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01 aprile 2023
tutti gli speciali

I bambini di Franco
di Rinaldo Battaglia *

Il 1° aprile del 1939 ufficialmente si chiudeva la guerra civile spagnola, iniziata col tentativo di colpo di stato dei franchisti il 17 luglio del ’36. Sarà l’antipasto della Seconda Guerra Mondiale e vedrà la partecipazione, da una parte, anche dei sovietici di Stalin e, dall’altra, i fascisti di Mussolini e i nazisti di Hitler. E la vittoria del Caudillo Franco sarà uno sprone al duo del male ‘Mussolini/Hitler', che solo due mesi dopo – il 22 maggio - firmeranno il non-famoso Patto d’Acciaio, il preludio alla Guerra e alla successiva invasione dell’URSS nel giugno ’41. Come poi sia andata a finire lo sappiamo bene.

Ma quel che non sappiamo altrettanto bene, invece, sono i crimini che il regime di Franco fece anche negli anni successivi, durante la sua dittatura. Alcuni conosciuti solo di recente. Perché se Hitler ha avuto in Mengele la figura del ‘dottor Morte’, anche Francisco Franco non è stato da meno.

Mi riferisco al suo ‘psichiatra militare’: Antonio Vallejo-Nágera. Passerà alla Storia proprio come “il Mengele spagnolo” per la sua ‘particolare’ direzione dell’ufficio di ‘ricerca psicologica’ di Franco, dopo la guerra civile spagnola (operativo però sin dall’agosto 1938) oltrechè esser stato il primo professore ordinario di Psichiatria all'Università di Valladolid oltre a quella di Madrid. Profondamente razzista e profondamente nazista, colse nel franchismo l’opportunità per esprimere la sua ideologia e metterla tranquillamente in pratica. E il franchismo, sulle orme del fascismo di Mussolini e il nazismo di Hitler, assorbì tutto con facilità ed interesse.

Dal 1939, mentre il mondo si distruggeva nella Seconda Guerra Mondiale, fino a dopo la sua morte, a quella di Franco (20 novembre 1975) e quasi sicuramente ancora negli anni successivi, la Spagna fu teatro infatti di un particolare crimine. E il dr. Antonio Vallejo-Nágera ne fu proprio il riferimento, la guida, il maestro. In Spagna se ne parlò ufficialmente solo verso la fine degli Anni '90 e venne identificato come il dramma dei ‘bambini rubati dal franchismo’ (Niños robados por el franquismo).

Non ci sono, nemmeno oggi, numeri su quanti furono i ‘bambini rubati’ alle loro famiglie e venduti, con la complicità di medici e religiosi. Qualcuno si ferma ai 30.000, altri arrivano forse ad oltre 300.000 bambini. Il tutto in nome della 'Patria, di Dio e della Famiglia', perfettamente coerente col credo fascista del Duce, grande sponsor e sostenitore nella Guerra civile del Caudillo. Saranno ben 78.846 i soldati italiani spediti dopo il 1936 da Mussolini al suo fianco: 6.000 non torneranno a casa e ben 15.000 resteranno feriti.

I bambini rubati non erano altro che neonati tolti a tutti gli effetti (anche di legge) alle loro famiglie, sgradite al regime per motivi ideologici e politici. Il dr. Antonio Vallejo-Nágera aveva inculcato tra gli spagnoli la 'teoria eugenetica dell’inferiorità mentale dei dissidenti', soprattutto se comunisti. E in questo – va detto - la Chiesa di Spagna ebbe una grande partecipazione e una grande colpa. Alla Chiesa per disposizioni di Franco spettava un ruolo fondamentale nell’erogazione dei servizi negli ospedali e nelle scuole. Nacque così un binomio Chiesa-Potere che permise al traffico e alla gestione dei neonati di restare impuniti e di proseguire beati per oltre mezzo secolo.

A far emergere lo scandalo dei bambini rubati fu un’inchiesta della BBC pubblicata nel 2011 a partire dalle dichiarazioni di un padre che in punto di morte confessò al figlio, Jean Luis Moreno, di averlo comprato da un sacerdote a Saragozza nel 1969, per 150 mila pesetas (poco meno di 50 mila euro). Nel 1969: 50 anni fa poco più.

