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23 gennaio 2023
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Shoah: "Si prega di non parlarmi più di ebrei"
di Rinaldo Battaglia*

Dall’autunno 1943, durante la Repubblica di Salò non mancarono i delatori locali ed una famiglia ebrea di padre, madre e due figli - come la mia, per esempio, se fossi stato di origine ebrea - si ‘vendeva’ nella mia zona per 10.000/12.000 lire, quando il salario medio annuo di un operaio era di 4.238 lire e lo stipendio di un maestro tra le 9.000 e le 13.500 lire (annuo).

Se io fossi stato ebreo e vissuto a 30/40 km più sotto dalla mia attuale residenza o 20 km da dove sono nato e cresciuto e fossimo nell’inverno 1943, questo era il valore della mia famiglia, il mio ‘prezzo'.
E sarei stato venduto agli uomini di Mauro Grini probabilmente da amici per ‘fame’, probabilmente per dare qualcosa da mangiare ai loro figli. E sarei finito nel campo per ebrei di Vo’ Vecchio, non lontano da dove sono nato, e poi spedito al momento giusto alla Risiera di San Sabba e ad Auschwitz. Mia madre era nativa di Sossano a neanche 10 km.

Ma era tutto legale, tutto giusto, tutto secondo le leggi del Duce. Secondo la Carta del 17 novembre 1943 gli ebrei erano i nemici (art. 7) come gli austriaci 25 anni prima a Bassano o sui monti di Asiago. Secondo l’ordinanza del Duce n. 5 del 30 novembre ‘43 dovevo essere arrestato subito, in quanto ebreo e quindi nemico.

Secondo il decreto del Duce del 4 gennaio ‘44 i miei beni, come la mia casa, sarebbero dovuti esser sequestrati e poi confiscati e cioè venduti agli amici del fascio. E con soldi ricavati si sarebbero pagate alle delazioni, altri arresti, altri sequestri e confische. Secondo il decreto del Duce del 28 gennaio ‘44 nessun ebreo italiano avrebbe potuto possedere nulla, nemmeno le sinagoghe, le biblioteche o qualsivoglia bene in capo alle comunità ebraiche.

Tutto aveva un prezzo.
Vi siete mai chiesti quale sarebbe stato il valore della vostra famiglia, di vostra moglie e dei vostri adorati figli?
Fatevi la domanda, perché tutto aveva un prezzo.
E per rendere meglio l’idea ‘dell’appeal’ del sistema improntato dai nazi-fascisti nel Nord Italia ai tempi di Salò, vi anticipo che un senatore del Regno – la massima carica fino all’8 settembre ‘43 – guadagnava dalle 20.000 alle 25.000 lire annue (oggi non meno di 120.000-150.000 euro).

Un ebreo maschio mediamente prezzato allora 3.000/5.000 lire, oggi ‘varrebbe’ quindi sui 20.000/25.000 euro. Una classica famiglia di 4 persone: oltre 50.000/60.000, forse 70.000 euro. Non poco neanche oggi. A Trieste città di Mauro Grini per alcuni ‘uomini ebrei capo-famiglia’ si arrivò persino a sborsare, nel 1944, anche 7.000 lire cadauno. A Venezia, il 5 dicembre ‘43, 5.000 lire per una donna anziana. Nel mercato settimanale delle vacche - c’è da giurarci - probabilmente a quel tempo vi era più dignità.

Questa era la Shoah di casa nostra. Questo era il fascismo del Duce. Se poi ‘abbia fatto anche cose buone’... è tutto storicamente da discutere. Ma è facile vendere, nell’ignoranza generale, l’opposto. Ma questi erano i ‘prezzi’ del ‘basso’, del ’retail’.
In ‘alto’, nei vip, tra i meandri del Duce, tra i ranghi del fascismo, gli ebrei valevano molto di più. Fruttavano molto di più. Chi conosce bene il crimine fascista non può non sapere ad esempio chi fosse Antonio Le Pera - braccio destro del ministro Buffarini Guidi, l’Himmler di ‘casa nostra’ – ‘Totò’ per gli amici, quello che nel suo ufficio di Roma, quale Direttore Generale del Ministero dell’Interno, sulla porta aveva una scritta eloquente ‘Si prega di non parlarmi di ebrei’.
‘Non parlarmi’ per modo di dire. Nel senso che se tu fossi stato ebreo o avessi rappresentato un ebreo facoltoso, tutto cambiava. Dipendeva dal ‘quantum’.

