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Per chi suona la campana dell'Oria?
di
Rinaldo Battaglia*
Pochi conoscono appieno, nella tragedia degli IMI, l’ulteriore tragedia di chi doveva diventare IMI – nel senso che rifiutò di restare fedele a Mussolini dopo l’8 settembre ’43 - ma che non lo diventò. Nel senso che non raggiunse mai i lager nazisti.
Mancarono i testimoni a raccontarlo.
Parlo dei fanti, dei bersaglieri, degli uomini della 'Donizetti' partita da Rodi il 23 settembre 1943 coi suoi 1.600 morti, parlo dei 720 'dell’Ardena' da Cefalonia, dei 1.300 della 'Roselli' da Corfù, dei 544 della 'Marguerita' o della 'Sinfra' coi suoi 1.850 morti salpata da Creta a metà ottobre. E potrei proseguire.
In un paio di mesi affondarono in mare 13.000, forse 15.000 nostri soldati, imprigionati dai tedeschi e spediti via mare verso la Germania.
Solo che gli inglesi non lo sapevano e quando vedevano navi tedesche si eccitavano. Avevano troppe croci sepolte sulla Manica da vendicare.
Tredici-quindicimila nostri soldati che si unirono in fondo al Mediterraneo con i mille Alpini del Gemona, annegati col 'Galilea' due anni prima.
Un’altra generazione buttata nel water, come fogli di carta igienica, dopo l’uso.
E peggio sarà ad inizio ’44 con la vicenda più disastrosa: quella della 'Oria', caricata piena di prigionieri oltre ogni possibilità tecnica, oltre ogni limite, ben sapendo delle pessime condizioni del mare, con una tempesta in arrivo.
Ma tanto anche se quelli morivano per i nazisti era lo stesso: in fondo al mare o dentro un lager cosa cambiava?
Erano solo 'badoglien', solo 'traditori'.
Il comandante norvegese Rasmussen non voleva assolutamente quel giorno intraprendere la navigazione, sia per le pessime condizioni meteorologiche ma anche perché era arrivata la notizia che pochi giorni prima, a Creta, nella baia di Suda, un altro piroscafo, il 'Petrella', era stato silurato dal sommergibile britannico 'HMS Sportsman', causando oltre 2.500 morti fra i 4.000 militari italiani che stava trasportando verso i lager nazisti. Ma sia il comandante che tutto l'equipaggio norvegese erano prigionieri di guerra e dovevano eseguire gli ordini dei nazisti e delle tre navi torpediniere tedesche di scorta (la TA 16, TA 17 e TA 19).
L’Oria era un piroscafo norvegese sequestrato dai nazisti dopo l’invasione del paese, passato alla compagnia tedesca Mittelmeer Reederei GmbH di Amburgo, che venne appositamente scelto per il trasporto dei prigionieri italiani.
L'11 febbraio del 1944 partì da Rodi diretta al Pireo, con a bordo 4046 militari internati (43 ufficiali, 118 sottufficiali, 3885 soldati): se ne salvarono solo 37. Conoscere i loro gradi credo non serva a nessuno.
Il giorno dopo, alle 18.45 del 12 febbraio 1944 la campana dell'Oria scandì i suoi ultimi rintocchi. Per sempre.
Queste le prime notizie che cominciarono subito a girare in Italia:
‘Si conferma che una grossa nave proveniente da Rodi, con 5.000 prigionieri, è affondata poco fuori dal Pireo per avere urtato, in una notte tempestosa, contro una scogliera. Solo una trentina sono i superstiti”. (dal diario di Luigi Sassi).
Ma peggio fu il racconto di Aldo Percivale, uno dei 37 superstiti del naufragio, ai suoi familiari:
“Rodi: era l’11 febbraio 1944. Il mio reggimento era stato fatto prigioniero dai tedeschi il 13 settembre 1943 e dopo mesi ci stavano imbarcando su un piroscafo per trasferirci in un campo di prigionia: non so esattamente dove, ma so che da Rodi eravamo diretti al Pireo di Atene. Di bocca in bocca avevamo saputo che il piroscafo era norvegese: era conciato talmente male che a salire là sopra bisognava proprio esserci costretti. Ci guardavamo attorno e ci chiedevamo come avrebbero potuto caricarci tutti, ma i tedeschi continuavano a farci salire, e nel frattempo caricavano barili e un sacco di altra roba.
A un certo punto nella fila che mi scorreva a fianco ho riconosciuto un certo Rizzo (l’esattezza di questo cognome non è certa) originario delle mie parti, anche se non proprio del mio paese. Lui mi ha riconosciuto a sua volta e subito mi ha fatto segno di passare nella sua fila per stare insieme, che tanto ormai la nostra appartenenza a questo o a quel reggimento non aveva più importanza. Io ci ho pensato un attimo, poi gli ho risposto di no: avevo deciso di rimanere lì dove mi avevano messo qualunque fosse stato il mio destino.
