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21 marzo 2023
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Il primo lager nazista
di Rinaldo Battaglia*

Il 22 marzo 1933 – 90 anni fa come oggi - venne aperto e reso operativo il primo lager nazista. 22 marzo, appena 50 giorni dalla presa del potere da parte di Hitler. Bastarono solo 50 giorni, neanche due mesi e come ‘location’ venne scelto Dachau, una piccola cittadina della Baviera a 15/16 km da Monaco, da cui il nazismo ebbe il battesimo. In casa propria insomma, quasi come vanto ed esempio vivente per i propri fans e per gli avversari politici.

Himmler fu chiaro sin dall’inizio presentando il nuovo ‘prodotto’ ai suoi gerarchi e alla Storia: «Mercoledì 22 marzo 1933 verrà aperto nelle vicinanze di Dachau il primo campo di concentramento. Abbiamo preso questa decisione senza badare a considerazioni meschine, ma nella certezza di agire per la tranquillità del popolo e secondo il suo desiderio.» Sempre per la ‘tranquillità del popolo e secondo il suo desiderio’ si dice. Una volta, come ora.

E Dachau fu subito il benchmark a cui riferirsi, a cui il nazismo doveva guardare, il modello da copiare e ed imitare, la scuola da cui imparare.
Secondo dati storici del Museo di Dachau vi vennero deportati oltre 200.000 persone e ben 41.500 lì persero la vita. Certo ci furono lager ben più ‘produttivi’ in termini di morte, ma al di là della quantità a caratterizzare il lager fu la qualità, ossìa il modo in cui si arrivava alla morte.
I deportati al loro arrivo dovevano percorrere una larga strada ben curata, la Lagerstrasse, al termine della quale era situato il cosiddetto Jourhaus, la "porta dell'inferno", il maestoso edificio del posto di comando.

Lo Jourhaus era attraversato nel mezzo da un grande arco d'ingresso al campo, completamente chiuso, a sua volta, da un grande cancello in ferro battuto a due ante; al centro un altro cancello più piccolo che recava la famosa scritta: Arbeit macht frei.
Sarà quello il marchio di fabbrica e non serve conoscere il tedesco per capire che quella era solo una menzogna, come tutto il nazismo tedesco e suo padre il fascismo italiano, da cui Hitler aveva preso totale ispirazione ed esempi da percorrere.

Non è che Primo Levi sia arrivato per sbaglio al suo noto principio: ‘il nazismo in Germania è stato la metastasi di un tumore che era in Italia’.
Principio noto forse per i pochi che con onestà intellettuale hanno studiato il nostro fascismo, ma per nulla assorbito dall’Italia attuale dove ogni giorno si manifestano ricorrenze fasciste e si festeggiano uomini del fascismo. Il Mausoleo di Affile al gen. Rodolfo Graziani, l’ex-idroscalo di Orbetello dedicato pochi mesi fa ad Italo Balbo (tra l'altro storicamente ritenuto il 'mandante' dell'omicidio di Don Giovanni Minzoni, ucciso nella sua Argenta la sera del 23 agosto 1923), le continue richieste di dedicare altre vie o piazze a Giorgio Almirante o Arnaldo Mussolini ne sono solo tragici ed attuali esempi.

Doriano Minigutti, un affermato storico e documentarista udinese , tempo fa fotografò bene la realtà attuale in merito ai crimini nazisti e a quelli fascisti: ”In Germania oggi un tedesco su cinque è a conoscenza dei campi di sterminio nazisti. Uno su cinque. In Italia per essere ottimisti, una persona su mille conosce questo triste pezzo di Storia italiana legato alla Seconda Guerra Mondiale. Uno su mille”.

Esagerato? Ognuno può pensarla come vuole e crede – non siamo sotto il Duce ora per fortuna - ma solo i ciechi possono non vedere. Come da anni non si vedevano o non si volevano vedere le forzature di Putin e i legami con nostri politici. Legami finanziari ed economici, non solo 'teorici'. Basta leggere a ritroso alcuni articoli di giornale per rendersene ampiamente conto.

Arbeit macht frei, "Il lavoro rende liberi". Lo slogan, l’insegna d’entrata di Dachau, in poco tempo venne utilizzato in migliaia di altri nuovi campi, uno più terrificante dell’altro. Il lavoro nei lager non liberò mai nessuno, ma fu usato – sterminando milioni di schiavi - per arricchire il Terzo Reich e gli oligarchi del regime. «Il campo di concentramento di Dachau fu l'unico ad esistere per tutti i 12 anni del regime nazista.

