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06 luglio 2023
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Tra scena e realtà
di Rinaldo Battaglia *

«L’italiano è da sempre una persona che rispetta il prossimo, lo dico senza fare vaneggiamenti. Gli italiani sia nel periodo pre-fascismo sia durante il fascismo, il governo italiano, l’Italia nei suoi cento anni di colonie in Africa ha costruito e realizzato» perché «noi (gli italiani, ndr) non siamo per natura gente che va a depredare e a rubare al prossimo .. (..)…la nostra cultura antica non ci fa essere un popolo di pirati che vanno in giro a depredare il mondo». Sono parole riportate da più giornali e pronunciate il 30 giugno a Roma, dal palco del Parco Centrale del Lago dell’Eur, dal vice-ministro agli Esteri Edmondo Cirielli, durante la festa giovanile di FdI «Fenix».

Parole quindi di un politico navigato ed esperto, deputato sin dal 2001, il cui nome resta peraltro legato alla legge 5 dicembre 2005, n. 251, conosciuta non a caso come ‘legge ex-Cirielli’ in quanto suo primo firmatario, anche se poi dallo stesso sconfessata. In particolare quando venne usata dal Governo Berlusconi III per ‘limitare’ le vicende giudiziarie di Cesare Previti e Attilio Pacifico, riguardanti l'accusa di corruzione nell'ambito del processo IMI-SIR, tanto da venire poi ribattezzata come "legge salva-Previti". Ma ne usufruirono in sede processuale anche Bank of America nel processo Parmalat e tanto per cambiare Silvio Berlusconi per il caso di corruzione dell'avvocato inglese David Mills.

Ovviamente eravamo ad un convegno dei giovani del suo partito, quindi a casa propria ognuno può raccontare la propria narrazione. In particolare se nessuno dei presenti non ostacola quel messaggio, non chiede chiarimenti o ne contesta l’aspetto storico. Ma è anche vero che quando si riprendono vicende passate sarebbe opportuno che, chi parla, usasse documentazioni storiche e argomentazioni complete. Altrimenti sarebbe facile gioco, per chiunque, citare la nota (almeno per me) frase di Bertolt Brecht ‘Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente’.

Perché esiste una forte differenza tra la propaganda politica e la realtà storica documentata, tra il palco e la realtà. E la cosa prende spessore nella sua gravità quando si usa la memoria del passato a proprio piacimento ed interesse di parte, facendole perdere il suo alto valore educativo.

E qui, più che Brecht, serve citare George Orwell col suo ‘Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato’.

Non so se i presenti quel giorno al Fenix non abbiano mai sentito parlare di invasioni italiane in Jugoslavia, Grecia, Albania, Africa Orientale, Libia. Non abbiamo mai ascoltato nulla delle criminali repressioni italiane nelle nostre guerre di occupazione durante gli anni del fascismo di Mussolini, il socio di Hitler. Se non ne hanno sentito parlare – come temo - avranno però di certo udito le parolacce urlate loro contro da qualche affermato storico, come Ian Leslie Campbell (quello de ‘Il Massacro di Adis Abeba’) o – visto che è straniero e quindi non patriottico – peggio ancora il suono del girarsi nella tomba da parte di Angelo Del Boca, di cui peraltro oggi 6 luglio ricorre il secondo anno dalla sua morte.

Del Boca ha scritto decine di libri in merito e non solo il più significativo e conosciuto quale ‘Italiani, brava gente?‘ Qualcuno del Fenix ne ha letto almeno qualche pagina? Magari dove scriveva l’essenza del modus operandi del soldato italiano in terra conquistata: “Perchè il motto insegnato alle truppe è :“Ammazza e porta via tutto, perché dove prendi è ben preso” .

Non so se quei giovani abbiano nemmeno mai letto, nella loro educazione politica, importanti atti fondativi della RSI – ed essendo figli di quella idea sarebbe per loro un grave handicap formativo – come, ad esempio la Carta di Verona del 17 novembre 1943, dove al punto 8, partendo da parole del Duce, si dichiarava che bisognava conquistare, sbranare e depredare territori di altri paesi: “Altro fine essenziale consisterà nel far riconoscere la necessità dello spazio vitale, indispensabile a un popolo di 45 milioni di abitanti, sopra un’area insufficiente a nutrirlo”.

Probabilmente qualcuno, quel giorno, al Fenix non aveva studiato la Storia del nostro paese in modo completo, documentato, oggettivo. E a mio avviso la cosa è grave.

