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01 dicembre 2022
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Memoria: il cibo è un'arma
di Rinaldo Battaglia*

Ad inizio dicembre 1940 Hitler, quando studiava come invadere l’Unione Sovietica, mise in progetto anche una ‘strategia alimentare’ strettamente collegata all’operazione ‘Barbarossa’.
Ufficialmente il piano verrà poi approvato il 2 maggio ‘41 dai principali ministri nazisti e dall'Ufficio Economico dell'OKW , diretto dal generale Georg Thomas . A gestirlo sarà un generale di assoluta fiducia del Fuhrer: Herbert Backe.

Sarà causa di morte per milioni di persone e del destino di sofferenza e di lutti dei nostri deportati nei lager nazisti.
Molti storici hanno discusso sul perché, dopo la sconfitta di Stalingrado del 2 febbraio ‘43, quando la produzione industriale dedicata alla guerra (cioè tutta) cominciava a stentare e da quando le enormi masse di ’schiavi’, prima prese e rastrellate nei territori conquistati dell’URSS – in base al progetto che Hitler chiamava ‘Generalplan OST – si stava rallentando, Himmler abbia incessantemente proseguito nella strada dello sterminio di Auschwitz, gasando milioni di braccia che potevano ‘produrre’.

In quel tempo, Speer e Sauckel cercavano disperatamente nuovi schiavi, per coprire i ‘buchi’ che i mancati deportati, che non sarebbero arrivati dall’est copiosi come prima, avrebbero inevitabilmente aperto. Cercavano disperatamente nuovi uomini da ‘sterminare’ con il lavoro e l’operazione dei nostri IMI dopo l’8 settembre, schiavizzati, con l’accordo del 23 settembre ‘43 di Monaco con Mussolini, nasce proprio da questo contesto, di non far rallentare la produzione industriale o, meglio, bellica.

Perché allora non ‘usare’ i 2 milioni di ebrei ‘maschi’ - potenzialmente idonei al lavoro – nella ‘fabriken’ anziché gasarli subito ad Auschwitz? E perché continuare con gli eccidi di massa di migliaia di migliaia di ebrei in Ucraina, Lettonia, Lituania, molti dei quali potenzialmente abili al lavoro? Perché?
E’ una analisi macabra, da uomini di ‘numeri’ o di economia, da grafici di budget e da business plan, ma serve talvolta entrare nella testa, di quel preciso momento storico, per meglio capire il ‘crimine’ della Shoah.

Certo: milioni di ebrei lavoravano in quel momento nelle ‘fabriken’ fino all’ultimo loro respiro, ma perché uccidere e gasare molti altri milioni di uomini, molte altri milioni di braccia, subito? Le risposte sono due, che sono intrecciate tra di loro in una unica, volendo. Soprattutto dalla fine del ‘42 il problema principale e primario dei nazisti era la 'penuria di cibo'. A qualsiasi livello, in qualsiasi luogo. Germania o terre conquistate non cambiava. Il vero nemico non erano gli Alleati ad ovest o i Russi ad est: era la fame.

La fame.

Le campagne erano state distrutte e abbandonate, la carestia agricola si stava sviluppando, le fabbriche producevano solo per la guerra, non per ‘alimentare’ o sfamare le persone, tedesche e non tedesche. Il Generalplan OST, che prevedeva la conquista dell’URSS, con l’operazione Barbarossa del 22 giugno’41, puntava a colonizzare quelle terre molto ricche per l’agricoltura, puntava a cacciare gli abitanti (camere a gas, massacri o esodi era lo stesso, ebrei o non ebrei, poco cambiava), puntava a creare nuovi schiavi e ad utilizzare e depredare tutte le risorse economiche possibili.

Era la cosiddetta conquista dello ‘spazio vitale’, spazio per la ‘vita’ dei tedeschi e quindi del nazismo. E quindi di ‘loro’. Mai dimenticare le parole di Goebbles: ‘Il cibo è un’arma’ (Nahrung ist waffe).

E le armi vanno prese e difese per uso proprio. Sono la tua àncora di salvezza. Hitler – criminale fin che si vuole, ma non stupido - aveva addirittura trasformato il Ministero dell’Agricoltura nel maggio ‘42 in Ministero dell’Alimentazione, allo scopo di creare un ‘piano della fame’ o meglio ‘contro’ la fame.

A capo aveva messo un nazista doc, Herbert Backe, con obiettivi ben precisi.
E per raggiungerli se si è nazisti d.o.c. allevati da anni di odio continuato e ripetuto, vi era una sola strada: per ridurre la fame, bisognava ridurre le bocche da sfamare.

E nella lista i primi erano gli ebrei, che dovevano scomparire dal mondo affinché fosse davvero ‘judenfrei’. Soprattutto nelle terre dell’est, dove gli ebrei erano più numerosi e radicati da secoli. Eliminare altri 7/8 milioni di ebrei ‘avrebbe riequilibrato la bilancia alimentare’, come diceva a suo tempo Sauckel. Uccidere subito gli ebrei, soprattutto nelle terre di Polonia ed Ucraina, avrebbe permesso di ‘sfamare’ meglio gli altri schiavi – russi, ucraini, slavi, italiani etc – che servivano per la produzione industriale necessaria per la guerra.

Fu in questa fase che Herbert Backe sviluppò e insegnò ai ‘Lagerkommandant’ la quantità ‘calorica’- con tanto di tabelle (1.030 calorie giornaliere per deportato, ossia 1/3 di quanto necessario per vivere o almeno sopravvivere) - che ogni deportato poteva ricevere, ossia il minimo indispensabile perché non morisse subito, affinché continuasse a produrre ancora per un altro giorno. Il minimo - anche in termine di costi - per farlo sopravvivere ancora un giorno. La morte degli ebrei ad Auschwitz avrebbe permesso, in altre parole, la ‘sopravvivenza’ minima degli altri deportati. Lo stesso, gli infiniti eccidi e massacri nelle terre dell’est.

E’ difficile dire oggi dove iniziasse l’ideologia razzista del nazismo e dove finisse il cinismo economico dei Vertici del regime, dove iniziasse la Shoah e dove finisse il beneficio reddituale degli imprenditori tedeschi, che sostenevano convinti ed interessati il nazismo.

Ma è facile sostenere che quando rompi o lasci rompere, gli argini del fiume della ‘disumanità’ tutto si annega e tutto si distrugge ed ogni minima idea, per quanto criminale, diventa buona per salvare la ‘bestia’ che è in noi. Chiamiamolo pure istinto primitivo, ma è purtroppo così. La differenza tra la bestia e l’uomo è ‘l’umanità’, il senso dei diritti ‘altrui’, di non fare mai al prossimo quello che non vorresti fosse fatto a te. Erano semplici parole di un semplice rivoluzionario che, duemila anni prima, venne crocifisso, proprio perché scomodo e controcorrente.

1 dicembre 2022 – Liberamente tratto da ‘Non ho visto farfalle a Terezìn’ ed. AliRibelli – 2021

* Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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