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17 dicembre 2022
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Memoria: il NO di Michele
di Rinaldo Battaglia*

Il 17 dicembre 2019 un arzillo vecchietto - Michele Montagano - nella residenza romana dell’Ambasciata tedesca, a Villa Almone, ricevette ’l’Ordine al Merito della Repubblica Federale di Germania’ nel grado di Ufficiale, conferito dall’allora Presidente della Repubblica Federale Frank-Walter Steinmeier. Il riconoscimento gli venne stato consegnato, personalmente e con la massima onorificenza, dall’Ambasciatore Elbling “per il fondamentale contributo che ha dato alla comune cultura della memoria che è di grandissima importanza per le relazioni tra Italia e la Germania”.

Michele era un IMI, uno di quei 650/700 mila eroi, travatisi in guerra alla sera dell’8 settembre 1943. Era un IMI, uno di quelli che si erano ‘macchiati’ di una grande 'colpa' per la storia del nostro paese e che per 50/60 anni saranno da noi, per questo, dimenticati e nascosti. Ancora una volta traditi. E non solo per i primi 50/60 anni. Davvero grande la colpa degli IMI: aver detto NO al fascismo di Mussolini, aver detto di NO ad un regime totalitario, ad un potere criminale che aveva ridotto in catene, per oltre 20 anni, la Storia del nostro paese. E l'anima degli italiani.

Per salvarsi dell’inferno dei lager anziché dire NO avrebbero dovuto firmare per un SI sull’offerta 'dell’opzione Graziani'. Bastava aderire e giurare: ‘Aderisco all’idea repubblicana dell’Italia Repubblicana fascista e mi dichiaro volontariamente pronto a combattere con le armi nel costituendo nuovo esercito italiano del Duce, senza riserve, anche sotto il Comando Supremo tedesco, contro il comune nemico dell’Italia repubblicana fascista del Duce e del Grande Reich Germanico’.

Bastava aderire e giurare anche se ‘Italia repubblicana fascista’ era scritto in minuscolo e ‘Grande Reich Germanico’ in maiuscolo. Messaggio in codice, per dire bene chi comandasse allora? Grande colpa la loro: aver detto NO al fascismo di Mussolini. “Da quel momento ho cominciato a dire no, e poi ho ripetuto il no in otto campi di concentramento dove sono stato”.

Sono parole di Michele, classe 1921, quando disse il suo convinto 'NO' alla Repubblica Sociale di Salò. E, da quell'8 settembre, Michele Montagano non ebbe mai nessun dubbio: “Ero un ufficiale del regio esercito italiano, non potevo combattere insieme ad un’altra nazione che non era alleata, eravamo in guerra con la Germania”.

E così, assieme agli altri ufficiali che rifiutarono di aderire, fu internato in diversi campi di concentramento e di lavoro tra la Germania e la Polonia. Il sottotenente Michele (ora diventato matricola 27539) addirittura, casualmente, in uno di questi lager incontrò anche il padre, anche lui prigioniero, anche lui - maestro di scuola elementare - rastrellato a casa.

Ma fu in un altro lager, quello di Wietzendorf, che Michele Montagano, insieme ad altri ufficiali del Regio Esercito, esaltò il suo valore e scrisse una pagina d'onore sul Libro della nostra Storia, una pagina come tante altre e, come quasi tutte, poco note o 'non soggetto' di film patriottici.

A Wietzendorf, nell' Oflag 83 in Bassa Sassonia, quando la guerra per i nazisti dava chiari presagi sfavorevoli e, probabilmente, proprio per questo si comportavano ancora più con violenza e disprezzo sui deportati, il 24 febbraio 1945, ben 214 ufficiali decisero di non lavorare per il 'padrone'. Tra questi Michele Montagano. Erano ufficiali, non erano mai stati sconfitti con le armi in pugno, erano stati traditi non vinti.