Vedete: la mia generazione, figlia della generazione che aveva subito sulla sua pelle la tragedia della Seconda Guerra Mondiale – al Fenix sanno che c’è stata? – guerra voluta e cercata dal fascismo di Mussolini, oltre ai libri di Storia (carenti anche a quel tempo, ma mai come adesso) poteva godere dell’illuminazione diretta dei nostri padri e nonni. Loro integravano le nozioni storiche e le informazioni dei ‘media’ con il loro ‘vissuto’. E non era poco. Talvolta a parole e più spesso col loro assordante silenzio. Altrettanto istruttivo ed educativo.

Ma ora che i nostri padri e nonni se ne sono andati, che memoria lasciamo ai nostri figli? Spero non quella narrata dal viceministro Cirielli e spero non quella – come credo – assorbita passivamente al Fenix. Lo spero, ma sappiamo tutti che non è così. E le frasi di Orwell ‘Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato’ risuonano sempre più forti nel nostro domani. Capiamoci: non è stato ‘rose e viole’ neanche nel nostro passato, quando la mia generazione era giovane. E a tal proposito sul concetto di narrazioni storiche falsate e della paura delle documentazioni oggettive della Storia – perché conoscere la Storia ti rende forte e indebolisce gli altri – vi parlo della vita di un film del 1980. Si intitola ‘Il leone del deserto’ del regista arabo Mustafa Akkad.

Racconta la storia, basandosi su documentazioni vere, verificate ed accertate almeno nella sostanza di fondo, di un comandante libico, Omar al-Mukhtar, che fu il vero oppositore alla colonizzazione fascista del suo paese agli inizi degli anni ’30. Come noto – per chi lo avesse studiato - l'Italia aveva occupato il territorio di quella regione nel 1911-1912, sottraendolo al decadente Impero ottomano. Ma la resistenza locale non aveva mai accettato la sottomissione anche al nuovo padrone, creando e alimentando gruppi di opposizione e di guerriglia, che potevano minacciare e minacciavano, soprattutto dopo il 1929, i sogni di gloria del Duce. Mussolini quindi sostituì di fatto l’allora Governatore di Libia, Pietro Badoglio, peraltro già colpevole criminalmente delle ‘non-famose’ marce della morte nel deserto, di cui spesso si vantava coi suoi subalterni, e che sarebbero durate a suo dire “sino alla fine anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica”.

Non ci sono numeri storici precisi in merito alle morti causate dalle deportazioni e dalle marce sotto Badoglio, ma riguardò almeno 90-100mila libici (poco meno di un terzo dell’intera popolazione della Cirenaica), che a seconda delle località di provenienza furono costretti a una marcia di centinaia e centinaia di chilometri verso campi di concentramento appositamente istituiti, con al seguito i loro mezzi di sussistenza, seimila capi di bestiame, bovini, pecore e capre.

E così il 15 marzo 1930 – da Mussolini non contento degli scarsi risultati finora ottenuti - venne nominato vice-Governatore, ma di fatto con poteri assoluti e subordinati solo al Duce, il generale Rodolfo Graziani, quello a cui il 12 agosto 2012 ad Affile i colleghi di partito del viceministro Cirielli hanno dedicato un mausoleo in pompa magna (con fondi pubblici).

E Graziani – il viceministro ne sa qualcosa? - riprese e rafforzò la deportazione delle popolazioni locali, in gran parte pastori seminomadi (ampliandosi anche nella Tripolitania e nel Fezzan, le altre regioni della Libia), facendo distruggere il loro bestiame e, con lo scopo che non sconfinassero per ricevere rifornimenti e viveri in Egitto, fece costruire un reticolato di 270 km di filo spinato lungo il confine, tra il porto di Bardia e l'oasi di Giarabub, costantemente presidiato dalle truppe italiane del Regio Esercito. Li costrinse alla fame e alla sete più totali. Non solo: venne costruito – ben prima che nella Germania nazista – un ulteriore numero di campi di concentramento e come in tutti i campi le persone – donne vecchi e bambini per primi – moriranno, ancora e più di prima, di malnutrizione, epidemie, stenti, violenze.

Inevitabile che la prepotenza dell’occupante non generasse ribellioni nell’occupato. A prender in mano e a guidare la resistenza anti-italiana fu un insegnante anziano (aveva oltre 70 anni), chiamato dai suoi ‘Il Leone del deserto’: Omar al-Mukhtar. L’eroe libico (della confraternita Senussita) sarà 50/60 anni dopo il punto di riferimento anche del col. Gheddafi e forse qualcuno ricorderà che nel corso della sua prima visita ufficiale in Italia, il 10 giugno 2009, questi si presentò all'aeroporto di Ciampino dall’amico Berlusconi con appuntata al petto la fotografia che ritraeva l'arresto di al-Mukhtār da parte degli uomini di Graziani. Peraltro Gheddafi quel giorno volle essere accompagnato dal figlio stesso di Omar al-Mukhtar, per quanto anziano fosse, quale ulteriore ed eloquente messaggio.

