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17 novembre 2022
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Olocausto: una donna chiamata "La bestia"
di Rinaldo Battaglia*

Il 17 novembre’45 venne condannata all’impiccagione, come criminale di guerra, una donna di soli 22 anni. Di nome faceva Irma Grese, passata alla storia come ‘la bestia’, o meglio ‘la bestia di Bergen-Belsen’.

Quando all’arrivo degli Alleati, venne arrestata, il 17 aprile ‘45, coi suoi 21 anni, aveva alle spalle già un’affermata carriera di sadismo, perversione e violenza. Superstiti testimoniarono, al suo processo, come usasse la tortura e le sevizie corporali sui prigionieri, in modo gratuito e senza apparente motivo, ricorrendo anche a cani feroci addestrati allo scopo.
Una di queste sopravvissute, come l’ebrea rumena Gisella Perl, disse che era “una delle donne più belle che abbia mai visto. Il suo corpo era perfetto, il suo viso chiaro e angelico caratterizzato dagli occhi azzurri più innocenti che si possano immaginare. Eppure, Irma Grese è la creatura più perversa e crudele che abbia mai incontrato“.

Irma Grese era figlia di quella Germania nazista, allevata dopo il dramma della Grande Guerra e dall’incertezza dell’immediato post-guerra, dove la fame e la miseria contendevano un posto all’odio contro il mondo e allo spirito di vendetta.

Era nata il 7 ottobre 1923, a Wrechen nella regione tedesca del Meclembrugo (Pomerania) a nord del paese, da una famiglia contadina di 5 figli. Come tante allora in Germania, come allora in Italia. I problemi familiari si tradussero nel 1936, quando Irma aveva solo 13 anni, al suicidio della madre. Il padre, reduce dalle ferite interiori della guerra, come tanti trovò sfogo nelle idee naziste, che promettevano ricchezza e gloria facile per tutti i tedeschi.
Divenne un impiegato del partito e sempre più violento, drogato dal clima generale, violento anche sui figli, educati peraltro sin dal 1933 dalla dura dottrina nazista, bene insegnata nelle scuole di Hitler.

A 15 anni Irma abbandonò la scuola, sia per scarsi risultati sia per i difficili rapporti coi compagni di classe, dove faticava a relazionarsi. Provò alcuni lavori saltuari, dove tuttavìa anche qui era poco ‘portata’, ma soprattutto trovò rifugio nella ‘Bund Deutscher Màdel’, la lega delle ragazze naziste, dove finalmente si sentì accettata e forse amata per la prima volta nella sua vita.
Lei peraltro bellissima, bionda, il vero ideale di ‘donna ariana’, era stata allevata come una macchina, senza cuore, senza sentimenti se non l’odio verso il prossimo, in pieno rispetto ai dettami nazisti. Aveva proprio ragione a suo tempo Voltaire, che aveva studiato in profondità l’uomo in quanto tale, col suo dire: ’Coloro che possono farvi credere assurdità, possono farvi commettere atrocità’. Irma Grese ne fu un evidente esempio.

Prima dello scoppio della guerra entrò a lavorare nell’Ospedale di Hohenlichen, ma non riuscì a diventare infermiera, trovando occupazione, altrove, solo come contadina. Ma nel 1942 a soli 19 anni, il partito si ricordò di lei e la guerra le offrì ancora una chance, all’interno del lager femminile di Ravensbrück come ‘aiuto-medico’, e l’anno a seguire ad Auschwitz e poi a Bergen-Belsen. In ogni lager imparò ad abusare senza pietà dei detenuti, arrivando persino a stuprare alcune donne, le più belle e carine solitamente, e divenne nota per i suoi rapporti promiscui, anche con alti ufficiali nazisti.
Lo sfruttamento sessuale, del resto, da parte degli ufficiali nazisti, sia sulle donne che sugli uomini - magari i più giovanotti e meno ‘magri’ - non ci deve sorprendere o scandalizzare. Anche per i bambini. Era prassi in molti lager ed era facile ottenere qualsiasi ‘prestazione’ dalle vittime, promettendo solo qualche giorno in più di vita. Non serve per meglio capirlo aver letto Elie Wiesel, quando nel suo ‘La notte’ scriveva che all’arrivo a Birkenau i bambini erano oggetto di una vera e propria tratta, tra le S.S. e i Kapo omosessuali del campo.

Quand’era ad Auschwitz a 20 anni, Irma Grese indossava stivali pesanti da gerarca delle SS, sempre ben lucidi, portava la pistola come gli ufficiali e sempre una frusta, fatta preparare su sua richiesta, intrecciando con corda e cellophane in modo da far più male. Magari sui genitali degli uomini prigionieri.

