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25 marzo 2023
tutti gli speciali

La tortura è una cosa seria
di avv. Antonello Tomanelli *

Alcuni parlamentari di Fratelli d’Italia hanno presentato una proposta di legge per l’abrogazione degli articoli 613-bis e 613-ter del codice penale, che prevedono e puniscono il reato di tortura. Se qualcuno è interessato a capire cos’è tecnicamente il reato di tortura, allora non tenga conto della relazione depositata presso la Commissione Giustizia della Camera da quei parlamentari. Per chi invece conosce già la fattispecie, si prepari a delle grasse risate.

La parte della relazione che desta ilarità è quella secondo cui le norme del codice penale che puniscono la tortura comportano «la pericolosa attrazione nella nuova fattispecie penale di tutte le condotte dei soggetti preposti all'applicazione della legge, in particolare del personale delle Forze di Polizia, che per l'esercizio delle proprie funzioni è autorizzato a ricorrere legittimamente anche a mezzi di coazione fisica».

Ebbene, quelli dicono, «se non si abrogassero gli articoli 613-bis e 613-ter, potrebbero finire nelle maglie del reato in esame comportamenti chiaramente estranei al suo ambito d'applicazione classico, tra cui un rigoroso uso della forza da parte della polizia durante un arresto o in operazioni di ordine pubblico particolarmente delicate o la collocazione di un detenuto in una cella sovraffollata».

La temerarietà di questi parlamentari li spinge a sostenere, sconfinando nel più involontario umorismo, che «gli appartenenti alla polizia penitenziaria rischierebbero quotidianamente denunce per tale reato a causa delle condizioni di invivibilità delle carceri e della mancanza di spazi detentivi, con conseguenze penali molto gravi e totalmente sproporzionate».

Basta leggere la fonte principe di queste norme, ossia la Convenzione ONU contro la tortura firmata a New York il 10 ottobre 1984, e alla quale 200 Paesi si sono uniformati, per invidiare quei parlamentari che, nel consegnare ai commessi della Commissione Giustizia il plico contenente la proposta di legge, sono comunque riusciti a mantenere una faccia seria.

«Ai fini della presente Convenzione, il termine «tortura» designa qualsiasi atto con il quale sono inflitti ad una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche, segnatamente al fine di ottenere da questa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che ella o una terza persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimidirla od esercitare pressioni su di lei o di intimidire od esercitare pressioni su una terza persona». Così recita l’art. 1 della Convenzione di New York.

Dunque, a nessuno può sfuggire il particolare, niente affatto marginale, che tra torturatore e torturato sussiste un rapporto di dominio, tale per cui il primo dispone totalmente del secondo. E che la tortura ha scopi precisi: ottenere informazioni o confessioni, oppure intimidire. I momenti ai quali i timori dei firmatari della proposta di legge si riferiscono sono già belli che passati quando il reato di tortura si realizza.

Non potrebbe mai considerarsi torturatore il pubblico ufficiale che, nell’eseguire un mandato di arresto, usa la forza per impedire che l’arrestato si dia alla fuga. Così come gli agenti di polizia penitenziaria che collocano l’arrestato in una cella satura, ma in esecuzione di un ordine di custodia cautelare della magistratura.

La tortura è generalmente adottata per ottenere informazioni che altrimenti il torturato non fornirebbe mai. Ma esiste anche la tortura gratuita, ossia quella inferta dal classico porcone per mero divertimento. Sono queste, e soltanto queste, le torture che il codice penale, in esecuzione della Convenzione di New York del 1984, vuole punire.

Quanto, nel luglio 2001, gli agenti del carcere di Bolzaneto costringevano i detenuti catturati per le strade di Genova a cantare «Faccetta Nera», mentre i medici della struttura strappavano dalla pelle i piercing con la scusa di curare le lesioni subite negli scontri, commettevano senz’altro il reato di tortura. Così come quei poliziotti della questura di Padova che nel dicembre 1981 sdoganarono la pratica del waterboarding per costringere alcuni appartenenti alle Brigate Rosse a svelare il nascondiglio dove era tenuto il generale americano James Lee Dozier.

Chi vuole equiparare tali simili pratiche al percuotere un manifestante riottoso durante scontri di piazza, o a un malfattore che non vuole farsi arrestare, è in evidente mala fede. E non può sfuggire che tale dolosa confusione ha soltanto lo scopo di depenalizzare proprio quelle condotte che la Convenzione di New York si è proposta di colpire.

* Componente del Comitato Tecnico-Giuridico dell'Osservatorio


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