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Memoria: l'inferno di Ante Pavelic e Fratello Satana
di
Rinaldo Battaglia *
Il 10 aprile 1941 Mussolini ed Hitler crearono lo Stato Indipendente di Croazia (Nezavisna Država Hrvatska, abbreviato in NDH) un loro Stato fantoccio, che comprendeva la maggior parte dell'odierna Croazia e tutta l'attuale Bosnia ed Erzegovina durante la seconda guerra mondiale. Crearono lo Stato degli ustasha e misero loro capo Ante Pavelic.
E’ difficile spiegare in poche parole chi fossero gli ustasha croati (la parola deriva dalla loro lingua e significa ‘alzarsi in piedi’ ‘ribellione/rivolta’ sin dai tempi in cui che lottavano contro i turchi) e chi fosse Ante Pavelic.
Perché gli ustasha non furono solo un movimento nazionalista e fascista croato di estrema, estremissima destra, alleato dei nazisti tedeschi e fascisti italiani che, prima e durante la Seconda Guerra Mondiale, si oppose al Regno di Jugoslavia, allora dominato dall’etnia serba di Belgrado.
Furono loro lo ‘Stato Indipendente di Croazia (NDH)’, quello che per 4 lunghi anni (dall’invasione italo-tedesca dell’aprile ‘41 alla fine della guerra) venne identificato come il regno del terrore e dell’orrore senza limiti, né freni.
Fu l’esempio classico di come un figlio (Ante Pavelic), già con forti limiti intellettivi propri, possa clonare i crimini dei genitori (Mussolini ed Hiter) - che amava molto - e, cercando di imitarli, riuscire a far peggio. Coscientemente e incoscientamente.
Fu uno dei tanti allievi di Hitler e Mussolini, tutti legati al filone ombelicale del terrore e delle atrocità: come Pál Teleki in Ungheria, Ion Antonescu in Romania, Vojtech Tuka nella Slovacchia o Bogdan Filov in Bulgaria.
Sulle atrocità dei campi di sterminio di Hitler oramai chi vuol conoscere, conosce fino a quale punto nell’abisso si fosse arrivati. Ma né il Fuhrer, né il pazzo criminale che ne condivise le bestialità (Himmler) arrivarono a realizzare lager dedicati ai bambini.
Certo: ad Auschwitz e nel ghetto di Lodz non mancarono ‘reparti’ dedicati ai piccoli deportati ebrei, ma quello che si creò a Jasenovac, nei sotto-campi di Sisak e di Jastrebarsko e Stara Gradiška rimane quasi unico, massimo esempio di dove possa portare la pulizia etnica e l’odio razziale. Qui si parla, nel complesso dei lager ustasha, di 800.000 deportati uccisi (il 10% solo a Jasenovac, almeno 83.000) di cui 320/330.000 serbi, 255.000 dissidenti croati e bosniaci musulmani, oltre a 13.000 ebrei e 12.000 rom. Ovviamente, senza contare tutti quelli ‘ceduti’ ai nazisti e sterminati nei lager di Polonia.
Peraltro principale ‘teorico’ e vero ispiratore ‘religioso’ del regime ustasha, era Ivo Gubernina, un sacerdote cattolico romano che predicava la "purificazione religiosa" e l'"igiene razziale" per fare dello Stato di Croazia una "terra ripulita da elementi considerati estranei". E per estranei tutte le ‘razze inferiori’ per loro: ebrei, serbi, bosniaci, comunisti, atei, omosessuali, rom.
Il ‘lager’ di Jasenovac in una lettera del 24 febbraio 1943 scritta dal Cardinale Alojzije Viktor Stepinac e indirizzata al suo Poglavnik (Duce in croato) Ante Pavelić, venne definito una “vergognosa macchia per lo Stato Indipendente Croato”.
Se poi noi sappiamo che a comandare il campo fosse in altro uomo della Chiesa, un frate francescano questa volta (Miroslav Filipović chiamato anche Tomislav Filipović-Majstorović) passato alla Storia come “Il diavolo di Jasenovac” o meglio “Fratello Satana” il quadro è sufficientemente chiaro, anche per chi vuol esser cieco.
Fratello Satana, ad inizio carriera, venne promosso, fin dal gennaio 1942 conclusi gli studi teologici a Sarajevo, ufficialmente ‘cappellano militare’ degli Ustasha e divenne punto di riferimento nella strategia militare e nella politica razzista e criminale del movimento.