La mia fila è stata fatta salire sul ponte della nave, l’altra fila letteralmente cacciata nelle stive. Li hanno chiusi là sotto come topi in gabbia. Noi almeno potevamo respirare. Non riuscivo a togliermi dalla testa il pensiero di quei poveretti là sotto. Forza ragazzi, forza, ripetevo: a me, a loro, e a tutti quelli che avevo vicino.
Per i tedeschi non eravamo più soldati e neanche uomini, ma soltanto traditori. Meritavamo di essere trattati nel peggior modo possibile, e se stavamo ammassati, schiacciati uno contro l’altro, senza mangiare né bere, ancora grazie, che invece avrebbero dovuto fucilarci tutti. Questo era quello che ci dicevano i nostri ex-alleati, e per loro ogni angheria nei nostri confronti era giustificata. Quando il piroscafo si è mosso era quasi buio: abbiamo lasciato Rodi. Faceva freddo e il mare era piuttosto agitato: noi stavamo là in mezzo alle onde, senza poterci muovere, incastrati, un po’ a farci coraggio, un po’ muti nella nostra disperazione. C’era chi stava male, e nessuno poteva far niente per nessuno.
Poi nella notte si è scatenata la tempesta; vento e pioggia fortissimi hanno investito il piroscafo che ha iniziato a imbarcare acqua. Sembrava il diluvio. Io credo che tutti, proprio tutti avessimo la certezza che stavamo affondando; poi c’è stato il boato dello schianto, il rumore del mare, le grida e l’acqua che mi entrava in gola.
Per un po’ ho cercato di nuotare, ma verso dove? Galleggiava di tutto, e io mi sentivo pesante come se avessi avuto le tasche piene di pietre. La forza del mare era troppo per me, non ce l’avrei mai fatta.
All’improvviso, quando ero sul punto di arrendermi, mi sono reso conto che con i piedi avevo toccato terra. Mi sono trascinato a riva e lì ho capito che non ero solo: c’era un altro soldato vivo, vicino a me. Ci siamo tirati su, ci siamo abbracciati, poi abbiamo cominciato a camminare insieme, cercando una direzione da prendere nel buio più totale.
Quando ho sentito una mano afferrarmi per un braccio ho pensato “ecco, ci hanno già preso”, invece era un greco, un uomo dalla corporatura robusta, con una folta barba nera. Forse un pescatore. Ci ha fatto capire di andare con lui, e noi siamo andati.
Ci ha portati in una abitazione, dentro a una grande stanza con un fuoco acceso, e attorno al fuoco ho visto una decina di altri scampati al mare, nudi, che si asciugavano come potevano. A tutti il greco ha dato da bere del vino resinato e qualcosa da mangiare. Io non dimenticherò mai quell’uomo per quello che ha fatto per noi, e gli sarò riconoscente per sempre. I greci sono brave persone; anche a Rodi se potevano ci aiutavano. Il giorno dopo sono arrivati i tedeschi e ci hanno ripreso in consegna. Dovevamo raccogliere i morti e seppellirli.
Non si finiva mai: ce li ho ancora davanti agli occhi. Abbiamo scavato fosse e seppellito morti per una settimana. In seguito, sempre prigioniero dei tedeschi, ho rischiato più volte di essere fucilato, ho subito umiliazioni di ogni tipo, ho patito la fame di continuo, giorno e notte, ho mangiato qualsiasi cosa e gli altri come me. Sono riuscito a scappare, ho camminato per giorni interi, poi mi hanno ripreso e riportato indietro.
Quando finalmente sono ritornato a casa, il giorno seguente mi sono immediatamente recato dalla famiglia di Rizzo per dire quello che sapevo, e cioè che il loro figlio era finito nelle stive di quella maledetta nave e se non fosse più tornato era perché non ce l’aveva fatta”.
Aldo Percivale era un IMI di Busalla (Genova), classe 1922. La sua testimonianza è stata raccolta dalla moglie Caterina e dalla figlia Graziella, dopo la sua morte avvenuta nel 2007.
Un altro IMI, un altro eroe, un altro antifascista.
Se avete da qualche parte una via o una piazza senza nome ricordatevi della campana dell’Oria e dei suoi martiri. Il suo suono merita ancora di esser sentito, specie nel silenzio assordante dell’Italia di oggi. Quella che preferisce dedicare vie o mausolei ai carnefici invece che alle vittime, perché oppostesi al regime di Mussolini.
E la campana dell’Oria continuerà a suonare per chi crede nel valore ‘educativo’ della Storia. Proprio quello che da noi molti temono.
12 febbraio 2023 – 79 anni dopo – Liberamente tratto da ‘Come fogli di carta igienica’ - ed. Albatros - 2019
* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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