 |
Memoria: parificare e purificare
di
Rinaldo Battaglia*
Il 7 dicembre 2005 il grande storico Giorgio Israel – molto esperto delle vicende razziali italiane oltrechè della Scienza e Matematica – scrisse su ‘Il Foglio’ poche righe che però bene sintetizzano l’equazione ‘parificazione = purificazione del fascismo’, avvenuta in Italia sin dall’immediato dopoguerra:
“Si poteva uscire dal fascismo in modo diverso, con un’opera di pulizia radicale, pratica e morale, per esempio facendo sì che i personaggi più compromessi nella politica razziale stessero almeno per un po’ in disparte. Si decise esattamente l’opposto.”
Sin dall’immediato dopoguerra, infatti, da tipico ‘modus operandi’ nazionale, è stata scelta la strada facile del ‘Gattopardo di Lampedusa’: «tutto deve cambiare perché tutto resti come prima». Perché ai ‘grandi’ poteri di ieri, conveniva questo.
Parificare non è sinonimo di purificare, ma solo un altro modo di uccidere di nuovo chi è già stato ucciso.
Perdonare ha sempre senso ed è doveroso, ma parificare e dimenticare sono termini fuori tempo se non vuoi tornare al passato. E dal 24 febbraio - ad est - lo stiamo già verificando, purtroppo.
Certo, come scriveva a suo tempo Charles de Foucauld, è anche vero che "Dio si serve dei venti contrari per condurci in porto“. Ma probabilmente, in Italia, si è esagerato o quanto meno frainteso sul concetto di ‘azioni contrarie ed ostinate’ necessarie ed opportune per raggiungere la pace e la giustizia, almeno sulla nostra terra e almeno dentro i nostri confini.
E la scelta del «tutto deve cambiare perché tutto resti come prima » sarà una scelta deleteria, che aprirà strade oscure, tinte di nero, macchiate di sangue nei decenni successivi e poi diventerà la politica del ‘tutto rivisto, cancellato, revisionato’ come nulla fosse avvenuto.
Come se 20 anni di regime fascista e 5 anni di lager e Shoah fossero stati attimi isolati, quasi momenti di normale ubriacatura che, dopo la notte, passano e della sbronza non ci si ricorda più.
E – ove e quando possibile – addirittura la si nega, oltre anche ogni evidenza.
Quella scelta è stata un altra occasione perduta. Una delle tante occasioni perdute nella Storia del nostro Paese, per finalmente cambiare le regole immorali del gioco, per punire Caino e premiare finalmente Abele.
Come se il timore di Liliana Segre col suo dire con forza “Io voglio sperare che ci sia ancora l’antifascismo” fosse arida realtà e la sua speranza, purtroppo, probabilmente non fosse già avviata verso la sconfitta o la resa.
Quante le occasioni perdute nella Storia del nostro Paese. Troppe.
Trent’anni fa erano gli anni di ‘Tangentopoli’, dove vennero a galla complicità, ruberie, disastri politici legati ad attività illegali che viaggiavano a pari passo con le attività della politica e
dell'economia. Si perse l’occasione per rinnovare la 'moralità'.
Si sostituì qualche politico, qualcuno andò in pensione o in ‘esilio’, altri la fecero franca, molti si voltarono dall’altra parte.
E, tempo pochi anni, tutto è ritornato come prima.
Anzi, si arrivò ad anni di continui interventi sulle leggi in materia di giustizia, di condoni tombali, di scudi fiscali per ricchezze illecitamente prodotte o di concordati a sanatoria di ‘violazioni di legge’, che mai quantitativamente prima si erano visti.
Anzi, si rafforzarono le evasioni fiscali, da allora in continua e costante crescita.
Si poteva uscire da Tangentopoli in modo diverso?
Si poteva uscire dal Fascismo in modo meno offensivo e vergognoso?
C’è oggi una data nel calendario delle ‘cose sbagliate’ o, almeno, che ‘si potevano far meglio’ se si avesse voluto farle. E’ una data che non viene festeggiata, passa sempre inosservata tra i fogli che strappiamo ogni giorno.
E’ il 22 giugno.
Il 22 giugno del 1946, venti giorni esatti dopo il referendum tra Monarchia e Repubblica, il governo di ‘larghe intese tra i vincitori’ presieduto da Alcide De Gasperi licenziò la famosa ‘amnistia Togliatti’.
Sarà la ‘ madre di tutte le amnistie’.
Fu talmente anomala nel suo successo che nessuno, già il giorno dopo, si vantò della sua emanazione, quasi scaricando i ‘meriti’ sugli altri. Ed era un governo dei nuovi partiti, tutti usciti vincitori dalla Guerra: soprattutto la DC, il PCI, il PSI e il P. d’Azione, coi migliori leaders del momento senza alcun dubbio.