Già il 7 febbraio ‘42 - generali nazisti lo testimoniarono - Fratello Satana partecipò ad un’operazione ideata per ‘sterminare’ i serbi nella zona di Drakulić, nella periferia settentrionale di Banja Luka e in due villaggi vicini, Motike e Šargovac.
Vennero uccisi oltre 2.300 civili serbi.
Nel massacro di Banja Luka (9 e 11 febbraio) documenti redatti dallo stesso capo del ‘servizio di sicurezza interna’ dello Stato Croato (Eugen Dido Kvaternik) segnalarono che solo nel villaggio di Šargovac vennero ammazzati 52 bambini della scuola elementare. Lo confermeranno anche due insegnanti (Dobrila Martinović e Mara Šunjić), scampate all’eccidio, nel processo di Belgrado istituito da Tito, a guerra finita, contro i crimini degli ustasha. Le due insegnanti parlarono di come Fratello Satana non solo avesse attivamente partecipato al crimine, ma soprattutto di come incitasse i suoi ustasha ad usare la massima crudeltà ‘in nome di Dio’. Alcuni ragazzi vennero da lui personalmente ‘sgozzati’ davanti gli occhi degli altri. Analogamente fece un altro prete collaborazionista, padre Zvonimir Brekalo, suo compagno di studi e ‘fede’.
Incitò alla massima crudeltà, clonando forse - in un altro luglio maledetto, nel lontano 1209 (il 22 luglio) - un altro ‘alto prelato’, delegato papale di Innocenzo III, che nel massacro di Béziers spronò i crociati anti-catari ad ammazzare chiunque al suono di ‘uccidete tutti, Dio conosce i suoi’. E alla fine i morti furono oltre 20.000.
Le violenze di Fratello Satana fecero terrore e altrettanta notizia in breve tempo, tanto da scomodare persino ‘l’ambiguo’ Cardinale di Zagabria, Alojzije Viktor Stepinac, che decise – per lo meno - di sospendere il frate dalle sue funzioni religiose il 4 aprile e a seguire, il 22 ottobre del 1942, cacciarlo dall’ordine dei francescani.
Ma se Miroslav Filipović era chiamato Fratello Satana qualche risorsa doveva pure averla.
Sebbene ridotto allo stato laicale e sebbene arrestato e imprigionato nel campo di concentramento di Jasenovac, riuscì ugualmente ad emergere in pochissimo tempo.
Divenne l’uomo di fiducia di Vjekoslav Luburić, responsabile del campo, passando da ruolo di deportato a capo-guardia, poi responsabile delle esecuzioni, a seguire luogotenente del comandante Ljubo Miloš e successivamente direttore stesso del campo principale fino a fine guerra (Jasenovac di fatto comprendeva 7 tra campi e sotto-campi), oltrechè avere un ruolo principale nella direzione, dalla fine del 1942 e fino al 27 marzo 1943, del sotto-campo di Stara Gradiška, il più terrificante e disumano.
L’Auschwitz croato: qui qualcuno (come Predrag Matvejević, Novi List, 12 febbraio 2005 in "Foibe" su fašistički izum - traduzione per Osservatorio sui Balcani: Luka Zanoni) scrisse che gli ustasha fecero ‘manualmente’ quello che ‘industrialmente’ i nazisti applicarono nei lager di sterminio in Polonia. Rende bene, purtroppo l’idea.
Operativo sin dall’estate 1941 come prigione per politici, fu convertito in ‘lager’ per donne e bambini dall’inverno 1942 all’aprile 1945. Vi trovarono la morte, 13.000 tra serbi, ebrei e zingari. Per la maggior parte bambini serbi. Forse 7-8.000 innocenti bambini.Cuccioli d’uomo.
Nel processo del 1946, contro Filipović/Fratello Satana, alcuni superstiti resero testimonianze degne dei peggiori lager di sterminio nazisti.
Così dichiarò Josip Riboli:
“Majstorovic, Polić e Maricić (le guardie ustasha del campo) hanno gareggiato su chi di loro fosse un macellaio migliore. Le vittime dovevano inginocchiarsi davanti a loro, fino a toccare il suolo con la fronte e i carnefici sparavano con i loro revolver alla nuca. Se la morte non fosse stata istantanea, uno di loro avrebbe afferrato un coltello e avrebbe tagliato la gola alla vittima”.
