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24 marzo 2023
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Donne in carcere non abdicano ai propri ruoli
a cura di Graziano Dellacasa *

Le donne in carcere  sono il 4,2% del totale dei detenuti.

Visto il numero limitato di donne, nella gestione degli istituti penitenziari si tende a convogliare le risorse economiche, di personale e di iniziative sulla parte numericamente più ponderante.

Ma per quale motivo le donne hanno un tasso di percentuale molto più basso? Sulla base delle mie osservazioni nei CPI, notai l’impegno femminile nel riscatto di certe forme di stortura della vita che dovevano essere modificate anche solo con la forza di volontà. Vale dire dare fondo alla propria resilienza.

Per quale motivo? Non è nella mentalità femminile accettare una situazione coatta. E' fonte di molte separazioni, immaginiamo una detenzione.

Una mia intervista ad una tossicodipendente (non è accettato il concetto di ex, clinicamente parlando!) che era riuscita a distaccarsi dalla droga ed aveva un lavoro dignitoso, a parte le 60 sigarette fumate in ambiente no smoking, evidenziava una carattere molto determinato quanto veemente in alcuni casi.

Era la sua “chance” di inclusione, consapevole, la viveva così... Una certa comprensione dell’ambiente.
Ciò che però mi aveva focalizzato era il fatto che la sua detenzione fosse per lei solo un passaggio per riscattarsi ed avere un futuro. “Transfert” che non ho mai recepito tra i detenuti maschi.

Di seguito riporto una testimonianza di una detenuta raccolta da Chiara Pizzimenti per Vanity Fair, per poi commentarla:

"Al femminile non c’è possibilità di usufruire del teatro, non c’è possibilità di fare corsi di musica, visto che gli strumenti sono solo al maschile. L’area adibita all’aria non ha palloni utilizzabili... e non dà alcuna possibilità di svolgere attività sportive.
L’area educativa esiste solo al maschile e le detenute sono prive di educatori stabili, con la conseguenza che non vengono redatte osservazioni e sintesi, precludendo l'acceso a misure alternative, con danni gravissimi per le detenute".

Le donne in carcere provengono quasi sempre da una precedente esclusione sociale, da una debolezza economica e culturale: la composizione sociale e giuridica è quella tipica della piccola criminalità marginale. Le pene sono di solito più brevi rispetto agli uomini e ripetute. Molte donne in carcere vengono da situazioni di abusi di cui non sempre si rendevano conto.

Quanto sino ad ora narrato palesa una discriminazione gestionale e culturale nei confronti della detenzione di una donna rispetto ai diritti riconosciuti agli uomini.

Su Atlantia sito, Maria Luisa afferma che ci sono disuguaglianze anche in carcere: "Se hai una famiglia che ha i soldi ti fai il carcere, altrimenti – sottolinea Maria Luisa – fai la fame. Ho visto cosa significa povertà e ignoranza. È un posto dove ti devi fare i fatti tuoi". A Maria Luisa è capitato di sentir dire: "Se domani non mi portano la stessa tuta che hanno portato a te, domani scrivo a casa e ordino di menare tuo padre".

Maria Luisa pone la questione in termini pragmatici: vale dire l’organizzazione e quanto le detenute siano ascoltate. Le frasi sono tipiche di un pragmatismo di chi sa come governare una casa (a prescindere). Pertanto i problemi che evidenzia la popolazione femminile sono molto aderenti ad una realtà che nell’ambito di un carcere forse nessuno immagina.

Di seguito, a mio avviso si riassume ciò che io definisco “la SINDROME COATTA” dove, pur chiudendo in spazi e sottoponendo a disciplina la natura umana in termini di natura biologica, non vengono meno manifestazioni peculiari.

Dal sito del Riformista per l'8 Marzo 2023: (articolo su Le donne in carcere): "Le loro sono storie di resistenza e coraggio nell’affrontare le difficoltà del vivere il carcere da detenuta, fidanzata o madre, privata degli affetti e dell’amore e da moglie di un detenuto. Perché il carcere è un mondo di sofferenza che per una donna è ancora più difficile da sopportare. Eppure la donna resiste, non si arrende, pensa a suo figlio o alla gioia dell’amore ed è così che va avanti. Una lotta perenne che le donne riescono a vincere.
La donna in carcere resta pur sempre una donna!"

Una forte affermazione che riassume quanto sino ad ora raccontato.

Il carcere è una condizione dura ed impegnativa da affrontare; è stata messa in rilievo una certa differenza tra il detenuto donna e uomo. A prescindere dai contesti delle strutture, emerge chiara la resilienza psicologica femminile, che non guarda solamente l’aspetto detentivo ma rivendica la propria di condizione di DONNA, MADRE, MOGLIE.

Ciò che colgo è un forte impegno femminile nel essere sempre legate al sociale, e quindi attente a non subire discriminazioni penalizzanti e non attinenti ai dispositivi della pena.

* Coordinatore della Commissione Carcere e Dipendenze dell'Osservatorio


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