Nessuno che andò quella sera a festeggiare, dal balcone di Palazzo Chigi, in mezzo ai suoi fans tra lo champagne e l’ipocrisia, per aver abolito ‘l’ingiustizia’ o la ‘povertà dei valori’.
“L’amnistia Togliatti", infatti non fu una scelta individuale – come spesso è stata venduta - dell’allora Ministro di Giustizia, leader indiscusso del PCI, tanto da esser chiamato ‘il Migliore’, ma più precisamente un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri Alcide De Gasperi, (il n. 4/1946) e votato dall'intero - intero, repetita iuvant - Consiglio dei Ministri.
Il classico italiano gioco del ‘lancio del sasso’ e poi subito tutti a nascondere la mano.
Piero Calamandrei, uno dei padri fondatori della nostra Repubblica, più volte la definì come “il più clamoroso errore della nuova classe dirigente italiana, gravido di conseguenze”. E come non bastasse proseguì: “ispirata all’esigenza di pacificazione, si è trasformata – per l’interpretazione estensiva fornita dalla magistratura – in un generalizzato perdono, applicato anche a torturatori e ad assassini”.
E che fosse un ‘clamoroso errore’ la nuova classe dirigente ne era conscia tant’è vero che verrà ripetuto quasi ogni due anni, fino al 1970. Del resto ‘squadra che vince non si cambia e non cambia la strategia’.
Per dare dei numeri ufficiali al giudizio di Calamandrei, con quella prima amnistia vi furono subito ben 7.061 ‘beneficiari’, favoriti dalla ‘doppiezza’ dei termini usati, nel testo stesso di legge. Testo che, per davvero, venne scritto con un linguaggio giuridico assai poco limpido e troppo equivocabile, se non addirittura ‘aperto a diverse interpretazioni’ e quindi alla discrezionalità ‘soggettiva’ dei giudici.
E siccome lo scopo era quello di ‘pacificazione’, di non creare differenze agli aventi diritto, indipendentemente dalla loro fede o storia politica, di quei 7.061 amnistiati, 153 erano partigiani, e ben 6.908 fascisti. Il 98% contro il 2% in termini matematici.
E a seguire sarà ancora peggio, dalla successiva del 1953 (7.833 amnistiati, quasi tutti fascisti), a quelle minori del nel 1959 (7.084 amnistiati, oramai solo fascisti), nel 1966 (11.982 amnistiati), nel 1968 (315 amnistiati) e l’ultimo giro di dadi del 22 maggio 1970 (6 mesi dopo la strage neo-fascista di Piazza Fontana e 7 mesi prima del golpe mancato dell'Immacolata) quando vennero salvati gli ultimi 11.961 fascisti.
Dopo il 1970, dopo quella, non ci furono più amnistie per fatti politici.
O meglio, non c’erano più fascisti legati al regime da salvare o da amnistiare.
'L’inferno era vuoto', tutti i fascisti erano liberi. Tutti i ‘diavoli’ erano sulla terra, come a suo tempo scriveva con la sua infinita poesia Shakespeare.
A dirigere le indagine per la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969 – a giorni ricorrono i 53 anni - era Marcello Guida, uomo del Duce e responsabile nel '38/'39 del carcere di Ventotene, beneficiario già dell’amnistia del 22 giugno 1946. Sei mesi dopo l’amnistia del 1970 (DPR n. 283) Junio Valerio Borghese tenterà il golpe la notte tra il 7 e l'8 dicembre: come fascista aveva beneficiato di tutte le amnistie possibili.
Domani ricorreranno i 52 anni.
Se non è autolesionismo, se non è vigliaccheria, se non è spregio delle più elementari regole di giustizia, che definizione possiamo assegnare a tutto questo?
Ma tutto, tutto ebbe inizio da quel 22 giugno 1946, dalla ‘Togliatti’, la madre di tutte le amnistie.
Recupero le parole di un grande storico quale Mimmo Franzinelli che, in ‘L’amnistia Togliatti - 1946 – Colpo di spugna sui crimini fascisti’, con estrema sintesi e chiarezza, che personalmente non potrei mai possedere, dipinge il quadro di quel momento storico e le conseguenti motivazioni:
“L’aministia Togliatti servì alla classe dirigente del ventennio e della Repubblica di Salò per superare rapidamente la fase della persecuzione politica e riottenere la libertà, a un prezzo straordinariamente lieve per il contributo fornito all’instaurazione e al mantenimento della dittatura, nonché all’esacerbazione della guerra civile. Alle esecuzioni capitali disposte – più o meno legalmente – a ridosso della liberazione seguirono i proscioglimenti indiscriminati”.
E tutto finì così’. Altra scena del film horror ‘chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto’, molto apprezzato da sempre in Italia. E tutto lascia pensare che il successo in futuro non mancherà ancora.
7 dicembre 2022 – Pagine libere da ‘L’inferno è vuoto’.
* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
Dossier
diritti
|
|