(Da Rassegna di affari internazionali: politica, economia, diritto, scienza, cultura , Federazione dei giornalisti jugoslavi: 1950: Belgrado, Serbia, pag. 22).
Oppure l‘ex deportato ebreo Egon Berger :
“Le madri hanno cominciato a buttarsi a terra, tirandosi i capelli, e hanno cominciato a gridare terribilmente. Le guardie ustascia della 14a compagnia di Osijek li portarono via (ottobre ‘34) e li uccisero. Quando tutti e tre i bambini furono uccisi così brutalmente, queste tre bestie a due zampe si scambiarono denaro, perché sembravano scommettere su chi sarebbe stato il primo a conficcare un pugnale in un bambino".
(dal suo libro "44 mesi a Jasenovac" – Berger Egon (1966). 44 mjeseca u Jasenovcu . Zagabria: Nakladni zavod Hrvatske. pag. 57).
Nel processo, Fratello Satana ammise la sua partecipazione diretta ad alcuni degli episodi raccontati dai vari testimoni (non tutti, comunque) e di ‘aver ucciso personalmente almeno 100 prigionieri e di essersi attivato durante la sua permanenza nei campi di concentramento per l’eliminazione di almeno 30.000 internati’.
La corte civile di Belgrado lo dichiarò colpevole, condannandolo subito all’impiccagione. Il giorno dell’esecuzione volle, comunque, indossare le vesti dell’ordine francescano. Offendendolo di certo. Qui non eravamo a Fiesole e Fratello Satana non aveva l’eroismo dei tre carabinieri che prima di farsi fucilare vollero indossare l’uniforme dell’Arma. Glorificandola.
Ma per capire come Fratello Satana sia potuto nascere ed evolversi, necessariamente si deve passare tramite la figura di Ante Pavelic, duce indiscusso dello Stato di Croazia, ideato da Hitler (pochi giorni dopo l’invasione dell’aprile ‘41), forse per punire anche Mussolini, che puntava a possedere tutta la Croazia (e la Bosnia), da unire al Montenegro e all’Albania, già ‘sue’, e realizzare così il sogno dell’Adriatico solo e per intero ‘mare nostrum’.
Pavelic si era da sempre opposto – anche con attentati - al potere del neonato Regno di Jugoslavia, tanto da esser già nel gennaio 1929 condannato a morte e costretto alla fuga. Fu in questo fuggire che arrivò in contatto con Mussolini e i suoi scagnozzi vestiti di nero. Ci fu immediata e solida intesa. Con molta probabilità sia Pavelic che Roatta furono attivamente coinvolti nell’attentato di Marsiglia, ove venne ucciso il Re Alessandro I° (9 ottobre’34) assieme al ministro degli esteri francese Louis Bartout e, con molta probabilità, l’attentato venne richiesto ed invogliato da Mussolini stesso.
Pavelic in quegli anni era a scuola dal Duce, suo maestro, professore e tutor. Frequentava i principali campi dove Mussolini formava ed addestrava i suoi uomini, a Siena, Borgo Val di Taro, Bovegno, Riva del Garda. Comprese il senso delle leggi razziali fasciste, della pulizia etnica, allestì le proprie basi clandestine sul nostro territorio, sviluppò l’odio verso gli altri slavi. Gli altri slavi, quelli che non lo avrebbero mai accettato, che poi fossero serbi o anche croati oppositori poco cambiava. Capì la forza di persuasione che poteva rendere la religione e la minaccia del comunismo, che in quel periodo nell’URSS provocava morti, gulag e micidiali carestie. E non solo in Ucraina e non solo ai tempi del diabolico ‘Holodomor’.
All’invasione del 6 aprile ’41 non esitò ad allearsi con gli invasori, ossia coi maestri Mussolini e Hitler, ma tenendosi stretta la sua parte di ‘premio’, lasciando - della sua Croazia - solo la costa dalmata (Podhum compreso) al socio Mussolini e creando così non pochi tensioni nella ‘suddivisione’ delle terre conquistate. Per tacitare il Duce, Hitler pensò di regalare la corona del Regno di Croazia (atto simbolico, visto che il padrone era e restava Pavelic) ad un erede di Casa Savoia (Aimone, col nome di Tomislavo II), che prudenzialmente mai mise piede in Croazia, in attesa di tempi migliori, che mai arriveranno.