Al-Mukhtar negli anni ’30 in pochi mesi seppe unire le varie anime libiche, prima molto divise, e malgrado contasse solo su armi vecchie, obsolete e di scarso risultato riuscì a mettere in difficoltà le nostre truppe. Mussolini fu così costretto ad intensificare le forniture di aeroplani e carri armati, usati per la prima volta nel deserto. Noi siamo stati gli apripista, un anticipo della guerra con Rommel di 10 anni dopo. Il film bene rappresentava le azioni disperate e l'eroismo dei cavalieri, berberi ed arabi, armati solo di fucili e le rappresaglie e le atroci violenze perpetrate sulle popolazioni dalle nostre camicie nere. Questa fase di guerriglia finirà solo l’11 settembre 1931 con la cattura e impiccagione di Omar al-Mukhtar.

L'esecuzione avvenne alle 9 del mattino del 16 settembre 1931 a Soluch, 56 chilometri a sud di Bengasi, in Cirenaica e arrivarono ben 20.000 libici ad assistere all'uccisione del loro eroe, del loro martire. Vollero quasi accompagnarlo fino alla morte, fargli compagnia fino all’ultimo suo respiro, affinché sapesse il suo riconosciuto immenso valore. E le ultime parole di Omar al-Mukhtar.

Prima che la corda gli stringesse il collo, furono importanti per gli arabi perché riprese da un versetto del Corano: "A Dio apparteniamo ed a Lui ritorniamo". Come dire che gli assassini, gli usurpatori della Libia, i fascisti del Duce non erano padroni delle loro vite: quello spettava solo ad Allah. Scena epica, come fu epica quella in cui gli italiani fecero separare le madri dai loro piccoli figli in un’oasi e davanti a questi vennero impiccate senza alcuna pietà.

Credetemi: non l’ho sentito dire, io quel film l’ho visto e mi sono vergognato da italiano ‘dell’Italia fascista’. Succederà ancora: a Podhum, a Domenikon, a Rab/Arbe, a Farsalo, Oxinià, Domokos o Tsaritsani. Nomi che forse al Fenix non sanno nemmeno dove si trovano. Più volte, in estrema sintesi, nel film venne evidenziata sia la ferocia di Graziani – che per i suoi metodi criminali passerà alla Storia col soprannome anche di "macellaio del Fezzan"- che l’umanità del vecchio leader libico. In un’occasione, ad esempio, si rifiutò di uccidere un giovane tenente superstite di un agguato, riconsegnandogli anche la bandiera italiana catturata quel giorno in combattimento. E lo spiegò all’ufficiale: nell'Islam non si uccidono i soldati se prigionieri e si fa guerra solo per salvare la propria patria.

Verità storica o propaganda di Gheddafi? Palco o realtà? Forse siamo nella seconda ipotesi, come nei discorsi del nostro viceministro, ma questi sono di 43 anni dopo. E il mondo dovrebbe aver progredito. Il film (del 1980) fu infatti finanziato in buona parte da Gheddafi (35 milioni di dollari, si diceva) e girato senza badare a spese a Hollywood, a Roma, Latina e in Libia, nel deserto e nella regione del Fezzan. Quindi la propaganda non poteva essere assente. Ma la criminalità del nostro colonialismo storicamente, oggettivamente, onestamente non la si può negare.

Il film fu un successo di critica e commerciale. Lo storico inglese Denis Mack Smith andò oltre e sulla rivista ‘Cinema nuovo’ scrisse: "Mai prima di questo film, gli orrori ma anche la nobiltà della guerriglia sono stati espressi in modo così memorabile, in scene di battaglia così impressionanti; mai l'ingiustizia del colonialismo è stata denunciata con tanto vigore... chi giudica questo film col criterio dell'attendibilità storica, non può non ammirare l'ampiezza della ricerca che ha sovrinteso alla ricostruzione".

