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29 dicembre 2022
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Memoria: indietro
di Rinaldo Battaglia*

“Il mondo va veloce e tu vai indietro”.

In questi giorni leggendo alcune pagine dei quotidiani, quasi inconsciamente, mi è venuta in mente questa canzone di Tiziano Ferro col suo ‘refrain’ principale. E nel ricordarla ho sognato come non fosse stata scritta dall’autore riferendosi ad una sua storia personale, ma rapportandosi all’attualità del nostro ‘anomalo’ Paese. Di solito i poeti o gli scrittori sono dei veggenti.
Strano a dirsi. Ma poi forse neanche tanto.

Il giorno dopo Natale, il 26 dicembre il Presidente del Senato – seconda carica dello Stato – il sen. Ignazio La Russa e la sottosegretaria alla Difesa, on. Isabella Rauti, hanno pubblicamente onorato il 76° anniversario della nascita del Movimento Sociale Italiano, movimento, o meglio partito, peraltro già defunto dal gennaio 1995.

Onestamente, a mia memoria, faccio fatica a ricordare casi analoghi di festeggiamenti in ricorrenza alla nascita di un partito politico. Forse dobbiamo andare indietro di molti decenni, quando le ideologie erano ancora ‘credute’ o spostarci all’estero ai tempi del PCUS di Bresnev o Cernienko o attualmente a regimi poco o per nulla democratici. In gran parte comunque tutti movimenti ‘vintage’ passati alla Storia.

L’on. Rauti ha parlato di "radici profonde che non gelano mai" nel ricordo di suo padre Pino Rauti, tra i primi ad aderire al MSI. Il Pres. Ignazio La Russa ha voluto, invece, celebrare in nome di suo padre "che fu fra i fondatori del Movimento Sociale Italiano in Sicilia e che scelse il MSI per tutta la vita, la via della partecipazione libera e democratica in difesa delle sue idee rispettose della Costituzione italiana".

Siamo in democrazia – peraltro quella nata dalla sconfitta e dalla macerie lasciateci dal fascismo, riferimento mai nascosto e a cui i fondatori del MSI si rifacevano apertamente – e pertanto è lecito manifestare come, quando e cosa si vuole. Magari visto il loro ruolo istituzionale diventa una questione più di opportunità o di rispetto per la Storia del Paese e di tutti coloro che hanno sofferto le violenze, fisiche e morali, del passato regime fascista. Penso agli ebrei italiani, ad esempio. Ma non solo.

Ma qualche domanda sorge spontanea: che senso ha festeggiare il 76° anniversario? Personalmente non ricordo quello dei 70 o 75 anni. Anche perché il MSI sin dalla nascita si è dichiarato d'ispirazione neofascista o post-fascista.
E non poteva esser diversamente se fondato in quel 26 dicembre 1946 da reduci della Repubblica di Salò e/o ed ex esponenti del regime fascista, come Giorgio Almirante, Pino Romualdi o da personaggi di primo piano nella lotta in società coi nazisti, come Rodolfo Graziani o Junio Valerio Borghese.

E non poteva esser diversamente se il simbolo usato fosse stata la fiamma tricolore, scelta ed identificata dallo stesso Almirante in quella che arde sulla tomba di Mussolini a Predappio o se, già dai primi discorsi nostalgici, si disse che l'MSI era nato «in opposizione al sistema democratico per mantenere viva l'idea del fascismo».

Tutti programmi, dichiarazioni, discorsi sempre troppo spesso sottovalutati dall’opinione pubblica italiana. Ma del resto in Italia la memoria è sempre stato un optional ingombrante e ci si dimentica con facilità che il fascismo è stato un regime illiberale, socio e alleato del nazismo, razzista ed antisemita, capace di produrre per la War Crimes Commission dell’ONU (4 marzo 1948) ben 1.385 criminali di guerra.

La stessa ‘celebrazione’ di Pino Rauti – al di là del comprensibile affetto della figlia - meriterebbe un’analisi più ampia e storicizzata o meno di parte. Era un nome spesso presente negli anni della ‘strategia della tensione’. Fu anche il co-fondatore di Ordine Nuovo (che per ordine del ministro Paolo EmilioTaviani, nel 1973, sarà per legge sciolto in quanto 'organizzazione che minacciava la Repubblica', e organizzazione accusata nella Strage di Piazza Fontana). Fu coinvolto personalmente nella Strage della Loggia di Brescia (ma su questa strage Pino Rauti alla fine verrà assolto in via definitiva, tra mille perplessità). Sarà molte volte accusato di forti legami coll'estremismo neo-fascista.

Sorprende poi, oggi, il senso del riprendere il discorso sul MSI che non esiste più dal gennaio 1995, con la nota ‘svolta di Fiuggi’ e lo scioglimento conseguente del partito e la nascita di Alleanza Nazionale. L’operazione non era solo maquillage politico ma, come la presentò l'allora segretario Gianfranco Fini, una scelta operata per abbandonare i riferimenti ideologici al fascismo con lo scopo di qualificarsi come forza politica legittimata a governare. Come poi avvenne nei governi di Cdx a guida Berlusconi.
Celebrare il 76° anniversario significa ritornare ante svolta di Fiuggi? Chissà?

Nello stesso giorno del 26 dicembre, in Austria nella città di Linz, una delle principali – dopo casi similari nelle città di Graz e Klagenfurt – fu pubblicizzato il fatto che l’amministrazione aveva deciso di sostituire il nome di una via, sebbene secondaria e alquanto periferica, con un altro meno ‘pesante’.

