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Shoah: i bambini di Bialystok
di
Rinaldo Battaglia*
Il 24 agosto’43 a Terezìn arrivarono in treno 1.260 bambini, quasi tutti tra i 6 e i 12 anni. Spaventati, terrorizzati, in condizioni disumane e, come scritto da qualche superstite di Terezìn ’deplorevoli’.
Erano già morti che camminavano e talmente impresentabili, con gli occhi fuori dalle orbite, che ‘lagerkommandant’ Burger non volle ‘mischiarli’ con gli altri bambini del lager. Vennero solo lavati nelle docce pubbliche della ex-caserma, ma il bagno per quei bambini fu solo un trauma. Già conoscevano cosa voleva dire ‘fare la doccia’ e credevano di esser giunti ad Auschwitz. Vennero così isolati e sistemati in alcune baracche di legno fuori dal campo, dove un tempo vivevano alcuni contadini durante la stagione del raccolto, e per quanto possibile rivestiti e alimentati.
Burger scelse 53 ‘volontari’ del campo (ossia deportati che fungevano da medici, assistenti o infermieri o che avevano praticato prima della deportazione), uno ogni 24 bambini, volontari scelti con la forza dalle S.S. e ‘costretti’ ad accudirli, vivendo assieme a loro nelle baracche. Sotto l’attenta guardia della Ghettowache. Tra i volontari vi era anche Ottilie (Otylia), la sorella minore di Franz Kafka.
Si racconta di continui pianti, amare grida o forti richieste da parte dei bambini, specie i più piccoli, di ritornare a casa, anche a mezzo di piccole pregiate poesie, poi recuperate.
I 1.260 bambini e i 53 volontari resteranno lì fino al 5 di ottobre, giorni in cui in Danimarca la popolazione compatta reagiva al crimine nazista. Quel giorno da Terezìn partì un convoglio di 1.249 ebrei. 53 erano i ‘volontari’ e 1.196 i bambini sopravvissuti dopo l’arrivo di agosto. Arriveranno tutti il 7 di ottobre e subito gasati. Andarono così a raggiungere gli altri 64 bambini morti nel frattempo.
Anche Ottilie accompagnò i piccoli, che aveva avuto in custodia, fin dentro la doccia di Auschwitz, quella di cui avevano sentito parlare e che tremendamente li spaventava. E avrà, con umanità, dato la risposta a chi si domandava se sarebbe un giorno ritornato a casa. Credo, con poesia e dignità.
Ma chi erano quei 1.260 piccoli martiri? Perchè erano così mostruosamente terrorizzati?
E come mai vennero parcheggiati a Terezìn per 42 giorni? Avevano visto prima l’inferno?
Sì, certamente sì. Avevano, con i loro piccoli occhi, visto al lavoro la belva nazista, aiutata dai fascisti del luogo, delle vicine Ucraina e Bielorussia soprattutto.
Il 17 agosto’43 Himmler ordinò la liquidazione totale del ghetto ebraico di Bialystok, una città industriale della Polonia Orientale. Con l’operazione Barbarossa, due anni prima, Hitler aveva lì fatto deportare tutti gli ebrei, non ancora subito uccisi sulla strada per Mosca. Ne erano stati presi almeno 40.000 e subito schiavizzati nell’industria bellica nazista e tenuti in condizioni, a dir poco infernali.
Bialystok, inizialmente presa dai sovietici dopo la divisione della Polonia col patto Molotov-Ribbentrop, cadde sotto i tedeschi il 27 giugno ‘41. Quel giorno, passato alla storia come il ‘venerdì nero’, nel vecchio ghetto ebraico entrarono squadre speciali delle S.S. (il famigerato Einsatzkommando) ed in poche ore uccisero almeno 2.200 persone. Erano soltanto 700 quelle rifugiatesi coi bambini nella sinagoga, chiusa nelle porte e poi incendiata.
Nelle settimane successive (dal 3 luglio al 12) fu un massacro quotidiano, con almeno 4.000 vittime e addirittura con la presenza di Himmler ed Eichmann per la ‘verifica’ del lavoro. Il massacro proseguì con la continua selezione di chi non riusciva a produrre. Solo in una settimana, nel settembre ‘41, quasi 5.000 ebrei, non più abili a certi ritmi di lavoro, vennero uccisi. E dove non riuscivano i nazisti, ci arrivava la fame.
Nel febbraio ‘43, a seguito anche di tentativi di rivolta degli ebrei, avvenne un forte rastrellamento con 10.000 subito deportati a Treblinka e 2.000 morti. Mesi dopo, con l’arrivo per ordine di Himmler del nuovo Kommandant, Odilo Globocnik, il nazista nato a Trieste e per un certo periodo poi Responsabile della Risiera di San Sabba, si procedette alla totale ed immediata liquidazione del ghetto, col trasferimento a Lublino.
Gli ebrei reagirono come meglio potevano e per 5 giorni, dal 16 al 21 agosto resistettero. Passerà sui libri di storia come la ‘rivolta del ghetto di Bialystok’, vero orgoglio per gli ebrei.
Alla fine Globocnik ordinò che, a parte qualche migliaio di uomini ancora ‘produttivi’, tutti gli altri fossero spediti nei lager di sterminio. Solo il primo altro viaggio a Treblinka aveva 7.600 disperati. Partirono molti altri treni, anche verso Majdanek e Auschwitz, prima che fosse dato inizio alla famosa ‘festa del raccolto’ e uccidere chi era rimasto.
Quando il 27 luglio ‘44 a Bialystok arriverà l’Armata Rossa troverà ancora vivi, almeno fisicamente, non più di 400 persone, contro i 60.000 che vi abitavano prima dell’invasione della Polonia. Oltre a coloro che lì si erano rifugiati, scappando dai paesi vicini.
Ma Himmler era sempre Himmler, criminale, sadico, spietato.
Volle prelevare, prima della distruzione finale del ghetto, 1.260 bambini da usare molto probabilmente quale ‘merce di scambio’ e, in attesa di ‘trattare’, parcheggiarli a Terezìn.
Terezìn, nell’immaginario collettivo a quel tempo, restava sempre - per chi doveva gestire
la trattativa come controparte di Himmler – il ‘paradise-ghetto’, quello delle oche bianche e delle terme salubri. Una garanzia, insomma.
Ma di che trattativa si stava parlando? E con chi?
Non ci sono molte certezze. Del resto quando il gioco è sporco, poco si lascia scritto. E quando si usano 1.260 bambini di età inferiore ai 12 anni, il gioco non può che esser sporco oltreché diabolico e disumano.
Si parla di un contatto avviato con gli Inglesi per scambiare materie prime, necessarie ai tedeschi (carenza sentita ancora prima delle problematiche con la Svezia) e di liberazione di prigionieri nazisti in mano agli Alleati. Non vi sono però certezze.
Probabilmente con l’azione in Danimarca, Himmler da criminale quale era, sentì il bisogno di sfogarsi e tacitare l’odio che come niente gli nasceva dentro. Ordinò così a Burger di preparare subito il treno e caricare tutti, bambini ed accompagnatori, verso le camere a gas.
E tutti, il lagerkommandant Burger da primo, obbedirono.
Nessuna di quelle 1.260 piccole creature ritornò a casa.
24 gennaio 2023 - Liberamente tratto da ‘Non ho visto farfalle a Terezìn’ ed. AliRibelli – 2021
* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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