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Memoria: il non-processo di Norimberga
di
Rinaldo Battaglia*
Il 20 novembre 1945 nella città simbolo di Norimberga, si aprì - nel Palazzo di Giustizia - il primo e più famoso processo al nazismo. Si chiuderà un anno dopo, il 1 ottobre 1946.
Ma il Processo di Norimberga - quello che aprirà la strada a tutti gli altri 'minori'- cosa fu in definitiva?
In particolare se teniamo conto che, in quell’anno e per almeno altri 6 o 7 anni, ben 30.000 nazisti e fascisti scapparono tramite la Rat-Line (o Via dei topi) gestita dal vescovo di Pio XII, Alois Hudal, e quasi in toto passando tramite l’Italia. Non a caso definito da tutti ‘il colabrodo’ perché da lì era fin troppo facile – tra una mazzetta di denaro e una benedizione vaticana - poter partire verso i Tropici.
E i ‘viaggiatori’ erano – per gran parte – tutti pezzi di galera, che anziché finire al mare del Sud America avrebbero dovuto restare proprio al buio nel Tribunale di Norimberga, processati e – molti di loro – finire impiccati il 16 ottobre 1946, cremati nel lager di Dachau e le loro ceneri gettate nel Wenzbach. Perché questa fu la fine dei principali condannati dal Processo. Di pochi peraltro.
Del resto, dalla lista di quei criminali (il cui elenco era già stato abbozzato a Teheran nel novembre 1943 e poi a Yalta) erano già defunti Hitler, il nostro Mussolini, Goebbles e lo stesso Himmler, suicidatosi poco prima.
Sì, anche il nostro Duce, sebbene nessuno se lo ricordi mai. Non ditelo a voce alta, però, in quanto molti da noi sono ancora convinti che “ha fatto anche cose buone”.
Churchill peraltro scrisse di più nelle sue memorie: «l’uccisione di Benito Mussolini ci risparmiò una Norimberga italiana».
Ma quanti ‘nazisti’ furono giudicati a Norimberga?
Considerando che i 4 maggiori colpevoli con Reinhard Heydrich (ucciso nel giugno ’42 dai partigiani cecoslovacchi) erano già defunti e che 2 tramite la Rat-Line erano già al riparo (Josef Mengele e Adolf Eichmann) furono solo in 24.
E non tutti vennero condannati a morte e giustiziati: qualcuno che serviva venne “salvato”, sebbene dopo anni di carcere a Spandau.
Albert Speer, ad esempio, il Ministro degli Armamenti e responsabile della produzione ossia il capo dei lavori forzati, degli schiavi al tempo di Hitler. Fu condannato a 20 anni e qualcuno disse poi che collaborò segretamente in ottica Nato anti-Mosca. Vero, falso?
«Degli Hitler e degli Himmler ce ne sbarazzeremo, ma con gli Speer dovremo fare i conti ancora a lungo». Così anni prima, nel 1944, con profonda lungimiranza scrisse il giornalista e storico inglese Sebastian Haffner, sul giornale di Londra The Observer.
Gustav Krupp, detto Taffi dal Fuhrer e dagli amici intimi, o il figlio Alfried, ad esempio, che proprio in virtù della convinta appartenenza al partito nazista divennero i principali industriali tedeschi, gettando le basi per un grande futuro al gruppo Krupp. Le loro fonderie, le loro acciaierie servivano per la rinascita tedesca.
Gustav, avendo 76 anni, alla fine non fu neanche processato – per motivi di salute (o senilità) – e il figlio fu condannato nei processi secondari di Norimberga solo a 12 anni.
Il famoso ing. Werhner von Braun, altro eloquente esempio, il genio criminale di Dora e 45 anni dopo genio missilistico di Apollo 11. Volato via in America già subito dopo il 12 aprile ‘45, senza neanche passare per il via, per le camere di Norimberga, il cui nome fu neanche mai detto o solo pronunciato.
Volere è potere, se si vuole. Potere è volere, se si può.
E gli USA potevano scegliersi il meglio del peggio.
Alla fine saranno 11 i condannati a morte e, se si esclude Hermann Goering (che riuscì a suicidarsi col cianuro la notte prima dell’esecuzione) il 16 ottobre 1946 ne vennero impiccati 10. Le impiccagioni, peraltro, avvennero in ordine di importanza o grado di colpevolezza: von Ribbentrop, Keitel, Kaltenbrunner, Rosenberg, Frank, Frick, Streicher, Sauckel, Jodl, Seyß-Inquart.