Fu un successo di critica e commerciale in Europa, negli Usa, e nel mondo arabo ovviamente. Tutto tranne che in Italia. Perché prima che da noi arrivasse nelle sale, agli inizi del 1982, dal governo italiano venne totalmente vietato e legalmente censurato. La firma fu dell’allora sottosegretario agli Affari Esteri, Raffaele Costa, per ordine del premier Giulio Andreotti. Il motivo: il film «danneggiava l'onore dell'esercito italiano».

Anni dopo qualche giornale scriverà: «In Germania, che pure non è tanto critica col suo passato nazista vedono nelle sale "Schindler's list", a noi italiani ci è stato negato di vedere un film crudo e veritiero nei minimi dettagli, trattasi di "Omar Mukhtar - il leone del deserto" con Anthony Quin, Gastone Moschin, Raf Vallone che racconta la storia dei partigiani libici scannati dall'esercito savoiardo. Il liberale Raffaele Costa rispose a un'interpellanza parlamentare dicendo che "Il film non poteva essere proiettato sugli schermi italiani perché offendeva il nostro esercito".»

Nel 1982 non si poteva parlare dell’Italia colonialista, dei crimini fascisti di Graziani e Badoglio, non si poteva insegnare cos’è stato il fascismo nel mondo. Perché la verità storica fa paura ai deboli. Qualche anno dopo fu persino intentato un procedimento contro il film per "vilipendio delle Forze Armate". Nel 1987 fu bloccata invece una proiezione dalla DIGOS in un cinema di Trento, ma il processo si concluse poi con un nulla di fatto. Nel 1988 a Rimini, infine, si cercò di attivare una proiezione clandestina, fallendo.

Passarono gli anni. Uscirono altri film, magari meno critici come ‘Mediterraneo’ (1991), "Schindler's list" (1993), che insegnò il senso della parola Shoah, ‘Salvate il soldato Ryan’(1998) che raccontò il sacrificio di sangue per liberare l’Europa dal fascismo e dal nazismo, ma da noi ‘Il Leone del deserto’ restava ancora vietato alla visione. Perché la verità storica fa sempre paura ai politici deboli. Solo nel 2009, nel periodo della visita di Gheddafi, SKY – forse perchè a quel tempo di totale proprietà dell’australiano Rupert Murdoch e più legato al colore dei profitti che alle bandiere patriottiche - se ne fregò e ben 29 anni dopo anche gli italiani poterono conoscere il fascismo in terra altrui, quando il fascismo cercava altrove il proprio ‘spazio vitale’. Ma le tv di Stato e di Mediaset quasi mai lo hanno proiettato. Perché farlo? Nell’interesse di chi?

Era il 2009 e 3 anni dopo, nel 2012, ad Affile la politica preferì omaggiare con un mausoleo il ‘macellaio di Fezzan’ anzichè spiegarne i suoi crimini e le sue colpe. In Libia, In Etiopia, in Italia. Affinchè crimini del genere non ne fossero più commessi, da nessuno ed in nessun luogo. Era il 2009, 14 anni fa, e la politica capì che la ‘censura’ contava meno del ‘business’, perché il business scavalca e sconfigge oggi la censura. Come aveva fatto Murdoch. E quindi la politica – una certa politica – ritenne opportuno abbandonare la strada della censura sostituendola con la ‘narrazione personale’ dei fatti storici. Così si può benissimo dire che “Gli italiani sia nel periodo pre-fascismo sia durante il fascismo, il governo italiano, l’Italia nei suoi cento anni di colonie in Africa ha costruito e realizzato» perché «noi (gli italiani, ndr) non siamo per natura gente che va a depredare e a rubare al prossimo”. Ed esser ascoltati, creduti, applauditi, fare proseliti.

Nell’ottobre scorso, Liliana Segre in una trasmissione RAI (peraltro di fatto ora già chiusa ) disse con molta delusione: «So, con pessimismo, ma anche con realismo, che nel giro di pochi anni la Shoah sarà una riga nei libri di storia, poi non ci sarà più neanche quella». E non solo la Shoah, ma tutta la Storia che non fa piacere a qualche potente di turno, vien da aggiungere.

Eliminiamo la ‘Storia documentata’ e sostituiamola con la ‘narrazione politica’: non servirà più aver bisogno delle censure sempre antipatiche e non sempre manovrabili o difendibili in eterno. Sarà tutto più facile. E nel giro di pochi anni in Italia la verità storica sarà una riga, poi non ci sarà più neanche quella, perché non più necessaria. Non ci saranno più differenze tra propaganda politica e verità storica. O, se si preferisce, tra palco e realtà.

6 luglio 2023 – 2 anni dalla morte del grande storico Angelo Del Boca - Rinaldo Battaglia

* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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