E così’ emersero, come funghi, altri casi, altre denunce. Tra queste quella di una donna, María Bueno, che sul finire del 1981, pochi giorni prima del parto, venne informata dal suo ginecologo privato che la sua bambina era morta e che lei doveva essere subito operata per evitare che il feto le generasse delle infezioni mortali. “Ero così scioccata da quella strana notizia che potevo solo piangere”, racconterà María, in un testo inviato al ‘The Post Internazionale’. “Non riuscivo a dire nulla perché ero consapevole che la mia gravidanza era andata bene in ogni momento”.

Stranamente – racconterà la giornalista d’inchiesta Anna Ditta, nel suo resoconto pubblicato su quel giornale il 10 giugno 2018 - anche se “in pericolo di vita”, María Bueno non venne ricoverata fino alla mattina successiva e nemmeno nella ‘Residencia de la Seguridad Social’ della cittadina di 60 mila abitanti in cui viveva allora, a La Línea de la Concepción, vicino a Gibilterra nell’estremo sud dell’Andalusia. Fu ricoverata invece nell’ospedale municipale, gestito dalle Suore della Carità, una congregazione religiosa e in una stanza privata, da sola e peraltro senza pagare alcuna spesa. Strano anche a quel tempo.

Il 24 dicembre 1981, dopo che il personale medico aveva cercato di indurla al parto per tutto il giorno, María venne portata in sala parto alle sette del pomeriggio. Non ricorda nulla di quei momenti, venne infatti sedata. Al risveglio si accorse che non le era stato praticato un taglio cesareo e mai le fu mostrato il corpo della piccola figlia, sebbene dichiarata morta. Nemmeno ai familiari, già preoccupati dello stato di salute della madre e di fatto preparati al povero destino della piccola, visto le parole precedenti del ginecologo.

Non devono aver passato un bel Natale in quell’anno. Solo molti anni dopo María Bueno ha realizzato quelle scene e capito che esistevano troppi punti oscuri. Erano stati il medico e le suore dell’Ospedale a gestire il tutto, il giorno del parto. Era stato il medico ad informare la sorella di Maria che l’ospedale si sarebbe occupato di tutto e alla forte insistenza di vedere almeno una volta il corpicino della nipote alla fine alla sorella venne mostrato – così scrisse Anna Ditta nel suo articolo - ‘una bambina morta avvolta in un lenzuolo, che lei ricorda “carina e con la faccia tonda”: una descrizione che non corrisponde ad un bambino morto nel pancia materna’.

Ufficialmente venne sempre detto che la piccola era stata sepolta nel cimitero di 'La Línea de la Concepción' il giorno dopo. Ma la mattina di Natale, mentre María si stava riprendendo nella sua stanza, una suora infermiera entrò come nulla fosse nella sua stanza riservata e con grazia le chiese se il neonato le era già stato portato per allattarlo al seno. Come da prassi.

“Ma che bambino? La mia bambina è nata morta” le parole che Maria disse piangendo. La suora rimase quasi colpita e di scatto porse alla madre 'il bambin Gesù di porcellana' che aveva tra le mani dicendo solo “Bacia Gesù bambino, ti consolerà”.

Molti anni dopo, quando le notizie dei bambini rubati cominciarono a prender voce in tutta la Spagna, soprattutto nelle zone in quegli anni più povere e periferiche, anche Maria Bueno iniziò a lottare contro il mondo per sapere il destino della figlia. Scoprirà così che non esisteva nessun documento in merito alla registrazione della sepoltura della sua bambina, non esisteva nessuna registrazione negli archivi ospedalieri del suo ricovero il giorno del parto e nemmeno la nascita della piccola nel registro dell’ospedale.

“Nel certificato dell’anagrafe, che María ha ottenuto dopo aver lottato e atteso quattro mesi, ci sono dati falsi relativi alla data del parto. Si indica inoltre che lei partorì un feto di sette mesi, quando in realtà era al nono mese di gravidanza”. Riprendo le parole della giornalista che non necessitano di ulteriori dettagli.

Maria Bueno è una delle tante donne che stanno ancora oggi cercando tracce dei loro figli o fratelli o sorelle. Anche molti figli, che cercano i loro padri biologici, facendo il percorso opposto. A sostenerli sono nate varie associazioni, diffuse a livello territoriale.

