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26 luglio 2023
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Le bande nere di Montagnana
di Rinaldo Battaglia *

A Montagnana, nel padovano, quando regnava il prefetto Federico Menna - uomo di punta del fascismo veneto, ‘culo e camicia’ col ministro Guido Buffarini Guidi e bandito in fuga tramite la vaticana Rat-line dopo il 25 aprile 1945 - la sera di domenica 23 Luglio ’44, al Cinema “Impero” mentre si proiettava ”La tragedia del Titanic”, un gruppo di brigate nere, ovviamente italiane, supportate da alcuni soldati nazisti , entrò all’improvviso nella sala del cinema.

Sotto la minaccia delle armi fecero uscire dapprima le donne e i bambini, mentre tutti i maschi, da 15/16 anni in su, vennero arrestati e imprigionati nel collegio vescovile di Este, per essere deportati nei lager del Terzo Reich. Parliamo di almeno 60 persone. I nostri IMI non bastavano più: la macchina industriale nazista necessitava di altri schiavi da sterminare tramite il lavoro, con il vigliacco consenso dei fascisti di Salò. Mussolini era appena tornato da Berlino, dopo nella notte tra il 20 e il 21 luglio, aveva definito con Hitler il rafforzamento delle azioni unitarie per stanare i partigiani e rastrellare nuove forze lavoro con il terrore e la violenza. La Resistenza locale non stette inerme e già due sere dopo, il 25 luglio, primo anniversario della caduta di Mussolini, venne rapito l’uomo forte del fascio locale, il podestà Giuseppe Pisanò comandante della Brigata nera di Montagnana e commissario fascista del paese.

Preso, legato e portato in una cascina isolata a Castelbaldo, non lontano e sempre nella bassa padovana, per esser usato quale pedina di scambio per liberare i 60 cittadini arrestati. La situazione da mesi era già molto tesa: ad inizio mese in un’azione dei partigiani nei confronti della caserma dei carabinieri di Merlara, spalla operativa in loco del prefetto Menna, era stato ucciso uno dei loro capi, Paride Cervato, molto stimato nell’ambiente antifascista.

Ma anche i nazisti e i loro soci fascisti non restarono a guardare. Conoscevano bene la zona e godevano di mille informatori e delatori. Non è che il padovano fosse diverso dal resto del nord-Italia. Soprattutto qui dove molti vivevano ‘vendendo’ ebrei da destinare al comodo campo di Vò Vecchio, chiuso peraltro la settimana precedente (il 17 luglio) con tutti i prigionieri spediti ad Auschwitz. A quel tempo, quando il reddito annuo medio era di 4.283 lire, un ebreo uomo veniva pagato 3/5.000 lire, una donna sulle 2.000, un bambino attorno alle 1.500. Mesi dopo, ad inizi dicembre, a Venezia anche per una donna di tarda età si arriverà alle 5.000 lire. Questo era il mio Veneto e la mia terra allora, tra il silenzio assordante e colpevole di tutti.

Durante già la notte tra il 25 e del 26, capendo che il podestà rapito era nella zona di Castelbaldo, i nazi-fascisti iniziarono una tremenda rappresaglia. Si mossero a tenaglia con obiettivo Castelbaldo: i nazisti da Este comandati in persona dal cap. Wilhelm Lembke, appena arrivato e bramoso di farsi onore, e i fascisti da Merlara al comando di Alfredo Nello Allegro e di Primo Cattani, un parmense di Santa Maria del Taro già tristemente noto in zona. Tutti con la bava alla bocca.

E la strada fu una Via Crucis di morte e distruzione. ‘L’Angelo Sterminatore agì con fermezza, precisione e meticolosità’ come direbbe la Sacra Bibbia. Oltre a saccheggiare, rubare e incendiare case, arrestando chiunque trovassero non essendo riuscito prima a nascondersi, si sfogarono soprattutto arrivati a Castelbaldo, dove i civili non sapevano quanto stesse succedendo attorno e non erano per nulla preparati. Per primo, già all’alba del 26 luglio, prelevarono con la violenza l'arciprete del paese, don Sante Miotto, per portarlo su un camion a Montagnana e interrogarlo con tutta calma sui movimenti partigiani della Bassa. Per loro era un complice o almeno uno che li conosceva. Ma quel camion poco lontano, al ponte delle Gradenighe, tra Merlara e Castelbaldo , venne fermato dalle squadre partigiane della brigata “Paride”, comandate qui da Anteo Caremi. La battaglia del ponte costò la vita ad un partigiano, ma don Miotto venne liberato e 5 fascisti arrestati dai partigiani.

E qui partì allora una nuova immediata vendetta, che colpì Castelbaldo poco dopo mezzogiorno. In poche ore i fascisti uccisero ben 13 persone.

Il primo ad essere colpito fu Angelo Ferretto, seguito da Pietro Cavalletto di 50 anni, suo figlio Nerino che il giorno prima (il 24 luglio) aveva festeggiato i suoi 24 anni di vita, che gestivano assieme il traghetto sull’Adige, colpevoli di trovarsi nel momento sbagliato al posto sbagliato (la loro casa). Furono cercate e trovate anche due sorelle, ritenute collaboratrici dei partigiani: Adelina “Jole” Panziera (22 anni) e Norina, di non ancora 19 anni, della vicina Castagnaro.

