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08 novembre 2022
tutti gli speciali

Memoria: la donna con la borsetta
di Rinaldo Battaglia*

"Noi siamo la memoria che abbiamo
e la responsabilità che ci assumiamo.
Senza memoria non esistiamo
e senza responsabilità non meritiamo di esistere
".
(Josè Saramago)

Oggi ho visto un post di un amico e leggendo quella vicenda non ho potuto non domandarmi cosa sia la 'memoria' e a che punto siamo ora in Italia sul tema proprio della memoria storica.

La vicenda di cui si parlava era quella che riguardava Danuta Danielsson, che - per un giorno - è stata una donna tra le più famose al mondo. Il 13 aprile 1985 Danuta camminava per la strada tranquilla nella sua Växjö, nella Svezia meridionale. Era una signora di 38 anni e una vita come tante altre, fuori dai riflettori e dai fotografi. Una vita comune di gente comune.

Nella sua cittadina quel giorno era stata organizzata una manifestazione dal Partito del Reich Nordico (Nordiska rikspartiet, NRP), un gruppo politico fondato nel 1956, dichiaratosi apertamente, sin dall’inizio, filo-fascista e filo-nazista e come tale marcatamente razzista.

Danuta si trovò così, per caso e a sua insaputa, ad assistere al passaggio di quel piccolo corteo. Tutti con passi, gesta e saluti ‘nazisti’. Vide costoro, con teste rasate, sfilare e gridare slogan razzisti e urlare contro tutto e tutti.

Non riuscì ad accettarlo, non riuscì a trattenersi: sarà stato l’ istinto, sarà stato il cuore, si diresse con forza verso il corteo, sorprendendo tutti, e prese a colpirne uno di loro, forse il più scalmanato. Usò l’unica arma che poteva possedere: la memoria. E con essa la sua borsa di pelle, quella di tutti i giorni, quella che una semplice donna di casa portava per la spesa.

Ad esser preso a 'borsate' fu un certo Seppo Seluska, convinto esponente di quel gruppo e di quel movimento.
Il gesto fu talmente profondo e convinto che portò alla reazione degli altri passanti: in pochi secondi, partirono verso i filo-nazisti insulti e offese. Non solo: alcuni si rifornirono nelle case e nei negozi di uova ed iniziarono a colpire i manifestanti.

Si racconta che in pochi minuti si radunò una folla di oltre 1.000 persone intorno ai filo-nazisti. Vennero loro prese e strappate le bandiere e tutti costretti a scappare dandosela a gambe, correndo verso la stazione, dove furono raggiunti – solo dopo - dalla polizia locale.

La donna con la borsetta aveva sconfitto di nuovo il nazi-fascismo razzista, 40 anni dopo la fine della guerra e la sconfitta di quella ideologia così criminale. Così almeno dicono i libri di scuola. Casualmente tra gli spettatori della vicenda vi era presente anche un fotografo del posto, Hans Runesson che immortalò Danuta mentre prendeva a borsate il neonazista.

Il giorno dopo, il 14 aprile 1985, il quotidiano svedese 'Dagens Nyheter' pubblicò la foto attirando così le attenzioni dei lettori, e dei media, sul fenomeno della rinascita del nazismo nella Svezia di allora. Il giorno 15 tutte le principali testate giornalistiche svedesi riportarono la foto e quanto avvenuto. Non solo: anche in Inghilterra e qualche giorno dopo anche in molte città europee.

La fotografia della ‘donna con la borsetta’ ebbe in breve una grande eco a livello mondiale e fu selezionata come "fotografia svedese dell'anno" nel 1985 e più tardi come "fotografia del secolo" dalla rivista ‘Vi' dalla Società Storica Fotografica Svedese.

Dove non era arrivata la politica, troppo spesso priva di memoria e troppo legata agli interessi di parte (economici in primis) – da noi come altrove, ma soprattutto da noi in quanto ‘eredi di Mussolini’ come diceva orgoglioso solo un mese fa il futuro Presidente del Senato - ci era riuscita una semplice donna.
Semplice donna sì, ma dotata di memoria.

Danuta era di origine polacca ed emigrata in Svezia, ma soprattutto era figlia di una sopravvissuta ebrea di Majdanek (mentre gli altri suoi familiari erano morti ad Auschwitz). E nella vita aveva assorbito le sofferenze della madre, anche lei ‘vittima innocente’ della Shoah e del razzismo nazifascista. Perché dai lager puoi anche fisicamente uscirne (come fece la madre) ma mai il lager uscirà da te (come ripete ancora oggi Sami Modiano).