Nei primi anni della dittatura fu il più grande ed il più noto dei campi di concentramento, ed il suo nome divenne ben presto sinonimo di paura e di terrore in tutta la Germania.» come scrissero a più riprese gli storici del Museo.
Fu il primo ad essere aperto ed uno degli ultimi ad esser liberato. Lo sarà solo il 29 aprile 1945 (il giorno dopo il 30 aprile 1945 Hitler si suiciderà) e solo sei giorni prima di Mauthausen, l’ultimo degli ultimi ad esser liberato il 5 maggio 1945.

A Dachau, al momento dell’arrivo della fanteria americana, trovarono - più morti che vivi – ancora 32.335 prigionieri. Numeri pazzeschi. Come furono numeri pazzeschi l’entità dei morti del lager: 41.500 si diceva. Peraltro non è dato a sapersi con certezza, ma probabilmente tra le vittime non furono mai considerati i morti del cosiddetto ‘Massacro di Dachau’.

Nel giorno della liberazione del lager da parte delle truppe USA almeno 300 guardie naziste delle Waffen-SS, che si erano già arrese, vennero ugualmente uccise con estrema violenza dai ‘liberatori’, traumatizzati ed inorriditi per le condizioni dei deportati del campo. Sembra che persino ad un certo punto si fosse iniziato ad uccidere le guardie una ad una, senza alcuna considerazione e tanto meno processo.

Quel giorno le guardie dovrebbero essere state non meno di 550. Erano le più giovani ed inesperte essendo le altre tutte già scappate, ragazzi molti di 17-18 anni, allevati alla morte, i ragazzi mandati allo sbaraglio, quelli della famosa ‘Hitlerjugend’.

Fu permesso ai prigionieri, chi di loro era in grado fisicamente di farlo, di vendicarsi liberamente: venne ritenuto un loro diritto. Ci furono esecuzioni, linciaggi, saccheggi delle abitazioni degli ufficiali – ovviamente già lontani -. Solo qualche giorno dopo, anche per sedare il clima da ‘resa dei conti’, dove le vittime di prima si comportavano ora come i propri aguzzini, il gen. Ike Eisenhower fece sfilare nel lager la popolazione civile tedesca, fino allora totalmente indifferente se non complice.

Delle S.S. massacrate dopo la resa nessuno disse nulla, se non molto di recente spulciando documenti e rivelazioni dell’epoca, non sempre coerenti con le parole sbrigative pronunciate allora dal Comandante in capo delle Forze Alleate: "Le nostre forze hanno liberato Dachau, un campo di concentramento tristemente famoso. Sono stati liberati circa 32.000 prigionieri e 300 SS a guardia del campo sono state rapidamente neutralizzate." Pochi giorni dopo l’’8 di maggio con la firma della resa nazista, la Seconda Guerra Mondiale, in Europa, era ufficialmente finita, come sanciscono tuttora i libri di Storia.

Dachau resta però il primo emblema dell’odio razziale, dell’ipocrisia della guerra, della ragione di Stato divenuta scusa per aggredire ed uccidere chi si riteneva di ostacolo alla propria ‘gloria’, al proprio spazio vitale, senza tener conto dei diritti degli altri, fossero civili o Stati indipendenti.

Un emblema col copyright non solo tedesco, ovviamente. L’Italia di Mussolini non fu di meno . ‘Per il fascismo la tendenza dell’impero, cioè all’espansione delle nazioni, è una manifestazione di vitalità; il suo contrario, o il piede di casa, è un segno di decadenza’.

Ricorda qualcosa al giorno d’oggi?

Hannah Arendt con due parole in croce aveva spiegato il senso della guerra e le sue eterne motivazioni. Una volta, come ora: “La guerra non restaura diritti, ridefinisce solo poteri”.

Il 22 marzo 1933 – 90 anni fa - si apriva il primo lager e - di fatto - ci si organizzava per la grande nuova guerra mondiale, quando saremo in grado di chiudere la nuova guerra in Europa prima che diventi mondiale?

Siamo per mantenere e rafforzare i diritti o per ridefinire solo nuovi poteri calpestandolo i diritti di altri?

22 marzo 2023 – 90 anni dopo - Rinaldo Battaglia (liberamente tratto da ‘Non ho visto farfalle a Terezìn’ - ed. AliRibelli - 2021)

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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