Vennero inoltre trovati 5 partigiani, ricercati da tempo, conosciuti e temuti dal ‘duo del male’ Nello Allegro e di Primo Cattani. Fucilati subito e gettati in acqua presso un mulino: questa la fine di Alcide Segantin, Severino Salandin, Diego Terrin e Alcide Segantin tutti ragazzi di 21 anni, Gino Dacome (25 anni) e Lino Gianesella (23 anni). Venne ucciso anche Marco Franceschi, veronese della vicina Terrazzo che l’8 luglio aveva compiuto 16 anni: il suo corpo non verrà e mai trovato. Non solo: furono anche fucilati Florindo Romani per tutti conosciuto come Fiore e suo figlio Romanin di 21 anni, perché trovati con armi in casa, originari del rovigotto e lì arrivati da anni per motivi di lavoro.

Venne data alle fiamme anche la casa di Giuseppe Doraluce – il comandante militare della Brigata “Paride” - e si presero in ostaggio la moglie Assunta Bucciante e Clara, la figlia minorenne, assieme ad una altra donna, Enrica Vaccari. Furono tutte minacciate di esser uccise se entro le ore 16 del 26 luglio i partigiani non avessero liberato, sano e salvo, il podestà rapito. Anzi: cap. Lembcke e il capo fascista Allegro parlarono che sarebbero stati fucilati 12 ostaggi.

Questo sequestro modificò la situazione in campo: iniziò una lunga trattativa tra i partigiani stessi e padre Cornelio Biondi, cappellano delle Brigate nere, perché anche i fascisti avevano – tra un crimine e l’altro – un padre spirituale. E ne avevano di certo bisogno. Le tre donne furono subito portate nel carcere di Montagnana e lì imprigionate per molto tempo , a parte la moglie Assunta Bucciante, che verrà in breve ugualmente deportata in Germania. Ugualmente, sebbene il podestà fosse stato liberato dai partigiani e lasciato ritornare incolume a casa. Ma la parola dei fascisti evidentemente non contava, sia per il loro poco valore morale che per la loro dipendenza dai nazisti.

La giornata del 26 luglio finì così con un’orgia di sangue. A Castelbaldo proseguirono, poi, fino al 28 luglio gli scontri tra i partigiani e i nazifascisti. Da documenti storici risulterebbe la morte complessivamente di 6 partigiani (di cui uno, Benito Guarise probabilmente ucciso in un altro episodio non legato a questo, sebbene sempre il 26 luglio 1944 a Megliadino S. Vitale). In ogni caso, in uno di questi scontri, al ponte degli Arzarini, uomini della Brigata Paride riuscirono finalmente a liberare il parroco Sante Miotto dalla prigionia. E la vicenda così tragica e dolorosa pose – per il momento - la parola fine.

Ma non tutto, poi, è stato ancora chiarito. Pensate che, anche dopo quasi 80 anni, non tutti concordano nemmeno sul numero dei morti . Secondo alcuni storici, infatti, furono uccise 12 persone e altri addirittura parlano di 18 morti nel paese.

Di certo resta il fatto che, dopo il 26 luglio 1944, ad agire con la massima violenza e senza alcun rispetto per la vita altrui, fu in prima persona il cap. Wilhelm Lembke, sempre più aiutato dai suoi compari fascisti e soprattutto dalle bande nere di Montagnana. E le «segrete» del Vescovile di Este divennero ancora più luogo di terrore: qui furono torturati e uccisi molti altri partigiani e comuni cittadini. Persino nello stabile che oggi è la sede della scuola di Este, solo pochi anni fa (nel 2007) vennero trovati, durante dei lavori di ristrutturazione, ancora del materiale da guerra a conferma delle nefaste ipotesi sul ‘modus operandi’ del comando nazifascista nell'edificio.

A guerra finita, il 23 agosto 1945 Alfredo Nello Allegro venne giudicato presso la Corte d’Appello Straordinaria CAS di Padova (come da Procura militare di Padova, registro generale n° 1248) e condannato a morte. Ma la condanna poi non venne eseguita visti i benefici delle varie amnistie già del giugno 1946.

Primo Cattani, accusato dalla CAS di Padova di aver collaborato al rastrellamento che porta alla morte di molti ostaggi e di aver personalmente ucciso Pietro e Nerino Cavalletto, il 6 febbraio 1947 fu anche per questo condannato a morte, ma la condanna non verrà eseguita – si dice - per il decesso del condannato (mai provato).

La battaglia di Castelbaldo del 26 luglio 1944 e la banda nera di Montagnana non sono solo che esempi della reale guerra nel mio Veneto, tra fascisti e nazisti da una parte e i partigiani, che talvolta guidati dal CLN talvolta isolati, cercarono di opporsi e finalmente liberare il nostro Paese dopo 20 anni di crimine diventato Stato. Cosa ci rimane oggi, 79 anni dopo, di quella battaglia e della banda nera di Montagnana?

Prendo a prestito alcune parole di poesia di Fabrizio De André: Vorrei dire che i martiri di Castelbaldo sono oggi ricordati per il sacrificio che hanno dato, per la loro vita perduta e rubata loro da invasori e soci di invasori – che è peggio – ma non sembra proprio così. Poco se ne parla, poco li si onora. Nella vicina Noventa, invece, nel 2016 hanno dedicato una via a Giorgio Almirante, che in quel tempo, vestito di nero, faceva forse altrettanto in Toscana (l’eccidio di Niccioleta e Castelnuovo Val di Cecina è del 13 e il 14 giugno 1944) e poi in Val d’Ossola.

“…Vorrei dirti, ora, le stesse cose
Ma come fan presto, amore
Ad appassire le rose….”

Come fan presto, in Italia, ad appassire le rose….

26 luglio 2023 – 79 anni dopo

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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