Se aveva fallito dappertutto, non ritenuta idonea a qualsiasi lavoro ‘normale’, nel ‘lager dei lager’ fece invece veloce carriera e promossa, dal kommandant Rudolf Franz Hoess o dai suoi scagnozzi, quale responsabile femminile del lager, con il ruolo di ’Rapportführerin’ e con diritto di vita e di morte sulle deportate.
Era lei che le puniva o le faceva punire (i suoi due cani da guardia servivano anche a quello), era lei che frustava quelle più ‘formose’ perché tali, era lei che le conduceva dai medici criminali, Mengele in particolare, per esperimenti ed operazioni senza anestesie.
Ed era lei che le prendeva a calci se, durante le operazioni, queste gridavano troppo forte oppure se svenivano cercava di svegliarle, affinché sentissero meglio il dolore.

Al suo processo, alcune superstiti raccontarono, ancora terrorizzate, come più volte durante le marce nei luoghi di lavoro, Irma Grese facesse sbranare dai cani lupo le detenute che restavano più indietro, perché sfinite dalla fame e dalla fatica. E godeva nel vedere le scene.

Ad Auschwitz, allora ventenne, divenne l’amante preferita anche di Mengele, ma non solo. Era famosa per aver abusato di donne con arnesi di ogni tipo e questa tendenza al lesbismo venne manifestata anche nella ricerca di ‘rapporti stabili’ con alcune prigioniere.
Chi però sessualmente non la soddisfaceva, come anche gli uomini, o non accettava i suoi ricatti, anche di orge con altri ufficiali nazisti, veniva mandato subito alle camere a gas, uomo o donna che fosse. Si dice che persino Mengele, maestro di sadismo e crudeltà, alla fine si fosse stancato delle sue ‘perversioni sessuali’ e avesse così interrotto ogni legame con lei. Ed è tutto dire.

Fu anche per questo motivo, oltre al timore dei Russi in arrivo, che venne trasferita di nuovo a Ravensbrück e poi a Bergen-Belsen, trasferimenti che prese come una punizione ingiusta e le dette motivo di aumentare ancora il suo sadismo. Si racconta che negli ultimi mesi di guerra, prima della liberazione dei lager, più volte facesse radunare tutte le prigioniere - per ore e ore e magari in giornate invernali o di pioggia forte - e chi non resisteva o solo si piegava, venisse fatta picchiare o uccidere, dalle S.S. sul luogo e all’istante. Talvolta queste ‘adunate’ duravano anche 6 ore. Talvolta ad uccidere era lei direttamente.

Durante il processo, i giudici del Tribunale delle Forze Alleate di occupazione, le chiesero il perché di così tanta diabolica atrocità. Furono sorpresi dalla risposta di una ragazza che risultava avere solo 21 anni: “Era nostro dovere sterminare gli elementi anti-sociali in modo che il nostro futuro risultasse assicurato“.
Slogan ripetuti, come un disco rotto, frutto di anni di propaganda criminale, parole senza cuore. Ulteriore conferma che il razzismo, base fondamentale come diceva Mussolini del nostro fascismo o del nazismo di Hitler, resta, sempre, la malattia degli emarginati dalla realtà.
Com’era Irma Grese, sin da bambina. Il razzismo, la malattia degli emarginati dalla realtà. E oggi, cos’è?

Il processo durò due mesi e il 17 novembre’45 venne così condannata all’impiccagione. Non disse mai una parola di pentimento o abiura della fede nazista. Di lei si ricordano invece gli inni nazisti cantati a gran voce la notte prima dell’esecuzione, assieme alle sue ‘aiutanti’ ad Auschwitz e Bergen-Belsen, Johanna Bormann e Elizabeth Volkenrath. Oltre all’unica parola pronunciata quando sul patibolo, il 13 dicembre ’45, le venne infilato il cappuccio bianco. La stessa parola che ordinava alle donne che dovevano entrare negli ambulatori di Mengele: ‘schnell.’ (presto).

Il processo arrivò all’inevitabile sentenza, lasciando a noi, uomini del Terzo Millennio, una domanda ancora più sconvolgente di quella che si chiedeva llse Weber a Terezìn con la sua ‘quando finirà la sofferenza?’ Come può davvero una ragazza di 20 anni arrivare così in fondo all’abisso? Quanto forte è stata la ‘scuola’ in cui è cresciuta? E soprattutto cosa stiamo facendo noi tutti, oggi, per bloccare la ‘propaganda’? Per tagliare i viveri, quel mangine, affinchè ‘l’allevamento’ non si riproduca ancora bene e quel che già c’è (perché c’è e molto) si fermi subito? E in termini diversi, quanto manca alla strada che conduce a Terezìn?

Abbiamo già visto come il fanatismo, religioso e politico, nel mondo, anche negli ultimi anni, abbia generato molte piccole ‘Irma Grese’. Ne siamo consapevoli?
Quanti politici anche oggi usano solo slogan, ripetuti stancamente, assiduamente, continuamente e buttati in pasto ai propri elettori, ai propri fans, come fossero le carrube date ai maiali nella parabola del ‘Figliol prodigo’? E poi vigliaccamente negare o dire che non era quello il messaggio. Quanti?

novembre 2022 – Liberamente tratto da ‘Non ho visto farfalle a Terezìn’ – cap. ‘Quando finirà la sofferenza?’ – ed. AliRibelli – 2021

*Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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