Quella fotografia costò molto a Danuta. Il clamore sollevato, il continuo ripresentarsi di quella scena che la riportava sempre alla sofferenza della madre e alla sua famiglia, la condusse alla depressione e nel silenzio totale solo 3 anni dopo, nel 1988, si suicidò. Aveva solamente 41 anni.

In quel 13 aprile 1985 aveva peraltro colpito giusto: Seppo Seluska continuerà la sua carriera ‘da filo-nazista’ e qualche anno dopo sarà condannato per aver torturato e ucciso un ebreo omosessuale. Ebreo ed omosessuale: doppia colpa per il suo credo.

Nessuno però era intervenuto per tempo e combattuto la ‘sottovalutazione’ dei crimini razziali del fascismo e del nazismo nel mondo, che proseguì colpevolmente. In Svezia come altrove. Nel 2014, un'importante scultrice svedese quale Susanna Arwin scolpì una statua in miniatura per ricordare ‘la donna con la borsetta’. Ben presto emerse la proposta di erigere una statua a grandezza naturale da installare proprio a Växjö, ma il progetto fu bloccato da alcuni politici locali: chi temeva che la statua potesse promuovere la violenza razziale, altri che ‘rivitalizzasse’ ulteriori frange neo-naziste.

Tuttavia, gli abitanti della città svedese non accettarono le scelte della politica e rivendicarono il gesto di Danuta appendendo per giorni le loro borse alle varie statue della città. Nel 2019, cinque anni più tardi, il Comune di Växjö finalmente eresse la statua creata da Arwin, con dimensioni reali, proprio nello stesso luogo in cui Danuta 34 anni prima aveva colpito Seppo Seluska. Ancora una volta dove non era arrivata la politica, schiava delle ideologie e contro-ideologie, arrivava il cuore della gente comune dalla vita comune.

A Växjö dal 2019 si ricorda che al nazifascismo bisogna reagire sempre con la forza della 'memoria'. Anche se vestita da semplice borsa di periferia.

E da noi?

L’11 agosto 2012, chi oggi democraticamente ci comanda, ha eretto ad Affile (alla periferia di Roma) un mausoleo al gen. Rodolfo Graziani, uno che esaltò a suo tempo le ideologie a cui si rifacevano gli uomini Partito del Reich Nordico (Nordiska rikspartiet). Abbiamo già dedicato vie o piazze – anche dalle parti di casa mia – a gerarchi o uomini influenti del Duce (come Giorgio Almirante). Abbiamo la seconda carica dello Stato che non riconosce il valore del 25 Aprile.

Un noto giornalista, nipote del Presidente di un Tribunale fascista - che il 20 dicembre 1943 a Erba condannò alla fucilazione un ragazzo di 20 anni (Giancarlo Puecher Passavalli) perché partigiano (peraltro nell'estate del 1944, Piero Pisenti, ministro guardasigilli di Salò, riconoscerà la nullità del processo e l'arbitrarietà delle condanne medesime) - nell’aprile 2020 ringrazierà il covid per aver evitato quell’anno' la retorica del 25 Aprile'.

Ma già nell’anno precedente, nel 2019, quando a Växjö onoravano chi si era opposto all’ideologia nazifascista, da noi nella notte tra domenica 21 e lunedì 22 aprile a Vighignolo, alla periferia di Milano, qualcuno ha dato alle fiamme la statua dedicata alla staffetta partigiana Giulia Lombardi, uccisa a 22 anni dai fascisti del Duce nel 1944 . La statua era stata inaugurata solo una settimana prima. C’è chi usa e sviluppa la memoria per la libertà e la democrazia. Da noi alte cariche dello Stato preferiscono il 25 Aprile andare al mare dimenticando che se hanno raggiunto quelle cariche è per merito della libertà e della democrazia, ottenute grazie ai vari tanti giovani come Giancarlo Puecher Passavalli e Giulia Lombardi.

Sono convinto che soprattutto oggi abbiamo bisogno di usare la memoria, come nel 1985, forse per l’istinto, forse per il cuore, Danuta usò la sua borsetta. La memoria deve essere per davvero la nostra 'borsetta' e la memoria – credetemi – fa più male della borsa in testa. Per questo fa molta paura.

"Noi siamo la memoria che abbiamo
e la responsabilità che ci assumiamo.
Senza memoria non esistiamo
e senza responsabilità non meritiamo di esistere
".

7 novembre 2022 – pagine tratte da ‘L’inferno è vuoto’.

la donna con la borsetta



*Coordinatore della Commissione Storia e Memoria dell'Osservatorio


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