Si racconta che quando un famoso banchiere ed industriale bolognese, quale Giacomo Beraha che oltre ad esser di origine greca era soprattutto ‘ebreo’, voleva incontrare per ‘salvarsi le spalle’ il Direttore Le Pera, tramite il suo avvocato Domenico Larussa, ad ogni incontro dovesse ‘depositare’ cash 10.000 o talvolta 15.000 lire. E di ‘incontri’ ne servivano molti in quel tempo. Peraltro a gestire gli incontri medesimi con ‘gli ebrei da favorire’ era più delle volte l’amante stessa di Le Pera – Celestina Zatini - donna che ‘amava la vita mondana ed elegante’ e che presentava solitamente solo chi poteva garantirle ‘denaro e pellicce’.

Questa era la Shoah di casa nostra. Questo era il fascismo del Duce. Se poi ‘abbia fatto anche cose buone’ ...è tutto storicamente da provare. Ma è facile nascondere, nell’ignoranza generale, tutto questo.
Per non parlare del ‘fascista doc’, poi segretario del PNF ai tempi di Salò, Roberto Farinacci. Quello che, inadeguato al lavoro e allo studio, per laurearsi avvocato dovette comperarsi una tesi di altri e sebbene - a suo dire -’nato povero’, stando all’inchiesta dell’OVRA e della ‘Finanza’ del Duce già nel 1938 al momento dell’entrata delle Leggi Razziali, di cui fu grande sostenitore, godeva di un patrimonio di 614.627.000 lire.
Ricordo che essendo senatore del Regno, Farinacci nel 1938, guadagnava ufficialmente 20-25.000 lire annui (quindi parliamo di 25.000 anni di ‘reddito’ senza spendere mai nulla).

Stando a documenti trovati nel dopoguerra negli uffici dell’OVRA, la Polizia segreta di Mussolini, (cfr.Ministero dell’Interno, Polizia politica, fasc.pers. - b. 878 -bb. 29/34/a – come bene indicano gli storici Mauro Canali e Clemente Volpini in ‘Mussolini e i ladri di Regime – Mondadori) un ‘notissimo ebreo’ di Parma, grande industriale e facoltoso proprietario – Giuseppe Muggia – pagò per ‘esser lasciato in pace’ - come poi avvenne – 2.000.000 di lire a Farinacci, come ‘tariffa fissa’.
‘E’ una cifra rilevante, ma Muggia sicuramente può permettersela. E’ un imprenditori multimilionario, che si occupa di trasporti pubblici e costruzioni’. Queste le parole di Farinacci in merito.

E ovviamente, il caso Muggia fu solo uno dei tanti casi di ebrei ‘facoltosi’ italiani, che riuscirono a salvarsi ‘pagando’. Tanto che alternative avevi: San Sabba, Fossoli, Auschwitz? Ti avrebbero derubato lo stesso di tutto, ti avrebbero depredato di ogni cosa lo stesso. Te e la tua famiglia, te e i tuoi figli. Anche se neonati o anche se non fossero ancora nati, come il caso si Leo Mariani a Venezia il 5 dicembre 1943.

Questa era la Shoah di casa nostra. Questo era il fascismo del Duce. Se poi ‘abbia fatto anche cose buone’... è tutto storicamente da studiare. Ma è facile predicare, nell’ignoranza generale, anche in questi anni, chi è stato lo statista più importante del secolo scorso. Anche da parte di chi guida il nostro governo. Il 13 dicembre 2022 a Roma ha chiamato giustamente le leggi razziali come 'leggi infami' ma non ha detto che a promulgarle e firmarle fu un certo Benito Mussolini, ha propagandarle un certo Giorgio Almirante dal 20 settembre 1938 direttore di 'La difesa del razza', organo razzista ed antisemita del regime che veniva letto a scuola per ordine del ministro Bottai. Così la generazione di mio padre nasceva razzista ed antisemita.

E non ho visto giornalisti quel 13 dicembre chiedere lumi al Primo Ministro su quella 'mancanza'. Anche quello per me è fascismo. Come ai tempi del 'Si prega di non parlarmi di ebrei'. Questione di opinioni, questione di feeling, questione di conoscere la storia e scegliere da che parte stare. Senza se e senza ma. Perchè come dice, ancor oggi, lo storico Alessandro Barbero: “la storia è la capacità di studiare capendo le ragioni degli uni e degli altri, senza paura di dire che qualcuno ha più ragione”.

Non meravigliamoci se nell'ultima analisi Eurispes, in Italia nel 2020, ben il 15.6% non crede alla Shoah. Un italiano su sei. A pensarci bene c'è da vergognarsi ad essere italiani sotto questo profilo e nessuno che si chieda a chi serve questa ignoranza. Ben venga la Giornata della Memoria e che faccia 'memoria', se non per gli italiani di oggi almeno per gli italiani di domani. Questione di opinioni, questione di ‘propria coscienza’.

22 gennaio 2023 – liberamente tratto da ‘Non ho visto farfalle a Terezìn' – ed. AliRibelli – 2021

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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