E non fu una scelta casuale, dettata da un momento negativo, da spinte elettorali o chissà cosa. Era stata individuata da tempo una commissione di storici ed incaricata di esaminare il passato di ben 64 persone, a cui erano state intitolate vie della città, in gran parte nell’immediato dopoguerra. A conclusione dei suoi lavori, la commissione ha raccomandato di cancellarne il nome soltanto a quattro, escludendo i minori per ‘peso’ o ‘valenza’.
Tra questi 4 primeggiava un nome e su quello si è dato subito ordine di sostituzione. Quella zona non può ora più chiamarsi “Porscheweg”, ossia Via Porsche. Quel nome è considerato fuori tempo, non più adeguato, forse oggi offensivo.

Ovviamente qui si parla di Ferdinand Porsche o meglio dell’ing. Porsche. Che peraltro non era nemmeno austriaco bensì tedesco originario della Boemia. Si parla comunque dell’inventore e fondatore della casa automobilistica che tuttora porta il suo nome, molto gradito ad Hitler sin da quando il Fuhrer stesso gli ordinò la creazione del 'maggiolino' (e con questo modello nascerà la casa Volkswagen, la ‘macchina del popolo’).
Hitler pretendeva allora un’auto che costasse meno di 1.000 marchi e fosse quindi accessibile anche ai ceti popolari, operazione di chiara propaganda (siamo nel 1938) per convincere la popolazione più debole della forza vincente del nazismo rispetto soprattutto alla fame degli anni pallidi della Repubblica di Weimar.

Porsche fu un nazista importante anche se arrivò tardi all’iscrizione al 'Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei' e solo nel 1937 quando era chiaro che conveniva essere con Hitler ed assieme ad Hitler, sotto ogni profilo. Economico in primis. Di certo non era un matrimonio d’amore, ma di interessi certamente. E senza guardare a nessuno, Porsche si dette da fare e fece carriera sia come imprenditore che uomo del sistema nazista.
Ma forse erano la stessa cosa.

Nel momento più favorevole al Terzo Reich, nell’estate 1942, Hitler lo promosse al grado onorario di “Oberführer” delle SS (ossia generale) e pochi mesi dopo venne onorificato con la Croce di guerra di 1. Classe.
Nel 1944 verrà insignito anche dell’anello con teschio di “Reichsführer” delle SS, massima onorificenza, seconda soltanto a quella di Heinrich Himmler.
Era il premio di quanto fatto in quegli anni con incarichi di forte responsabilità nella macchina di distruzione nazista e per quello che aveva permesso di ottenere nella produzione bellica. Molti panzer con la svastica uscivano proprio dalle sue fabbriche.

Sin da subito (già nel 1941) Porsche chiede ed ottenne che nelle sue fabbriche fossero assegnati i cosiddetti ‘schiavi di Hitler’, i prigionieri di guerra obbligati a lavorare 12/15 ore al giorno e dove lo sterminio arrivava, anzichè nelle camere a gas, tramite il lavoro medesimo. Molti di questi schiavi erano i nostri IMI o semplici ragazzi o uomini rastrellati nelle nostre campagne o città dai nazisti e dai fascisti di Salò e deportati nei lager.

Solo nello stabilimento principale di Porsche in Bassa Sassonia (a Wolfsburg) ne furono impiegati oltre 20.000, tra il 1942 e il 1945. Non ci sono numeri esatti ma solitamente in quel settore un 10% degli schiavi non arrivava a rivedere la libertà. Non solo, perché tra gli schiavi non mancavano le donne, soprattutto polacche, russe e ucraine. A Rühen, vicino a Wolfsburg, Porsche fece costruire una “casa di cura” per loro o meglio per le donne incinte (talvolta perché violentate).

Avere dei figli costava e rallentava la produzione: perciò i feti talvolta venivano eliminati facendo abortire le madri, talvolta lasciati morire per fame o direttamente ammazzati dopo la nascita. Spesso bruciati ancora vivi nelle stufe a legna. Rühen era solo uno dei tanti casi, non certo l’unico. Qui si parla che siano stati uccisi dai 300 ai 400 solo di neonati. Sul numero degli aborti nessuno mai si è espresso.

Questo era il nazismo, questi erano i soci in affari dei fascisti, prima e dopo Salò. Questo era il regime a cui oggi qualcuno sembra avere nostalgia.

A guerra finita, dopo un periodo di fuga nel novembre 1945 l'ing. Porsche venne arrestato dagli alleati (francesi) e incarcerato in terra di Francia, forse con l’intento di costringerlo a lavorare per il governo di De Gaulle e le sue industrie. Probabilmente collaborò con qualcuno – coerentemente come gran parte dei suoi colleghi imprenditori nazisti – e già nel 1948 riprese la produzione di auto (che poco dopo venne trasferita a Stoccarda). Fu qui che di fatto nacque il mito immenso della Porsche che gli valse postumo, nel 1987 (lui morì a 75 anni nel 1951), l’inserimento nell'Automotive Hall of Fame per i suoi eccezionali meriti nel campo dell'automobile.

A 71 anni dalla sua morte la città di Linz ha deciso all’unanimità (il voto astenuto è arrivato solo dal gruppo di estrema destra presente in consiglio) di cancellare il suo nome dalla geografia della città. Atto simbolico, ma molto importante e così importante da farlo volutamente pubblicizzare in più giornali anche esteri.

Anni fa Milan Kundera scrisse che “le persone sono responsabili di quello che decidono di ignorare” e quindi anche di onorare nostalgici del fascismo o cancellare, dall’elenco delle vie, grandi imprenditori non più graditi per il loro curriculum di uomini.

Ogni azione, ogni passo dell’uomo può esser fatto in avanti verso il futuro o in retromarcia, come se fosse un’auto, verso il passato. In Austria si va da una parte, in Italia dall'altra.

“Il mondo va veloce e tu vai indietro”.

29 dicembre 2022 – Rinaldo Battaglia

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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