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09 dicembre 2022
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Conflitti: la sconfitta strategica della Francia
di Giovanni Franza*

Nel corso del dopoguerra, e malgrado l'opposta collocazione nei due campi della Guerra fredda, la Francia non ha mai esitato a servirsi della Russia per accrescere il proprio peso relativo in un contesto in cui gli alleati formali – Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania – suscitavano a Parigi più irritazione, rancore e inquietudine che simpatia.

Non era questione di simpatia nemmeno nei confronti di Mosca, naturalmente; ma la Russia era più lontana, più debole, e aveva il grande merito di tenere divisa la Germania, in un'epoca in cui quasi tutti i francesi pensavano in silenzio quello che lo scrittore François Mauriac aveva detto ad alta voce: "Amo talmente la Germania da essere contento che ce ne siano due", frase che fece sua, poi, Andreotti.

L'aggressione all'Ucraina, sottraendo a francesi e tedeschi la sponda russa, ha rotto gli ingranaggi di quella collaudata macchina di equilibri reciproci.
Non è importante sapere se nei calcoli di Mosca ci fosse il progetto di ridare freschezza e vigore all'egemonia degli Stati Uniti in Europa, ma il risultato è quello: per cui si può dire che gli americani sono i grandi vincitori di questa guerra mentre i francesi e i tedeschi sono i grandi perdenti (e la Russia, chiaramente).

Anche dopo il conflitto in Georgia del 2008 e perfino dopo l'invasione del 2014 e l'annessione della Crimea, Parigi e Berlino si erano mosse rapidamente per ricucire lo strappo, animate magari da motivazioni e obiettivi diversi, ma coincidenti sulla necessità di mantenere attivo il rapporto con Mosca.
Gli accordi di Minsk, si sa, hanno scontentato tutti, ma hanno permesso di continuare come prima, quasi come se nulla fosse successo.

È vero che Francia e Germania, malgrado l'inevitabile condanna dell'invasione, hanno comunque mantenuto canali aperti con la Russia, sostenendo la necessità di lasciarle delle vie d'uscita, di «non umiliarla», appunto; ed è anche vero che sono state parche nell'inviare aiuti all'Ucraina: secondo il Kiel Institute for the world economy, in termini di aiuti totali la Germania è il terzo paese in assoluto, ma solo il sedicesimo in proporzione al Pil, mentre la Francia è settima in assoluto – quasi due terzi meno della Polonia – e ventunesima rispetto al suo Pil.

La diplomazia energetica, che era stata l'architrave della Ostpolitik tedesca fin dagli anni Settanta (e, di converso, un fastidioso sasso nella scarpa americana), è praticamente morta, e questo è forse il più grande successo degli Stati Uniti e il grattacapo maggiore per Berlino, non solo per ragioni politiche ma anche per ragioni immediatamente economiche.

Per Parigi, la sconfitta è duplice, sul fronte atlantico e sul fronte europeo; su quest'ultimo, allo spostamento del baricentro verso il Baltico (e quindi verso i paesi più legati agli Stati Uniti), si accompagna un nuovo squilibrio nella complicata relazione con la Germania.

Alcuni osservatori interessati hanno fatto notare che uno spostamento del baricentro verso l'est danneggia più la Francia che la Germania, la prima rischiando di essere risucchiata verso il Mediterraneo, e la seconda vedendo invece una rivalutazione della sua tradizionale sfera di influenza.
In questa chiave si potrebbe leggere la recente picca antitedesca della Polonia che però, ricordiamolo, si muove in stretta sintonia con gli Stati Uniti, in un legame in cui, evidentemente, è partner di minoranza.

* Coordinatore della Commissione Esteri dell'Osservatorio.


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