Non avrebbero quindi più obbedito agli ordini, non avrebbero più sfaticato e nemmeno partecipato alle interminabili 'conte', a cui ogni giorno erano chiamati nel gelo invernale. Durarono così, resistendo, per sei lunghissimi giorni, finchè i Kommandant delle S.S. e alcuni uomini della Gestapo, offesi e preoccupati per la loro figuraccia verso Berlino, dettero ordine di prelevare 21 di loro, scelti a caso, e davanti a tutti fucilarli. Dovevano capire chi erano i padroni e chi nel Terzo Reich ancora comandava!

Ma al momento dell'esecuzione con le guardie pronte a sparare, 35 ufficiali – sfuggiti alla selezione precedente – si offrirono come volontari per sostituirsi liberamente ai condannati a morte. Solo 35 ufficiali, perchè 9 dei condannati non vollero, per dignità, essere sostituiti alla morte da altri disperati come loro. Tra i 35 anche Michele Montagano. I Kommandant furono presi davvero in contropiede. Per loro era solo incomprensibile, non avevano mai visto una cosa del genere. Le parole 'dignità, altruismo, solidarietà cristiana' erano state bandite nel vocabolario tedesco già dal 30 gennaio 1933. Le S.S. decidero così di abbandonare la fucilazione e ordinare subito il trasferimento di tutti quei 44 ufficiali (e gentiluomini, viene da dire) in un 'centro di rieducazione al lavoro', nel lager di Unterlüss (zona di Südheide, sempre in Bassa Sassonia).

Se erano malati di 'umanità' dovevano essere immediatamente 'curati'. E Unterlüss era 'l'ospedale' idoneo: qui i deportati vivevano in condizioni durissime, alimentazione quasi ridotta a zero, violenza totale al limite dell'assurdo da parte delle guardie naziste. “Non c’erano forni crematori, ma bastonate e mazzate”, ricorderà Michele, in un'intervista anni dopo per il progetto “Noi partigiani” e più di recente il 24 febbraio 2021 per 'l'Avvenire'. Dei 44 'eroi ribelli' di Wietzendorf nei 43 giorni di Unterlüss, prima della sua liberazione il 9 aprile, sei non si salvarono. Tra i quali il tenente Alberto Pepe di Teramo e il tenente Giuliano Nicolini di Stresa, uccisi dalle botte dalle S.S di guardia e il sottotenente Giorgio Tagliente di Taranto picchiato a morte e finito con un colpo alla nuca.

I tre, unitamente agli altri deceduti, chi per la fatica, chi per la fame e il freddo - il s.ten. Michele Rinaudo (Trapani), il s.ten. Giovanni Anelli (Torino) e il s.ten. Giorgio Balboni (Milano) - saranno insigniti della Medaglia d'Argento al Valor Militare alla memoria. Inoltre il 4 dicembre 2014, con decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri, a tutti i 44 eroi di Unterlüss fu concessa la 'Medaglia d'onore ai deportati e internati nei lager nazisti'. Il minimo per 'uomini' di così elevato spessore morale.

Se qualcuno fosse ancora oggi alla ricerca delle matrici del fascismo o non avesse ancora capito come mai il 90% dei nostri soldati, presi prigionieri dai nazisti dopo l’8 settembre 1943, avesse detto ‘NO’ al Duce e a Salò, credo che qui troverebbe dei validi indizi. Michele e gli altri erano solo 44 di quei 650/700 mila eroi, ossìa oltre un terzo dell’intere Forze Armate italiane in quel giorno di settembre ’43. Un terzo degli uomini in guerra che dissero 'NO', un terzo delle famiglie italiane coinvolte. Eppure pochi in Italia conoscono gli IMI anche 80 anni dopo. Viva l'ignoranza, viva il 'silenzio che parla'.

17 dicembre 2022 – Pagine libere dal prossimo libro ‘L’inferno è vuoto’.

*Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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