del 29.8.1946
- R.G. 51/1946 - R.G.P.M. n.1450/45, a carico di Milazzo Giorgio e altri; CAS Treviso, sentenza n.36/46 del 7.6.1946 - R.G.n.5 e 5 bis/1946 - R.G.P.M. 1859/46 a carico di Pillon Attilio e altri membri del CRA di Conegliano.
* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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