|
Bullismo
e suicidi giovanili
di
Vincenzo Andraous*
Bullismo, violenza, baby gang, il solito corollario di stupore
per i fatti accaduti a Vercelli, oppure per quel ragazzo suicidato-si
perché umiliato con intenzionalità, con persistenza, con un’assimetria
vergognosa.
In questi ultimi tempi, si verificano fatti delinquenziali
compiuti da adolescenti e giovani adulti, non piu’ e non solo
di bassa estrazione sociale, ma provenienti da famiglie borghesi
e benestanti. Da noi, per ora, bullismo non è sinonimo di
devianza-criminalità, il nostro è un bullismo del benessere,
è abuso dell’agio, persino chi non ha niente, possiede qualcosa
al fondo delle tasche, non è disagio che picchia contro al
mancato raggiungimento di un traguardo economico, è disagio
relazionale, paura della vita, non della morte, è incapacità
e rigetto della scelta. Quando poi l’irreparabile accade,
l’illusione da parte del nucleo famigliare, di essere per-bene,
perché si è raggiunto un benessere economico, crolla insieme
alla convinzione che ciò non può comportare alcun tipo di
rinculo.
Eppure
è in questo modo di vivere “ sempre in piedi “ che nasce l’iconografia
del nuovo disagio, in un imperativo che contempla e avvolge
come linguaggio contemporaneo, che sovverte i lignaggi, le
religioni e le politiche, quel linguaggio che mette a soqquadro
e drammaticamente inverte il concetto di “essere con l’avere“.
Quale famiglia resiste ai conflitti se gli stili educativi
corrono sull’atomizzazione dell’ascolto, in rifugi costruiti
a misura che deresponsabilizzano, così facendo è ben più stimolante
non subordinare mai le passioni alle regole, a tal punto da
trovarsi disarmati e arresi gia in partenza.
Ci preoccupano i bulli, bene intruppati in baby gang nel vicolo
cieco, invochiamo la frusta, ma l’avviso che ne dovrebbe derivare
sta nel non incappare nelle superficialità che potremmo pagare
a caro prezzo, c’è la necessarietà di attuare piani economici
e politiche sociali che vedano coinvolti non solamente i ragazzi,
ma anche gli altri, in quel famoso sostegno alla genitorialità
troppe volte dimenticato a metà del guado. Le responsabilità
penali sono sempre individuali, come le vite a perdere di
tanti ragazzi, ma forse le armi usate nelle loro contese,
sono quelle che i grandi lasciano senza protezione all’intorno,
sono le armi delle parole, quelle parole che teatralmente
condannano la violenza, per poi esortare i propri figli a
non credere a nessuno, neppure alle tante storie anonime,
drammatiche, devastanti, scritte e cancellate nella frazione
di uno sparo.
I bulli si moltiplicano nelle classi come nelle strade, le
droghe sono intese come prodotti di uso comune, le regole
un optional. Gli adolescenti si difendono attaccando, la famiglia
alla finestra ad aspettare, la scuola ricompone la trama trascinando
i piedi come un vecchio che ne ha viste troppe per rimanere
almeno un po’ indignato. Forse occorre chiedersi se l’autorevole
assente in questo protrarsi di contraddizioni e accuse incrociate,
sul disagio e la devianza dei più giovani, non sia il fantasma
della comunicazione, quella che sottoscrive la soglia di attenzione
necessaria affinchè la volontà ad ascoltare e discutere si
propaghi nel rispetto dei ruoli e delle competenze, e non
scompaia furtivamente alle prime stanchezze dovute ai fallimenti.
Nel
branco che colpisce, il bullo vince e impara a non fare prigionieri,
la violenza è lo strumento di riordino delle idee piegate
di lato, una sorta di potere rincorso per arginare chi deride,
peggio, opprime con l’indifferenza. Ragazzi difficili ai quali
consegnamo l’idolatria dell’immagine, grimaldello per ogni
difficoltà che si presenti a sbarrare il passo. Duri di cartone
crescono intorno, nonostante i nostri sforzi, i consigli per
gli “acquisti“, pugni nello stomaco al più debole, violenza
sulla ragazzina meno arrendevole, disvalori del libero mercato,
la vita è interpretata come uno scherzo, perché non c’è nulla
di buono da aspettarsi dalle proprie capacità. Cosa dire a
un bullo arrabbiato, a un ragazzo impreparato, quando sostiene
che occorre pestare duro per ottenere le cose, per non essere
superati, che la droga è una specie di orgasmo.