Ci sono casi in cui si cerca la sorella nata nel 1972, dichiarata alla madre, da una suora, come morta e registrata nell’ospedale come viva. Chi ha studiato i casi dei ‘bambini rubati’, gestiti durante il regime franchista ha convenuto che inizialmente erano figli di comunisti o di oppositori politici, mai il business si sviluppò – denaro crea denaro – colpendo soprattutto le fasce più deboli e meno esperte, più povere e meno colte, non in grado di sostenere un’eventuale causa legale. I bambini venivano quindi dati in adozione a famiglie più abbienti. Dopo aver denunciato l’accaduto alla procura, il caso di María finì in tribunale solo nel 2010, senza esiti particolari in merito alla ricerca della figlia.

“Ho due figli, un nipote e il grande sostegno di mio marito, che è la forza che mi sostiene per continuare a combattere e che dedica ore e ore a fare tutto ciò che, per il mio grado di cecità, non posso fare o vedere” alcune sue parole note.

Ma malgrado tutto non si è ancora arresa. a costituito l’ALUMBRA, un’Associazione per la lotta delle madri dei bambini rubati in Andalusia; è stata fondatrice e presidente della Federazione nazionale delle vittime per i bambini rubati in Spagna, chiamata COORDINADORA X-24.

A luglio 2017 ha fondato la Plataforma Foro Internacional de Víctimas por Desapariciones Forzadas Infantiles “Te Estamos Buscando” (“Ti stiamo cercando”) con sede nel Regno Unito e sedi distaccate nei Paesi Baschi, in Navarra, Catalogna, a Valencia, a Madrid e in Andalusia. “Lotto per conoscere la verità sui nostri figli e figlie scomparsi, mi impegno per recuperare parte della storia della mia vita e restituire alla vita il ricordo di mia figlia”.

Questa la sua missione. Maria Bueno anche se non ha mai visto sua figlia, non sa dove sia finita e chi sia diventata oggi coi suoi 40 anni, anche se non l’ha mai conosciuta le ha ugualmente dato un nome. Maria, come il suo. Perché è parte di lei, una parte rubata, una parte mancante.

Poco importa oggi discutere sui colpevoli, nascondere le evidente colpe della Chiesa di Spagna e le foto di Papa Pio XII col generale Franco, difendere il regime franchista. Sarebbe importante che si diventasse tutti più umani e si concedesse alla 'vita' il valore che merita.

Anche il nostro fascismo ebbe gravi, analoghe colpe. Chi conosce la storia del campo di Rab (Arbe) sa bene che a molte donne slave furono sottratti i neonati per poi venderli in Italia a famiglie ricche. Ai tempi del comandante Vincenzo Cuiulli ci furono almeno 30 denunce. Ma erano slavi: razza inferiore per il fascismo.

Solo la conoscenza e la memoria potranno farci crescere come uomini. La Storia insegna, è l’uomo che per davvero non impara. E oggi?

Solo il 14 luglio scorso molti giornali internazionali uscivano con la notizia di quanto dichiarato dalle più alte autorità ucraine che accusavano la Russia di Putin di aver rapito almeno 200 mila bambini ucraini nelle terre occupate del Donbass. A denunciarlo fu lo stesso presidente Volodymyr Zelensky nel suo intervento alla conferenza internazionale dell'Aja sulla persecuzione dei crimini di guerra russi. "E' ancora da stabilire il numero di quanti bambini siano stati rapiti dalle forze russe e portati fuori dall'Ucraina. I dati preliminare sono terribili, circa 200 mila bambini".

Può darsi che la cifra sia stata esagerata ma le prove di ‘rapimenti’ per ‘de-nazificare’ i bambini ucraini esistono e non si possono negare. Per non parlare delle stragi di bambini ucraini, uccisi dai missili e dalle bombe russe, a Kiev e nell’intera Ucraina. Stesso film con altrettanti bambini, vittime innocenti, e con altrettanti vigliacchi carnefici, già girato 80 anni fa su quella terra appena fuori Kiev, coi ‘bambini nudi’ massacrati dai nazisti a Babi Yar (Babyn Yar).

Bambini, gli uomini del domani: il futuro del mondo e così spesso rubati per modificarli e costruirli ad immagine e somiglianza di chi detiene il potere. Perché i bambini hanno sempre fatto paura al potere.

Un giorno Keith Haring, un artista USA molto attivo nel sociale verso i bambini ed in azioni umanitarie verso ospedali ed orfanatrofi, spiegò con due parole in croce perchè fanno così paura: ‘i bambini sanno qualcosa che la maggior parte della gente ha dimenticato’. Non servono – credo - ulteriori dettagli.

1 aprile 2023 – 84 anni dopo

* Coordinatore Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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