Resta il fatto innegabile tuttavia che, mentre a Norimberga si giudicava, molti degli imputati stavano correndo sulla via dei topi.
La coesistenza di Norimberga e di Rat-line fa veramente intuire come il processo di Norimberga sia stato una messinscena, una farsa napoletana degna del migliore Eduardo. Serviva dare in pasto alla Storia alcuni criminali – di certo tra i peggiori, nulla da dire – per tacitare le coscienze e le menti dell’opinione pubblica.
Servivano delle teste da tagliare o, qui, dei corpi da impiccare e cremare.
E poi si sarebbe tornati al solito tran-tran, fatto di compromessi, di accordi più o meno nascosti, come quello tra Molotov e Ribbentrop (peraltro quest’ultimo verrà impiccato, mentre – ironia della storia – tra gli avvocati dell’accusa a Norimberga faceva parte anche il russo Iola Nikitchenko, grande amico di Molotov e giudice supremo ai tempi delle purghe staliniane).
Tutto sarebbe tornato nella normalità, tra un business e l’altro, tra i soliti bla-bla quotidiani.
Anzi proprio ora che il mondo era di ricostruire. Coi tanti dollari del Piano Marshall in arrivo.
E i criminali in fuga sarebbero potuti servire, in ottica futura, contro i nuovi nemici, contro il comunismo di Stalin, più che mai senza limiti, con molte medaglie sul petto, criminale e voglioso di ingigantirsi ulteriormente.
Bisognava solo aspettare – «ha da passa’ ‘a nuttata», direbbe Eduardo – e un tempo di vacanze in Sud America era idoneo.
A volte, volere è potere. A volte, se si vuole.
Se la Norimberga tedesca fu una messinscena, molto spettacolare, ma sempre finta come le maschere di Carnevale, risulta più che mai ovvio che non avrebbe avuto alcun senso attivare poi il processo per una ‘Norimberga italiana’. E al di là delle preveggenze di Churchill credo che se ne siano comprese ampiamente le motivazioni.
Norimberga non è stato il processo al nazismo, è stato il festival dell’ipocrisia. E ancora oggi noi ne paghiamo il conto, col proliferare dei movimenti filo-nazisti e filo-fascisti.
Perché «coloro che falsificano la storia non salvaguardano la libertà di una nazione, ma al contrario la minacciano».
Sono parole di Vaclav Havel, statistica e filosofo ceco, nel discorso a Salisburgo il 26 luglio 1990 verso Kurt Waldheim, ex ufficiale nazista, coinvolto in modo molto opaco in varie azioni contro ebrei e slavi e arrivato persino alla Presidenza dell’Austria nel 1986, dopo esser stato niente di meno che Segretario Generale dell’ONU dal 1972 al 1981. Negli anni del Vietnam, dei golpe in Cile, Argentina.
E proseguiva Havel: «Non si dà vera libertà se la verità non è libera».
Parole sante. Parole sante.
E se la Norimberga tedesca è stata una buffonata, se la Norimberga italiana mai nata, è facile intuire che fine possa aver fatto il risultato, preciso, documentato, dettagliato nelle prove della United Nations War Crimes Commission licenziato a Londra il 4 marzo ‘48.
Quel lavoro certosino, guidato da luminari del diritto internazionale quale Cecil Hurst e soprattutto Lord Wright, con prove ricercate per almeno tre anni di duro lavoro, che – ricordo – sentenziò che almeno 1.283 uomini del regime di Mussolini si erano macchiati di crimini di guerra e di loro almeno 100 ai massimi livelli.
Come già detto, il potere della War Commission era limitato solo ad accertare, verificare e proporre con insistenza le accuse ai singoli stati, i quali giuridicamente avevano le competenze idonee poi per giudicare nel loro paese e in base alla loro legge, singola e autonoma, allora vigente.
Da noi andò tutto a “tarallucci e vino”.
Resta da chiedersi, oramai 80 anni dopo, se a Norimberga sia stata fatta giustizia e se il monito dell’avvocato di accusa, Robert H. Jackson, nella sua arringa finale sia stato recepito e servito ai posteri.
“Se voi giudici dichiarerete che questi uomini sono non-colpevoli,
sarà come se aveste dichiarato che non c’è mai stata una guerra.
Nessuno è stato ucciso. Nessun crimine è stato commesso”.
E se mi guardo attorno non trovo che delusione ed amarezza.
La Storia insegna, siamo noi che restiamo ignoranti.
20 novembre 2022 Liberamente tratto da ‘La colpa di esser minoranza’ – ed. AliRibelli – 2020
*Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio
 
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