Forse
siete troppo giovani per comprendere bene che la regina delle
bugie è proprio la violenza, esattamente come la droga, che
ti fa intendere la libertà come una prostituta da inseguire
e pagare per avere una prestazione, un piacere dal valore
di un’illusione già morta, un piacere come dici tu, scomparso
prima ancora di averlo raggiunto. Bullismo che si rigenera,
normalità della droga, infantilismo adulto, sono cronaca quotidiana
di eventi drammatici, come se ogni tragedia e ingiustizia
fosse disadorna della più misera motivazione, anche quando
la realtà ci mette con le spalle al muro. La violenza è compagna
di viaggio di molta parte di umanità, in questo caso c’è il
gesto di crudeltà fine a se stesso, la ricerca di prevaricazione,
il dominio sull’altro, poco importa se ottenuto arrecando
dolore al più debole, fragile, indifeso.
Il
branco usa tecniche ben collaudate, la bugia, l’inganno, il
tradimento, esprime una caratura professionale consona alla
sua età, per soggiogare, mettere sotto, rendere schiavizzata
del proprio potere la vittima designata. La baby gang immobilizza
il ragazzino, lo colpisce, gli urina addosso, tra scaracchi
e risate sguaiate, poi è gia ora di ritornare a casa, ognuno
con il proprio balzello ben calato nelle tasche vuote, e ciascuno
conoscerà altre ferite, mentre il dolore del ricordo scaverà
nelle carni un solco indelebile.
Nella
necessità di denudare di ogni giustificazione la violenza,
c’è la chiave di accesso per ridefinire il problema di un
disagio che riguarda tutti, non occorre trasformare il presente
in una sorta di rivoluzione per veterani della morale e dell’etica,
forse occorre solamente consegnare ai giovani buoni esempi,
autorevoli perché credibili, smettendola di banalizzare le
proprie mancanze, rifiutando di arrenderci all’avanzare di
una vita troppo spesso travestita da fannullona, forse in
questo modo saremo più vicini alla nostra libertà e alla nostra
capacità di riscattarci. Minori a rischio tra trasgressione
e devianza, nel mondo degli adulti che perde contatto con
la pazienza della speranza, non scommette più sul potenziale
dei propri figli, non ne supporta più la crescita, come a
voler sottolineare che non tutte le persone sono preziose.
Forse
occorrerebbe imitare lo stile educativo di don Enzo Boschetti
della Comunità Casa del Giovane di Pavia, il quale come un
buon padre, pone domande ai suoi giovani ospiti, piuttosto
che impartire ordini disimpegnanti, ciò per apprendere il
valore di una strategia che parta dal rispetto per se stessi,
per giungere alla considerazione e alla fiducia dell’altro.
Ai giovani di oggi bisogna credere, e non soltanto per puro
interesse collettivo, ma perchè se ci si sente accettati,
coinvolti a dare il meglio di sè, non si ha necessità di attirare
l’attenzione con gesti eclatanti, destinati alla follia più
lucida.
Ho
avuto modo di ascoltare tante voci sottolineare che si parla
“troppo” di bullismo, che forse non è vero che sia un fenomeno
esteso, un atteggiamento aggressivo che da statistica è diventato
dato esponenziale. Ho sentito adulti, padri, madri, affermare
che forse non è intelligente discutere di vittime e carnefici
nelle scuole, negli oratori, nelle strade, perché da noi non
accade, da noi non ci sono bulli, da noi non c’è disprezzo
delle regole, da noi è ben compreso e condiviso il valore
del rispetto per le persone e per le cose. “La
mia scuola è esente da questi problemi, la mia famiglia è
pulita, noi non facciamo uso di droga, né abbiamo prossimità
con la violenza”, eppure tutto questo accade e pervade, dentro
un paese piagato dall’ingiustizia, dalla prepotenza, dalla
arroganza, per questo incapace di valorizzare ciò che è bene,
incapace di farlo con il tono autorevole che gli compete.
Però non ho sentito parlare di quegli adolescenti che invece
dietro l’angolo fumano e calano giù, girano con il serramanico,
sballano e menano, fuori dalle regole che invece sono tutela
e garanzia per non soccombere ai singhiozzi che verranno.
Branco,
baby gang, teppisti e bulli, molte le declinazioni, come le
giustificazioni travestite da attenuanti, è violenza che scardina
la libertà di crescere insieme, che nega il diritto di vivere
nel rispetto dell’altro, che disperde il dovere di resistere
fino in fondo, per essere degni di vivere con lo sguardo in
alto, con il domani ben cucito sulla pelle. Abitare la cattedra
del colpevole, senza facili assoluzioni, è importante per
rivedere il proprio passato, ritornare a ciò che è stato,
rielaborando ogni trascorso, ancor di più è necessario farlo
ora, per esser di aiuto davvero ai più giovani, ponendo termine
a questo suicidio collettivo, quanto meno per non essere ancora
una volta se non complici, corresponsabili nel silenzio.
*
Responsabile servizi della Casa del Giovane di Pavia
Dossier
diritti
|
|