A fine guerra, estinti a fine aprile i suoi padri protettori, il 6 maggio ‘45 Pavelic scomparve dai radar. Si era così procurato una serie di appoggi politici (e clericali) e raccolto una montagna di ricchezze che poteva tranquillamente sparire e pagarsi la libertà ove necessario.
Stando a studi di importantissimi storici (come John Corwell), al momento della fuga, il suo patrimonio personale, trasferito all’estero (Argentina, ma non solo) venne quantificato in 80 milioni di dollari, rubati, col sangue, agli ebrei e ai dissidenti serbi e croati massacrati o deportati. La CIA nel 1958 – che indagò molto - lo chiamò semplicemente ‘Ustasha Treasury’.
Del resto cos’è il fascismo – in qualsiasi paese, età e colorazione politica - se non la via più moderna per l’Eldorado, la caccia al tesoro più allettante e meno faticosa?
I protettori vaticani della Rat-line, del famoso vescovo Alois Hudal ai tempi di Pio XII, organizzarono il suo viaggio da Roma verso i Tropici, accompagnato ovviamente anche da alcuni suoi più fidati collaboratori (come Bilonovic Sakic, altro responsabile di Jesanovac).
Ante Pavelic, nel caso specifico, venne nascosto fino a maggio del 1946 nel Collegio Pio Pontificio, poi trasferito in un appartamento nella resistenza estiva del Papa a Castelgandolfo, dove quasi ogni settimana si riuniva anche con il cardinale Giovanni Battista Montini, futuro Papa Paolo VI, a quel tempo Pro-Segretario di Stato e braccio destro di Pio XII. Nel dicembre del 1946, venne ‘rifugiato’ nel convento di San Girolamo e poi trasferito a Genova per partire al momento opportuno verso l’Argentina. Ma nel ‘47 mentre si stava imbarcando venne ‘intercettato’ dai servizi segreti statunitensi e fu ‘costretto’ ancora a nascondersi, questa volta nel monastero di Santa Sabina.
Finalmente, calmate le acque, l’11 ottobre 1948 Ante Pavelic, ricercato da metà mondo, riuscì ad imbarcarsi, sempre da Genova, per l'Argentina sulla nave Sestriere, in cabina di prima classe: godeva di un passaporto della Croce Rossa, numero 74369, a nome di Pal Aranyos, un ingegnere ungherese. Lo scortarono due agenti dell'Entità, di fatto il Servizio Segreto di Sicurezza del Vaticano, che restarono ‘al suo servizio’ come guardie del corpo per ben due anni.
Ci sarebbe da indignarsi e a fondo. Ma come disse di recente il grande attore di teatro Marco Paolini ‘A noi italiani l'indignazione dura meno dell'orgasmo. E dopo viene sonno’.
Succede. Può succedere. L’importante è che non si sappia in giro.
Peraltro quel viaggio, la ‘via dei topi’, sarà utilizzato anche da molti alti prelati slavi a lavoro concluso, come Ivan Saric il boia di Sarajevo, i vescovi di Croazia mons. Krunolav Draganovic e mons. Karlo Petranovic ‘collaboratori’ diretti di Hudal e lo stesso vescovo di Lubiana, Gregorij Rozman. Fratello Satana non era, poi, figlio unico. E Ivo Gubernina, non l’unico ‘santone’ del momento.
Un cenno merita il lavoro del vescovo Draganovic, perché grazie alla sua attività indefessa il 16 maggio 1951 dalla nostra Genova, sul piroscafo Corrientes, partì verso la Bolivia un certo Klaus Altmann, in Francia meglio conosciuto, a quel tempo, come il ‘boia di Lione’ e ricercato col nome di battesimo di Klaus Barbie. In quel viaggio se ne andarono, tranquilli, anche Dragutin Toth, Mile Starcevic, Stjiepo Peric, Vjekoslav Vrancic, altri principali uomini di Ante Pavelic, ricercati anche loro da mezzo mondo, per i crimini in terra di Jugoslavia.
Ante Pavelic in Argentina, nel ‘57, venne però identificato da un gruppo, forse, di ex-cetnici serbi e ferito in un agguato. Riparò in Austria dal vescovo di Klangenfurt e subito dopo dall’amico Francisco Franco in Spagna, dove morirà il 28 dicembre 1959, sulla soglia dei 70 anni. Lasciando, di certo, un mondo più pulito.
10 aprile 2023 – 82 anni dopo - Liberamente tratto da ‘A Podhum io scrivevo sui muri’ – ed. AliRibelli - 2022
* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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